Doping, Zeman: «Nel calcio non è cambiato nulla. Chi ha paura ora doveva pensarci prima» (corriere.it)

Nel 1998 Zdenek Zeman denunciò il «calcio che 
deve uscire dalle farmacie». 

Dopo le morti di Vialli e Mihajlovic e le denunce di Dino Baggio, Tardelli e gli altri, ne parla alle «Iene»

Domani, martedì 7 febbraio, Zdenek Zeman tornerà a parlare del calcio e del doping nell’appuntamento con «Le Iene», trasmissione in prima serata su Italia 1. Nel 1998 il tecnico boemo aveva denunciato il calcio che «doveva uscire dalle farmacie».

In una intervista all’Espresso, Zeman — che prima di diventare allenatore era stato preparatore atletico — aveva espressamente parlato delle esplosioni muscolari di alcuni calciatori, e in particolare di alcuni della Juventus (erano gli anni del processo al medico Riccardo Agricola , che nel 2004 sarà condannato e poiassolto in appello nel 2005 dalle accuse di somministrazione di Epoe di frode sportiva): «È uno sbalordimento che comincia con Gianluca Vialli e arriva fino ad Alessandro Del Piero: io che ho praticato diversi sport pensavo che certi risultati si potessero ottenere soltanto con il culturismo», sottolineando il timore che certe pratiche possono non avere danni immediati ma «chi può escludere che le conseguenze per gli atleti non si manifestino a distanza di anni?».

Gli inviati della trasmissione sono andati a cercare Zeman alla luce della scomparsa di Gianluca Vialli— e prima ancoradi Sinisa Mihajlovic — e delle dichiarazioni di molti ex giocatori che hanno espresso le loro paure in merito alle sostanze — legittime all’epoca — prese ai tempi in cui giocavano. Tra i primi a parlarne Dino Baggio, ex centrocampista della Nazionale e vicecampione del mondo negli Stati Uniti nel 1994che, ai microfoni di Tv7, aveva lanciato un appello: «Bisognerebbe investigare un po’ sulle sostanze prese in quei periodi, bisognerebbe vedere se certi integratori, con il tempo, fanno bene oppure no. Ho paura anche io perché sta succedendo a troppi giocatori». Una posizione confermata anche dall’ex Ds della Salernitana, ed ex calciatore, Walter Sabatini: «C’è stata una moria di giocatori lunghissima per cui i sospetti sono consistenti e anche giustificabili, legati anche a metodi adottati una volta».

Anche l’ex campione del mondo Marco Tardelli ha ricordato, nell’intervista al Corriere della Sera, i tempi del Micoren («un analettico respiratorio, in grado appunto di aumentare l’atto respiratorio», spiega Lamberto Boranga, ex portiere poi laureato in Biologia e in Medicina).

«Prendevamo farmaci senza discutere: io spero di essere fortunato, ma non vedo molti centenari nello sport», aveva spiegato Tardelli. Anche Massimo Brambati, ex difensore di Torino, Empoli, Bari e Palermo e ora procuratore, ha ricordato: «Ho timore anch’io, vent’anni fa lo dissi e mi arrivò una lettera della Figc che mi minacciava. C’erano allenatori che se non facevi la flebo, si arrabbiavano. Davano sostanze che all’epoca non erano però ritenute doping. Oggi quando sento determinate situazioni che accadono ai calciatori del mio periodo, mi affido a Dio…».

E proprio partendo da questi temi la Iena Filippo Roma intervista Zeman e Brambati. Il boemo tende a non lanciare sospetti sulle morti premature di Mihajlovic e Vialli («Le malattie arrivano a tutti»), ma sottolinea come in 25 anni dalla sua prima denuncia, «secondo me non è cambiato niente, purtroppo. Questi ragazzi che ci pensano ora ci potevano pensare allora, chiedendo cosa stessero prendendo e perché. Oggi è tardi».

Brambati rincara la dose, ricordando sì il Micoren e un’altra sostanza, l’Anemina, ma sottolineando anche che lo preoccupano «tutte le flebo che ho fatto prima delle partite, io non so esattamente cosa ci potesse essere, se non che mi dicevano che c’erano degli zuccheri o che c’era questa corteccia surrenale, bandita successivamente», sostanze che poi gli impedivano di dormire la notte.

Caro ministro Nordio: resista, resista, resista… (ildubbio.news)

di Davide Varì

Marco Travaglio lancia una petizione per chiedere 
le dimissioni del guardasigilli: 

“Ha calunniato i magistrati e le forze dell’ordine”

Prima erano solo avvisaglie, colpi a salve, avvertimenti. Ma ora l’ordine di colpire è esplicito, chiaro. E il bersaglio, naturalmente, è il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il quale è finito sotto il tiro incrociato della poderosa macchina da guerra mediatico-giudiziaria che da trenta e passa anni fa e disfa la vita politica del Paese.

Già da qualche giorno le procure della Repubblica – alcune e ben riconoscibili – avevano avvelenato l’aria con veline che accusavano il guardasigilli di voler lasciare a piede libero sequestratori, ladri e mafiosi (sic!).

Poi il livello dell’attacco si è alzato e i giornali di riferimento della “magistratura engagé” sono finalmente usciti allo scoperto. Tanto che il Fatto Quotidiano (e chi altri sennò) ha inondato la rete con un appello per chiedere le dimissioni di Nordio perché – sentite sentite – “il ministro della Giustizia ha dichiarato ripetutamente il falso, ha calunniato i magistrati e le forze dell’ordine sostenendo che usano manipolare e strumentalizzare politicamente le trascrizioni”.

E qui ci sarebbe da ridere se non fosse che il paese è funestato da drammatiche storie di cittadini innocenti le cui vite sono state travolte da intercettazioni che anni dopo si sono rivelate “sbagliate” (una delle quali la trovate a pagina 11 del Dubbio, edizione 21 gennaio).

Ora, noi non sappiamo se la premier Giorgia Meloni, che pure ha lottato per avere Nordio a via Arenula, avrà la forza di resistere a questo attacco. Sappiamo però che dall’entourage del ministro fanno sapere che “tira una brutta aria”. Staremo a vedere.

Ma la situazione a questo punto è chiara: chi tocca i fili muore, chi prova a cambiare il sistema necrotizzato della nostra giustizia e le rendite di posizione della magistratura rischia il linciaggio.

Per quel che ci riguarda non possiamo far altro che ricordare al ministro della giustizia le parole di un suo ex collega: “Resistere, resistere, resistere…”

L’allarme in Cina minaccia anche noi (corriere.it)

Il virus in Cina circola in maniera molto vivace perché la campagna di vaccinazione è stata insufficiente ed evidentemente poco efficace.

La Cina è grande e molto popolosa e c’è anche da considerare la logistica complessa necessaria per vaccinare 1,4 miliardi di persone, che magari non sono neanche molto propense a farsi vaccinare. La mia opinione è che a questa situazione di scarsa protezione immunitaria a livello nazionale, si aggiunge la bassissima circolazione da Sars-Cov-2 in Cina negli ultimi tre anni: i focolai venivano immediatamente messi sotto sequestro in modo che il virus venisse eliminato completamente.

Quindi di virus Sars-Cov-2, nella forma asintomatica o sintomatica che fosse, non ne è girato quasi per nulla e di conseguenza c’è il rischio che centinaia di milioni di persone siano assolutamente scoperte dal punto di vista immunitario. Il virus quindi correrà fra le persone e i virus ora in circolazione, nella loro galoppata matta e disperatissima, staranno accumulando mutazioni su mutazioni con effetti a noi imprevedibili e sconosciuti.

Anche per questo mi preoccupa molto la mancanza totale di informazioni sanitarie e sulle caratteristiche genetiche dei virus in circolazione … leggi tutto

L’altra guerra senza senso (avvenire.it)

di Maurizio Ambrosini

Misure contro le navi umanitarie.

La guerra alle organizzazioni non governative, le Ong, che salvano persone in mare è una cifra identitaria del nazional-populismo italiano ed europeo.

Poco importa che le navi umanitarie nel 2022 abbiano soccorso appena l’11,2% delle poco più di centomila persone approdate sulle coste italiane. Gli altri o arrivano con i propri mezzi, oppure sono soccorsi da altre navi, con la Guardia costiera e la Marina militare in prima fila, sebbene costrette a operare in silenzio.

Dai primi giorni del suo insediamento, il governo Meloni aveva ripreso l’odiosa campagna contro le Ong, fino al punto da provocare una crisi dei rapporti con la Francia. Preceduto, va ricordato, dall’improvvida iniziativa dell’allora ministro Minniti che per primo ha fatto di tutto per imbrigliare le attività di salvataggio delle Ong con il suo “codice di condotta”.

Limitarne l’attività, se possibile allontanarle dalle acque territoriali, rendere più costosi e complicati i salvataggi: queste sono le linee-guida del governo Meloni. A cui si può aggiungere l’intento più malevolo e insidioso sul piano delle relazioni intergovernative: scantonare dall’obbligo di offrire approdo ai naufraghi e asilo ai profughi cercando di scaricarne l’onere sugli Stati di cui le navi inalberano la bandiera.

A scorrere l’elenco delle prescrizioni governative sembra che le navi umanitarie trasportino “rifiuti pericolosi” o svolgano un servizio di trasporto da disciplinare strettamente, perché foriero di chissà quali nefaste conseguenze. O le due cose insieme.

Basti pensare agli effetti di alcune disposizioni, se non interverrà un moto di resipiscenza nell’iter di approvazione del decreto. L’obbligo di raggiungere «senza ritardi» il porto assegnato fa pensare che se il comandante ricevesse un’altra richiesta di soccorso dovrebbe ignorarla, lasciando affondare le persone, per non procrastinare lo sbarco o deviare, dalla rotta assegnata.

I requisiti di idoneità tecnico-nautica innescano un paradosso analogo: se un salvataggio dovesse comportare il superamento del numero consentito di passeggeri, il comandante dovrebbe abbandonare qualcuno al suo destino?

Come minimo, il governo comunica una visione dei salvataggi in mare come un’attività dannosa, da circoscrivere, scrutare, penalizzare, con la minaccia di gravi sanzioni pecuniarie (cadute, per fortuna, quelle penali dell’epoca Salvini).

Serve ad aggravare i costi l’obbligo di raggiungere porti più lontani, anche se ammantato dalla (debole) motivazione di alleggerire i porti di approdo più prossimi: come se non si potesse in poche ore trasportare le persone, una volta sbarcate, in luoghi idonei ad accoglierle.

Ma non basta. L’imposizione di informare le persone tratte in salvo «della possibilità di richiedere la protezione internazionale», raccogliendo «i dati rilevanti» lascia trasparire l’obiettivo di devolverne la responsabilità agli Stati di bandiera delle navi.

Non solo provocherà tensioni con i Paesi amici (che accolgono, va sempre ricordato, più rifugiati di noi), ma solleverà seri dubbi di legittimità e praticabilità: le richieste di asilo secondo le norme vanno sottoposte alle autorità di Stato, che hanno titolo fra l’altro per verificare l’identità, la provenienza, l’autenticità dei documenti di chi le presenta. Non sembra sostenibile che dei soggetti privati, nella concitazione dei salvataggi e della prima assistenza in mare, possano farsene carico.

Da tempo ormai la nuova enfasi sui confini e sulla sovranità nazionale come valori pressoché assoluti ha messo nel mirino le organizzazioni umanitarie indipendenti, specialmente se basate all’estero. Il fatto che ricevano finanziamenti privati e pratichino una solidarietà che travalica i confini scatena un immaginario complottista, altro marchio di fabbrica del nazionalpopulismo.

Di solito sono governi autoritari come quello russo o quanto meno dai dubbi standard democratici, come l’Ungheria di Orbán, a intralciare o vietare le loro attività. Ora anche il governo Meloni si aggiunge a questa poco commendevole compagnia.

Se le Ong non piacciono, un’alternativa ci sarebbe: una seconda operazione Mare Nostrum, con un ampio dispiegamento della Marina militare, per trarre in salvo i naufraghi senza coinvolgere soggetti terzi. Ma temiamo che non si farà: se il primo bersaglio sono le Ong, il secondo sono le persone che vorrebbero cercare scampo al di là del mare.

Tant’è che noi europei, italiani purtroppo per primi continuiamo a sostenere la cosiddetta Guardia costiera e i «lager» – parola dell’Onu – della Libia.

IL GENIALE GENERALE SYRSKY, STRATEGA DELLA CONTROFFENSIVA UCRAINA (ilfoglio.it)

di CECILIA SALA

Dal 2013 lavora per adeguare Kyiv agli 
standard della Nato: 

nel 2014 i russi lo presero di sorpresa, quella di oggi è la sua rivincita

Kyiv, dalla nostra inviata. Il ministro della Difesa russo parla di un “riposizionamento di truppe” da Kupyansk e Izyum (nella zona di Kharkiv) verso il Donbas. Si riferisce ai suoi soldati che sono fuggiti di corsa mentre la controffensiva ucraina recuperava novanta chilometri in profondità nel territorio occupato.

(Oleksandr Syrsky)

Sui social network ucraini gira un video che è uno spezzone di un programma televisivo locale – una specie di X Factor dove i concorrenti però sono dei comici –, il presidente Zelensky era stato uno dei giudici del talent show e nel video lo si vede mentre si sganascia dalle risate. Sul palco, invece di un concorrente, c’è l’ologramma del portavoce della Difesa russa Igor Konasenkov preso dal filmato di ieri in cui parla del “riposizionamento”.

Dietro al successo della controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv e nel nord del Donbas c’è il generale Oleksandr Syrsky. E’ stata sua l’idea del tranello per confondere i russi con annunci continui di un imminente attacco nel sud che ha costretto Mosca a riposizionare in quella zona i suoi uomini lasciano scoperto il fianco est, dove gli ucraini hanno appena sfondato.

E’ l’operazione militare più spettacolare compiuta finora da Kyiv ed era anche più difficile della difesa della capitale dal pericolo di rimanere accerchiata alla fine di febbraio e poi a marzo. Anche la difesa di Kyiv all’inizio dell’invasione è stata organizzata dal generale Syrsky, che nei giorni immediatamento successivi al 24 febbraio aveva sorpreso il Cremlino e il Pentagono (la previsione di entrambi era che Kyiv sarebbe caduta in due o tre giorni) e anche i suoi superiori.

Un’esclusiva del Washington Post pubblicata il 24 agosto – a sei mesi esatti dall’inizio della guerra e nel giorno in cui si festeggia l’Indipendenza ucraina – aveva rivelato che nel gabinetto del presidente in pochi credevano che la capitale potesse tenere, considerando che ancora la mattina del 24 febbraio era protetta da una sola brigata: poi è arrivato Syrsky.

Gli analisti militari ucraini dicono che, prima dei risultati degli ultimi giorni, nello Stato maggiore molti dubitassero del piano di Syrsky e che lui abbia dovuto insistere a lungo prima di riuscire a imporre la sua strategia … leggi tutto