di Iuri Maria Prado
Le responsabilità degli altri
Un soldato di un esercito che uccide terroristi non può essere paragonato a uno che ha il solo compito di trovare e uccidere gli ebrei, siano essi militari o civili, inclusi donne, anziani e bambini
Un esperimento. Una stessa persona che non giudica un’altra e le cose che fa un’altra, ma giudica sé stessa calata ora nei panni di uno e ora nei panni di un altro.
Il primo è un soldato. Deve trovare e uccidere dei terroristi. Non vuole che le sue bombe e le sue pallottole uccidano dei civili: ma sa che può succedere. È istruito e comandato a selezionare i propri obiettivi, e ad adottare ogni attenzione ragionevolmente necessaria a evitare che il suo fuoco colpisca degli innocenti inermi: ma sa che quelle cautele possono non bastare.
Conduce la sua azione non volendo che succeda, facendo il necessario affinché non succeda, ma sapendo che può succedere, e per effetto della sua azione restano uccisi dei civili, delle donne, dei bambini. Civili, donne, bambini fatti a pezzi dalle bombe e dalle pallottole di quel soldato.
Massacrati, sventrati, come testimonieranno le fotografie rese disponibili da quelli che hanno hanno allestito depositi di armi e rampe di lancio di missili nei giardini, nelle case, nelle scuole, negli ospedali in cui stavano quei civili, un dispositivo di guerra non adoperato a difesa di quei civili, ma per aggredire i vicini.
E il mondo, comprensibilmente e giustamente, guarderà inorridito quelle immagini, e quel soldato sarà il male assoluto, sarà il destinatario della riprovazione, degli urli, degli insulti, delle requisitorie che in nome della pace, degli oppressi, dei segregati, si rivolgeranno contro di lui e contro le sue armi.
Le armi – ed eccoci al cambio di scena – che mettiamo nelle mani della stessa persona calata non più nei panni del soldato di cui abbiamo detto, ma in quelli di un altro, un combattente per la libertà. Il quale deve trovare e uccidere gli ebrei. Non i soldati ebrei: qualunque ebreo, i civili ebrei, i ragazzi ebrei, le donne ebree, i bambini ebrei.
Deve cercarli e quando li trova deve torturarli, stuprarli e assassinarli. E allora si mette all’opera, li cerca e li trova, cerca gli ebrei nelle loro case e nei loro raduni e uno per uno ne stermina a centinaia, mille, millecinquecento, nel giro di poche ore.
Quella stessa persona, impersonando quest’altro ruolo, sgozza i neonati ebrei nelle culle, prende una gravida e le apre la pancia con un coltello, che le rimesta dentro e maciulla il feto, prende le madri di quei neonati e le stupra accanto al marito con la testa fracassata, prende i vecchi e le vecchie e li fucila davanti ai nipoti, e poi prende anche loro, altri bambini, che provano a scappare, li prende e li brucia vivi, e poi prende il loro padre, e lo sgozza, e poi lo fotografa, con batuffoli di cervello che gli escono dagli occhi e con la bocca riempita di merda.
Queste immagini circolano meno, e le gesta di questo combattente vanno incontro bensì a un po’ di precaria deplorazione e a una minoritaria condanna senza appello, ma non solo: incontrano anche la festa diffusa, il compiacimento tutt’altro che disparato, il pensoso scrutinio delle cause e delle responsabilità (degli altri, ovviamente), le manifestazioni in mezzo mondo, a cominciare dai Paesi della Shoah, in cui turbe di impudenti bastardi si mobilitano a denuncia del nazismo degli ebrei e dove una stronzetta – contro cui evidentemente non si attivano le democratiche azioni penali obbligatorie né le democratiche leggi contro l’odio – arringa una folla di filo-sgozzatori gridando: «Fuori i sionisti da Roma».
Ecco. Ora questa stessa persona, prima messa nei panni di quel soldato e su quella prima scena di civili morti, e adesso messa nei panni di quel combattente e sulla seconda scena di altri civili morti, si giudichi in un caso e nell’altro. Giudichi se meritano un medesimo giudizio non i civili morti in un caso e nell’altro – tutti morti, tutti ingiustamente morti – ma se merita un medesimo giudizio chi rispettivamente li ha uccisi.
E vediamo se gli sarà ancora facile dire che i morti sono tutti uguali. Vediamo se questa persona non sentirà schifo per sé stessa nell’adoperare quella indiscutibile verità – e cioè che i morti sono tutti uguali – per dire che sono uguali quelli che li uccidono.