Campomarino di Maruggio, (TA), 2005. Foto: GD (Personal Property)
Minacce e accuse dopo le nostre notizie su Angelucci – L’editoriale di Corrado Formigli (la7.it)
“I giornali del nostro Angelucci si sono scatenati.
Ma non contro la nostra inchiesta, della quale il gruppo Angelucci e i suoi giornali non hanno smentito neppure una virgola.
Addirittura nemmeno hanno nominato l’ospedale di Velletri né i crediti sanitari. No, si sono scagliati contro i giornalisti che hanno realizzato l’inchiesta, dunque il sottoscritto, il nostro inviato Carlo Marsilli e tutta Piazzapulita, l’editore di La7 che ha osato lasciarci la libertà di trasmetterla, e i giornalisti del quotidiano Domani che si sono azzardati a commentarla.
Insomma, l’imprenditore sanitario che fa affari con la Regione Lazio, e per garantirli meglio si candida in parlamento, appena finisce sotto la lente di ingrandimento dell’informazione, scatena i suoi giornali con accuse e minacce.”
QUI la prima parte dell’inchiesta
QUI la seconda parte dell’inchiesta
Come i troll di Putin hanno influenzato le elezioni in Romania (linkiesta.it)
I russi su TikTok
Un rapporto ufficiale del social cinese documenta le operazioni sotto copertura con cui il Cremlino ha tentato di favorire il candidato populista Georgescu e il partito di estrema destra Aur
L’interferenza della Russia nelle elezioni rumene è reale, è documentata, ci sono le prove. C’è stato un numero impressionante di Operazioni di Influenza Sotto Copertura (Covert Influence Operations, CIO) con cui si è tentato di favorire il candidato populista filorusso Călin Georgescu. La conferma ufficiale l’ha data TikTok nel suo report sulla disinformazione.
Nel documento che copre il secondo semestre del 2024, l’azienda cinese entra nei dettagli delle operazioni di propaganda messe in campo da Mosca per influenzare le elezioni in Romania nel tentativo di far eleggere il candidato a lei più vicino.
Quel candidato che poi la magistratura rumena ha escluso dalle elezioni di maggio. (A questo proposito va ricordato che la Romania ha annullato il voto presidenziale dello scorso dicembre in seguito a segnalazioni di intelligence secondo cui la Russia aveva interferito nel voto ed era responsabile della sorprendente vittoria al primo turno di Georgescu).
Il report è stato presentato alla Commissione europea in ottemperanza al Codice di condotta sulla disinformazione – sotto il cappello del Digital Services Act – firmato dall’azienda. Non si parla solo del caso rumeno. Nelle 329 pagine dei capitoli più brevi sono dedicati anche all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e alle elezioni francesi del 2024.
Ma il capitolo dedicato alla Romania è il più articolato e denso di contenuti. «La Romania si è trovata improvvisamente al centro della nuova geografia della sicurezza europea», si legge nel report. «Da periferia geopolitica, il Paese è diventato un perno per il contenimento russo e per la proiezione orientale della Nato e dell’Unione europea».
E la sua posizione geografica alla frontiera dell’Occidente, al confine con l’Ucraina e la Moldova, affacciata sul Mar Nero, l’ha resa un bersaglio sensibile per la propaganda del Cremlino. Inoltre Bucarest ha accolto oltre un milione di profughi ucraini da quando è iniziata l’invasione su vasta scala e si è organizzata per diventare uno snodo sempre più importante nel cuore dell’Europa per il transito di armi e aiuti verso Kyjiv. Tutto questo ha contribuito a portare il mirino della Russia sulla Romania.
L’azienda cinese sostiene che il partito di estrema destra Aur e Georgescu hanno beneficiato del lavoro di influenza proveniente 27.217 account falsi. Nello specifico, dice di aver rimosso sei network di operazioni di influenza nascoste (i CIO, appunto) che avevano come target utenti rumeni.
Tra questi, ce n’era uno decisamente più grande, con circa ventisettemila account, mentre gli altri erano di dimensioni ridotte – e probabilmente erano gestiti con più manovalanza umana, in un certo senso, veicolando meno messaggi ma più efficaci e mirati. Il network più grnade è stato chiuso a dicembre 2024, gli altri nelle settimane precedenti. L’obiettivo di questi account era la mera propaganda: promuovevano contenuti critici nei confronti del governo di Bucarest, altri più favorevoli a Georgescu.
Oltre a questi network, è stato chiuso anche un network di undici account con profili riconducibili al media russo Sputnik. Anche così si spiega come la popolarità di Georgescu sia passata dall’un per cento – qualche mese prima del voto – a un indice di gradimento che l’avrebbe dovuto portare a vincere le elezioni.
«Riteniamo che questa rete fosse gestita tramite un fornitore di interazioni online e prendesse di mira l’opinione pubblica rumena», si legge nel documento. «Le persone dietro questa rete hanno usato account non autentici per promuovere il partito politico Aur e il candidato indipendente Călin Georgescu, nel tentativo di manipolare il dibattito pubblico prima delle elezioni».
Sono stati rimossi anche più di duemila ads che violavano le policy sull’advertising politico. E TikTok sostiene di aver provveduto al blocco geografico di una serie di account e aver impedito la creazione di altri profili. Questo passaggio è stato sintetizzato e descritto in tutti i particolari da Ander Bruckestand (account @Ander_Bruckes) su X in un lungo thread, poi riportato anche su InOltre.
In particolare, dall’ultimo aggiornamento di TikTok emerge che solo a dicembre 2024 è stata impedita la creazione di circa centocinquantamila account fasulli (spam account) e altri centocinquantamila sono stati rimossi. Anche due milioni di like fasulli e 2,3 milioni di follower fasulli sono stati cancellati, oltre a cinquantanove account che impersonavano politici o partiti rumeni.
La piattaforma rileva inoltre di aver rimosso in modo proattivo quasi seimila contenuti elettorali in Romania per violazione delle sue politiche su disinformazione, molestie e incitamento all’odio dalla fine di ottobre. Gli indirizzi IP più utilizzati per queste cosiddette troll farm sono stati geolocalizzati in Turchia.
In campagna elettorale le regole devono essere chiare e i messaggi sempre trasparenti. La pubblicità deve essere riconoscibile, gli elettori devono poter riconoscere uno spot o un qualsiasi contenuto creato ad arte per sostenere questo o quel candidato.
La presenza di account che fingono di rappresentare utenti qualsiasi per influenzare l’opinione pubblica con un lavoro di propaganda lento e costante non dovrebbe essere ammessa: non si può influenzare in questo modo la popolazione di uno Stato sovrano per manipolare e alterare il risultato di un’elezione.
Come notato da Bruckestand, le autorità rumene hanno riscontrato attività anomale a partire dal giorno precedente il primo turno delle elezioni, a novembre 2024. Ma l’intera attività di propaganda era iniziata certamente prima, magari con un’intensità più bassa. Resta da chiedersi quindi quanti account appartenenti a questi gruppi di influenza che agiscono a bassa intensità siano attualmente presenti sui social, e quanto sia difficile individuarli e fermarli.
Questo tentato golpe rumeno attraverso i social, se così lo si può definire, è una forma di guerra alternativa, ibrida, non convenzionale. Il tentativo di distruggere dall’interno una democrazia, penetrando nel suo tessuto sociale, politico e culturale.
Minacce di questo tipo sono sempre difficili da contrastare, perché sfidano i limiti imposti dai principi democratici, dallo stato di diritto e dai suoi valori fondanti.
Ma tutelare i cittadini dall’ingerenza di forze ostili è sempre più una necessità. E l’Europa deve trovare un modo per difendersi.
Dopo Putin, Xi. Caro Conte, non esageriamo (huffingtonpost.it)
Il capo dei cinque stelle fa il furbetto:
“Meloni accumula un altro fallimento e il tempo è galantuomo, io ho concluso l’accordo della Via della Seta per offrire un mercato importantissimo come sbocco ai nostri imprenditori. Giorgia Meloni ha strappato quell’accordo e oggi dovrà andare con il cappello in mano da Xi Jinping per chiedere uno spazietto”.
Parola di Giuseppe Conte, capo di M5s e soprattutto ex premier del governo gialloverde – leghisti più pentastellati – nell’annata 2018/2019, quando appunto firmò i patti di collaborazione economica con la Cina.
Ora, la dichiarazione di Conte è palesemente un’operazione manipolatoria, il classico tentativo di riscrivere la storia passata con gli occhi del presente, cosa su cui eccelle, anche se bisogna dire che è in buona compagnia sia a Montecitorio che a palazzo Chigi. Non più tardi di qualche settimana fa ha infatti adottato lo stesso metodo per riabilitare e nobilitare le sue simpatie putiniane.
A diretta domanda di un corrispondente della stampa estera in Italia, ha infatti usato il disgelo fra Usa e Russia per riaffermare la sua posizione equidistante sulla guerra Ucraina: “Non sono scenari dove c’è chi ha assolutamente ragione e chi no. Putin lo ha dichiarato da sempre, il problema era l’avanzata della Nato nel quadrante Est, l’ha scritto anche in una lettera alla Nato”.
Ma torniamo a Xi e alla Via della Seta. E cerchiamo di spiegare perché quella frase rivolta a Meloni è fuori dal tempo, fuori dalla storia ma soprattutto fuori dalla logica.
Nel 2019 Conte aderisce entusiasticamente alla Nuova Via della Seta, un progetto messo in piedi dalla Cina per competere con gli Usa negli scambi col resto del mondo. L’idea cinese è piuttosto semplice: si tratta di creare sei rotte commerciali per poter meglio convogliare i prodotti cinesi sui mercati globali.
Siamo infatti all’apice della spettacolare crescita di Pechino, un paese che in pochi decenni è passato dalla arretratezza degli anni di Mao al nuovo status di fabbrica del mondo, grazie alla capacità di coniugare i principi capitalistici a una forza lavoro sterminata. Una di queste sei autostrade commerciali termina nel Mediterraneo, con l’Italia paese di sbocco finale.
In particolare ad essere molto attenzionato è il porto di Trieste, perché quella è la testa di ponte ideale per inondare l’Europa centrale con merci a basso costo. Del resto, il Dragone già da tempo porta avanti una politica molto aggressiva di controllo di terminal e scali portuali in Europa, a cominciare da quello del Pireo di Atene.
Ma la Via della Seta, per come è pensata, non può che preoccupare il mondo occidentale perché porrebbe le basi di un’egemonia economica cinese che in prospettiva potrebbe poi tradursi in egemonia politica e culturale. Insomma, una bella sfida agli Usa ma anche all’Europa. Tant’è che da quella firma in poi si moltiplicano le pressioni per far recedere il governo italiano dai suoi propositi mentre gli altri paesi europei iniziano a prendere contromisure per frenare l’espansionismo cinese: ad esempio il governo tedesco blocca il tentativo di presa del porto di Amburgo.
Siamo infatti in un momento storico totalmente diverso da quello che stiamo vivendo dal 20 gennaio 2025 a questa parte: nel 2019 l’alleanza occidentale Usa-Ue è bella solida, la prima presidenza Trump volge al termine senza troppi scossoni, la Russia è ancora un partner affidabile, non ha invaso l’Ucraina e ci fornisce gas in abbondanza e a basso prezzo.
Tutto fila per il meglio, quindi per l’Italia non avrebbe alcun senso sfilarsi dalle tradizionali alleanze, economiche e valoriali, col resto del mondo. Infatti, da lì a poco il Conte I cade rovinosamente nell’estate del Papeete di Matteo Salvini, si insedia il Conte II con una maggioranza di centrosinistra e agli accordi della Via della Seta non viene dato seguito. Fino al 2023 quando il governo Meloni, da poco insediato, la abbandona definitivamente.
Oggi, invece, dopo i dazi imposti alla Ue da parte di Trump il mondo occidentale è in piena ridefinizione. Adesso sì che ha un senso parlare con il presidente Xi Jinping, perché le tradizionali alleanze economiche e militari che hanno garantito all’Italia e all’Europa 80 anni di pace e prosperità non sono più scontate.
Anzi, in un certo senso è quasi obbligatorio per l’Unione europea aprirsi ulteriormente a nuovi mercati e magari potenziare i rapporti con la Cina – che, si badi bene, già adesso esporta parecchio nel ricco mercato europeo dove registra un costante avanzo commerciale.
Un’apertura che va fatta con giudizio e soppesando pro e contro rispetto alle mire espansionistiche cinesi. Un negoziato ragionato, insomma, che sarebbe molto diverso da una resa collaborazionista in stile Conte I.
Che poi è la differenza che risulta esserci tra pratici solutori e utili idioti.
No comment
Roccella non la racconta giusta sulle adozioni dei single (pagellapolitica.it)
Diritti
Con una sentenza depositata il 21 marzo, la Corte Costituzionale ha stabilito che anche le persone singole (i single) possono adottare minori stranieri in stato di abbandono. Commentando la sentenza, la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella ha dichiarato che «nell’interesse del minore l’opzione migliore è, e resta, l’adozione in un contesto familiare con mamma e papà».
A sostegno della sua posizione, Roccella ha aggiunto: «È la stessa sentenza della Corte che ribadisce la legittimità di “una indicazione di preferenza” per le adozioni da parte dei coniugi».
Ma è davvero così? Vediamo perché le parole della ministra non riflettono fedelmente quanto affermato dalla Corte Costituzionale.
Che cosa ha stabilito la Corte
La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, che contiene le regole per l’adozione di minori stranieri. In base a questo articolo, le persone residenti in Italia che vogliono adottare un minore straniero, residente all’estero, devono presentare una dichiarazione al Tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza.
L’articolo specifica che, per presentare la richiesta di adozione, bisogna soddisfare i requisiti previsti dall’articolo 6 della stessa legge, in base al quale l’adozione è consentita solo ai coniugi.
Secondo la Corte Costituzionale, l’articolo 29-bis è incostituzionale nella parte in cui, rinviando all’articolo 6, «non include le persone singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità a adottare un minore straniero residente all’estero».
I giudici hanno stabilito che l’esclusione dei single dall’adozione dei minori stranieri contrasta con gli articoli 2 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che tutela il rispetto alla vita privata e familiare. Vediamo che cosa prevedono questi tre articoli.
In base all’articolo 2 della Costituzione, la Repubblica italiana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». In base all’articolo 117, «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». L’articolo 8 della CEDU, invece, stabilisce che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza».
Questi tre articoli, letti insieme, impongono al legislatore di rispettare non solo i diritti riconosciuti a livello nazionale, ma anche quelli sanciti dalle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia.
Come ha spiegato la Corte Costituzionale, l’articolo 2 della Costituzionale tutela, quale diritto fondamentale della persona, la «libertà di autodeterminarsi nella vita privata». E secondo i giudici, l’espressione di tale libertà è anche la scelta di diventare genitori.
Secondo la Corte europea dei diritti dell’Uomo, già citata dalla Corte Costituzionale in una sentenza del 2019, il concetto di «vita privata», a cui fa riferimento l’articolo 8 della CEDU, comprende «il diritto all’autodeterminazione e, dunque, anche il diritto al rispetto della decisione di diventare genitore e su come diventarlo (in modo naturale, tramite fecondazione assistita, mediante procedura di adozione, ecc.)».
Ecco spiegato perché la nuova sentenza della Corte Costituzionale cita sia la Costituzione sia la CEDU.
Non basta essere single
Secondo la Corte Costituzionale, «in astratto» i single sono idonei ad assicurare «un ambiente stabile e armonioso» a un minore in stato di abbandono. La loro capacità di garantire «il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno» va comunque accertata in concreto dal giudice, anche in considerazione della rete familiare di supporto.
Dunque, non si può parlare di una pretesa o di un «diritto alla genitorialità», ma «il miglior interesse del minore è direttamente preservato dalla verifica giudiziale concernente la concreta idoneità dell’adottante».
In altre parole, secondo la Corte Costituzionale, non si può dire che una persona abbia automaticamente il diritto di diventare genitore. Quello che conta davvero è il benessere del bambino, e per proteggerlo il giudice deve valutare con attenzione se la persona che vuole adottare è davvero adatta, nella sua situazione concreta, a fare da genitore.
Tra l’altro già oggi, in alcune situazioni specifiche, i single possono adottare un minore: si tratta di ipotesi eccezionali, ma che dimostrano la non totale preclusione della legge rispetto all’idea di una genitorialità adottiva composta da un solo genitore.
L’articolo 25 della legge n. 184 del 1983 consente l’adozione se «uno dei coniugi muore o diviene incapace durante l’affidamento preadottivo». In questo caso, l’adozione – sebbene venga disposta «nei confronti di entrambi [i coniugi], con effetto, per il coniuge deceduto, dalla data della morte» – implica di fatto l’inserimento del minore in un nucleo con un solo genitore.
L’adozione può essere concessa anche a un singolo genitore, che ne faccia richiesta, se «nel corso dell’affidamento preadottivo interviene separazione tra i coniugi affidatari». In più, ai single è consentita la cosiddetta “adozione in casi particolari” (o “adozione speciale”), per esempio di minori affetti da disabilità o di quelli per cui sia risultato impossibile l’affidamento preadottivo.
Nella sentenza, la Corte Costituzionale ha sottolineato che l’adozione è un istituto ispirato a fini di solidarietà sociale, «in quanto rivolge le aspirazioni alla genitorialità a bambini o a ragazzi che già esistono e necessitano di protezione». Il divieto assoluto per i single di adottare – hanno sottolineato i giudici – potrebbe «riflettersi negativamente sulla stessa effettività del diritto del minore a essere accolto in un ambiente familiare stabile e armonioso».
Che questo rischio non sia «un’eventualità puramente teorica» è testimoniato «dalla progressiva riduzione delle domande di adozione che si è avuta a partire dall’inizio del nuovo millennio». Nella sentenza si legge che per le adozioni di minori stranieri si è passati «da quasi settemila domande nel 2007 a una stima di circa cinquecento domande per il 2024».
La Corte non dice che la coppia è migliore
Come ha affermato correttamente Roccella, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che il legislatore possa valorizzare la necessità di assicurare all’adottato «la presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di entrambe le figure dei genitori».
Dunque, i giudici hanno ammesso che, da parte del legislatore stesso, ci possa essere «una indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi», nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. Ma a differenza di quanto ha lasciato intendere la ministra, non è vero che i giudici si sono espressi sulla maggiore adeguatezza di questa opzione rispetto ad altre, anzi.
In primo luogo, la Corte Costituzionale ha precisato che l’indicazione di preferenza per le adozioni da parte dei coniugi «non supporta la scelta di convertire tale modello di famiglia in una aprioristica esclusione delle persone singole dalla platea degli adottanti», come faceva la norma dichiarata incostituzionale. In secondo luogo, porre nei confronti dei single una barriera all’accesso all’adozione internazionale determina un sacrificio irragionevole e sproporzionato all’autodeterminazione orientata alla genitorialità.
Se l’obiettivo dell’adozione internazionale è «accogliere in Italia minori stranieri abbandonati, residenti all’estero, assicurando loro un ambiente stabile e armonioso – hanno sottolineato i giudici – l’insuperabile divieto per le persone singole di accedere a tale adozione non risponde a un’esigenza sociale pressante e configura, nell’attuale contesto giuridico-sociale, una interferenza non necessaria in una società democratica».
Ricapitolando: la Corte Costituzionale non ha stabilito alcuna graduatoria tra aspiranti genitori, pur riconoscendo che un’opzione preferenziale possa essere prevista dalla legge. La Corte ha sottolineato che l’esigenza di individuare, nel miglior interesse del minore, un contesto familiare armonioso e stabile non avviene necessariamente in una famiglia composta da una coppia unita da matrimonio. I giudici hanno evidenziato il rischio di non dare adeguata tutela dei bambini abbandonati, «riconducibile anche alla restrizione della platea dei potenziali adottanti».
A seguito della sentenza della Corte Costituzionale, oggi una coppia eterosessuale sposata può fare domanda di adozione nazionale o internazionale. Una coppia di persone dello stesso sesso, unita civilmente, non può fare né l’una né l’altra. Un single, invece, può chiedere solo l’adozione internazionale.
Quando il Parlamento riscriverà la norma dichiarata incostituzionale – anche se già oggi il single potrà appellarsi alla sentenza della Corte Costituzionale, a fronte di un diniego all’adozione – probabilmente andrà rivalutata la situazione di disparità esistente alla luce dei princìpi affermati dai giudici costituzionali, considerando lo scostamento tra il mutato contesto sociale e la legge attualmente in vigore.
A differenza dell’Italia in Francia l’establishment esiste (corriere.it)
Risponde Aldo Cazzullo
Caro Aldo,
perché ho l’impressione che al di là della levata di scudi contro la condanna di Marine Le Pen proprio questa sentenza potrebbe sortire l’effetto opposto a quello che molti pensano?
Italo Mariani, Parma
Leggo i commenti sui social, ma dovrei smettere di farlo: il solito vittimismo, teoria del complotto per non mandarla all’Eliseo, inchieste della magistratura pilotate dalla politica. Di tutto e di più.
Marco Ferrari
Dopo la stangata giudiziaria a Marine Le Pen, il suo partito, guidato da Jordan Bardella, successore naturale della leader, riuscirà a sfruttare l’effetto di vittimizzazione di Rn?
Pietro Mancini
Cari lettori,
era abbastanza ingenuo attendersi che l’establishment francese avrebbe consegnato il Paese, o la Nazione se preferite, a Marine Le Pen. Una presidenza Le Pen significherebbe smontare tutta l’impalcatura europea costruita negli ultimi cinquant’anni, rinunciare al rapporto privilegiato con la Germania che era già un’idea di de Gaulle — i francesi hanno l’atomica e il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, i tedeschi la forza economica —, avvicinarsi pericolosamente a Putin.
Da italiani, cioè un popolo che disprezza lo Stato e la politica, fatichiamo a capire i Paesi dove un establishment esiste. Non a caso l’Italia è l’unico Stato dell’Europa occidentale dove i populisti hanno vinto le elezioni, sia nel 2018 sia nel 2022.
Detto questo, il vento di rivolta contro l’establishment che spazza tutto l’Occidente soffia da tempo anche in Francia. Il Rassemblement National di Marine Le Pen ha lavorato molto — anche se non sempre con efficacia — per frenare le antiche pulsioni xenofobe e antisemite.
Una parte del mondo imprenditoriale è ormai convinta che il Rn sia la nuova destra su cui puntare; in primis Vincent Bolloré, la cui presenza in Italia è stata ridimensionata prima da Mediaset poi dal governo, ma che in Francia è molto influente, anche nell’editoria.
Ora l’establishment francese ha due anni di tempo per trovare, nella sinistra riformista o più facilmente nella destra europeista e repubblicana, se non un nuovo Macron, qualcuno in grado di battere una Le Pen graziata o un Bardella.