31 Agosto 2023
Se l’autonomia contraddice i principi del federalismo (lavoce.info)
Diseguaglianza
Nel disegno di legge sull’autonomia differenziata manca uno schema di riferimento organico per il finanziamento delle funzioni aggiuntive. Da integrare con un sistema di perequazione appropriato per le materie già ora attribuite alle regioni.
Cosa manca nel Ddl Calderoli
L’attuazione dell’autonomia differenziata solleva una serie di questioni di grandissimo rilievo per la gestione delle politiche pubbliche, per la loro sostenibilità finanziaria e, in definitiva, per la tenuta del paese.
Quale sia il problema dei problemi è chiaro: l’eccezionale ampiezza delle funzioni pubbliche, oggi esercitate dallo stato, che la Costituzione (articolo 116, comma 3) permette a singole regioni di acquisire, per gestirle in proprio; e, pertanto come si possa evitare, senza passare attraverso la gravosa procedura di revisione costituzionale, lo scenario drammatico di una frammentazione “a macchia di leopardo” dell’intervento pubblico in una serie di ambiti fondamentali: dalla scuola alle grandi reti di trasporto.
Concentriamoci però sul profilo, apparentemente più tecnico, del finanziamento delle funzioni regionali aggiuntive. Il disegno di legge Calderoli, che dovrebbe fissare i principi per l’attuazione dell’autonomia differenziata, lascia la questione irrisolta: di fatto, affida la determinazione delle risorse fiscali per l’esercizio delle funzioni acquisite dalle regioni differenziate, e la loro revisione nel tempo, ad accordi che il governo e la singola regione interessata dovranno raggiungere dopo l’approvazione della specifica intesa.
Al contrario, il disegno di legge dovrebbe stabilire uno schema di riferimento unitario e organico per gli elementi costitutivi fondamentali del meccanismo di finanziamento delle funzioni aggiuntive, che potranno poi essere tarati sulle singole regioni differenziate, a seconda della portata finanziaria delle funzioni decentrate.
Cosa manca dunque nel disegno di legge Calderoli? Manca, innanzitutto, una inequivoca regolazione delle modalità di revisione nel tempo delle risorse da attribuire a ciascuna regione differenziata dopo il primo anno di applicazione.
Andrebbe specificato a chiare lettere che l’ammontare delle risorse riconosciute per le funzioni devolute – che interessano diritti civili e sociali (per le quali saranno fissati livelli essenziali delle prestazioni-Lep) – dovrà essere rideterminato periodicamente in relazione alla revisione dei Lep medesimi e agli interventi di correzione dei conti pubblici da calcolare per tutti i territori regionali, sia quelli che restano sotto la competenza statale sia quelli che passano sotto la competenza regionale.
Non dovrebbe essere ammesso per nessuna regione differenziata un surplus positivo tra risorse e fabbisogni di spesa Lep. E questo per evitare che l’autonomia differenziata finisca per trasformarsi in una riedizione delle regioni a statuto speciale, in cui le risorse attribuite non corrispondono ai fabbisogni.
Parallelamente, è anche necessario regolare le modalità di determinazione delle risorse finanziarie e della loro evoluzione nel tempo per le funzioni diverse da quelle in cui rilevano i Lep (il cui trasferimento, secondo il disegno di legge Calderoli, potrebbe seguire un binario accelerato rispetto alle funzioni Lep).
Tali risorse potrebbero essere determinate inizialmente sulla base della spesa storica erogata nella media degli ultimi anni dallo stato (anche in assenza di un aggancio ai Lep) nei territori delle regioni differenziate. E potrebbero essere successivamente riviste sulla base, per esempio, dell’evoluzione della spesa programmata per tali funzioni dallo stato nei territori che rimangono sotto la sua competenza.
Andrebbero poi specificamente previste le modalità di monitoraggio e verifica da parte dello stato dell’effettiva erogazione nelle regioni differenziate delle prestazioni previste dai Lep (verifiche che non “possono”, come recita il disegno di legge, ma “devono” essere attivate dal governo, in assenza di vincoli di destinazione sulle risorse attribuite).
Il disegno di legge dovrebbe poi identificare le sanzioni che andrebbero attivate nel caso di regioni differenziate inadempienti rispetto ai doveri di fornitura delle prestazioni tutelate da Lep (in termini di obblighi di incremento della tassazione regionale o di limitazioni dell’autonomia di gestione, per gli ambiti dove il monitoraggio ha evidenziato criticità).
La questione delle compartecipazioni
In termini ancor più generali, è difficile pensare di costruire un sistema ordinato di finanziamento delle funzioni aggiuntive per alcune regioni (quelle differenziate) se prima, o quantomeno parallelamente, non viene data attuazione al meccanismo di finanziamento e perequazione delle funzioni già oggi attribuite a tutte le regioni.
Quel meccanismo, fatto di tributi regionali propri, compartecipazioni su tributi erariali e fondo perequativo basato su fabbisogni standard e capacità fiscali, è ancora lettera morta dalla legge sul federalismo fiscale del 2009. Non che il finanziamento delle funzioni aggiuntive attribuite alle regioni differenziate debba basarsi sugli stessi elementi costitutivi di quello delle funzioni già assegnate a tutte: interessando soltanto specifiche regioni su specifiche funzioni, non potrà ricorrere a tributi propri regionali ma soltanto, necessariamente, a trasferimenti o compartecipazioni su tributi erariali territorializzati.
Tuttavia, le due gambe del finanziamento regionale (quello delle funzioni esercitate da tutte le regioni e quello delle funzioni aggiuntive delle sole regioni differenziate) devono collocarsi all’interno di un sistema integrato (come peraltro previsto dalla Costituzione quando stabilisce che l’autonomia differenziata debba realizzarsi “nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119”, cioè del federalismo fiscale).
E questo per almeno due ragioni. La prima è che, in presenza di una devoluzione massiccia di nuove funzioni aggiuntive, potrebbe concretizzarsi un problema di capienza delle compartecipazioni regionali sui tributi statali, che sono già ampiamente impiegate per il finanziamento delle funzioni già oggi regionali (ad esempio, l’Iva è già compartecipata al 70,14 per cento per la sanità regionale).
La seconda ragione riguarda un aspetto equitativo: se non si attua prima il federalismo fiscale per tutte le regioni, e se quindi non si costruisce un meccanismo di perequazione dei tributi regionali (non impiegati nella sanità), alcuni territori (quelli ricchi) avranno risorse fiscali proprie non giustificate, che potranno usare per integrare il finanziamento standard delle funzioni aggiuntive (per coprire inefficienze o garantire prestazioni in più senza affidarsi allo sforzo fiscale); mentre le regioni più povere, con tributi propri non perequati, avranno maggiori difficoltà ad accedere alle funzioni aggiuntive.
Un punto di caduta di tutta l’attuazione dell’autonomia differenziata sarà comunque un cambiamento profondo nella struttura delle entrate nei bilanci regionali (vedi qui): se le regioni differenziate dovessero assumere funzioni aggiuntive rilevanti dal punto di vista delle risorse coinvolte (è ancora il caso della scuola), il loro finanziamento, che deve realizzarsi necessariamente mediante compartecipazioni, spingerebbe sempre più i bilanci regionali verso uno stato di “finanza derivata”, dove i tributi propri avrebbero un peso sempre più marginale.
Proprio il contrario del federalismo fiscale, che vede nell’autonomia tributaria un elemento fondamentale di responsabilizzazione dei governi decentrati. Una ragione, anche questa, per limitare la portata dell’autonomia differenziata a quel carattere di variazione al margine che la Costituzione intende assegnarle (vedi qui).
Vite sospese: sulle alpi italiane un pittore russo accoglie chi scappa dalla guerra (valigiablu.it)
di Leonardo Delfanti e Raffaele Buccolo
Con l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina entrata nel suo secondo anno,
oltre otto milioni di ucraini e quasi un milione di russi hanno dovuto abbandonare il loro paese. Questo ha portato persone di età diverse e diversa provenienza a condividere una necessità comune: fuggire. Quando chiediamo a Zoya della guerra, ci mostra le foto del bunker in cui ha vissuto con Moskva, la sua cagnolina.
Oggi, a distanza di mesi, Zoya non sa cosa sia rimasto della sua casa. Lev, invece, scappa dalla Russia e non vorrebbe tornarci. Spera di costruire la sua vita in Italia. Entrambi vivono la loro attesa a Stone Oven House dove rifugiati e dissidenti trovano riparo dalla guerra e dalle persecuzioni politiche.
Stone Oven House aderisce ad Artist at Risks, una NGO pensata per offrire rifugio ad artisti dissidenti o in fuga da zone di guerra. Il network, che oggi conta 26 partner in 19 nazioni, ha vinto nel 2016 il Premio del Cittadino Europeo, riconoscimento dato dal Parlamento Europeo a quelle organizzazioni che nella loro quotidianità mettono in pratica valori di ospitalità e integrazione tra i paesi membri.
Lev e Zoya oggi vivono nel rifugio con Sergey e Claudia. Sono loro i proprietari di Stone Oven House. Sergey è un artista e dissidente russo, ha 38 anni, è sorridente, esploratore, attivista e continuamente indaffarato. Claudia è un’artista italiana, giovane curiosa ed energica, ha passato diversi anni tra Italia e Cina. Insieme, come risposta alla violenza hanno aperto le porte della loro grande casa a chiunque scappi dalla guerra.
“Sergey rendi questo mondo un posto migliore riunendo le persone indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione, dall’orientamento sessuale”, è uno dei tanti commenti che si possono leggere sul profilo Facebook di Sergey.
All’origine: la Russia di Sergey prima del conflitto
La decisione di ospitare russi e ucraini che lasciano il proprio paese ha radici lontane, è da ricercare nella storia personale di Sergey: “Sono scappato dalla Russia perché di lì a poco sarei stato costretto a prestare servizio militare. Non riuscivo a immaginare il mio futuro lì”, Sergey racconta che non sono solo le politiche del governo ad averlo spinto a lasciare il Paese, quanto più gli effetti sulle persone vicine a lui: “Molti miei amici e persone con cui lavoravo non non si interessano alla politica, troppi non hanno una visione chiara e nemmeno interesse. Tutti loro contribuiscono ad alimentare un sonno politico in cui tutti accettano tutto”.
Così, nel 2009, Sergey lascia Voronezh per Shanghai, dove lavora come artista a tempo pieno. Volendo esplorare i limiti del denaro negli scambi comunitari, Sergey lancia il progetto In Kind Exchange, un viaggio che attraversa i cinque continenti per ritrarre chiunque lo desideri in cambio di con un pasto caldo, un passaggio in auto o un oggetto utile.
Paese dopo Paese Sergey doppia un intero parallelo visitando oltre trentacinque nazioni La sua storia diventa presto virale tanto che Forbes Russia nel 2013 lo inserisce tra le 5 persone al mondo ad aver “rifiutato il denaro ed essere sopravvissute”.
Quando pensa alla Russia Sergey racconta di un luogo molto diverso da quello che ha lasciato: “Non è stata sempre così, ma oggi è difficilissimo portare avanti un progetto di vita e costruire lì il proprio futuro”.
“Ho imparato a conoscere la politica quando sono andato via dalla Russia” riflette Sergey. “Oggi – racconta a Valigia Blu – puoi venire arrestato semplicemente se chiami ‘guerra’”’ la loro ‘operazione speciale’”.
“Quando apri un resoconto pubblico, vedi il costo di una strada e ti rendi conto che è dieci volte superiore a qualsiasi città europea, comprendi che qualcosa non funziona”. racconta ancora Sergey.
I giorni di Zoya in attesa di tornare a Kharkiv
A Stone Oven House la vita segue il ritmo di un normale paesino d’alta montagna. Si spacca la legna, si fa il fuoco, si cucina e si passa tanto tempo insieme. Per chi ha trovato rifugio in questa casa la vita è come sospesa. Alcuni aspettano la fine della guerra per tornare in Ucraina, altri aspettano un cambio di direzione nelle politiche di Mosca.
Le temperature sono mediamente rigide come nel resto dei paesaggi di montagna ma nettamente superiori alle medie stagionali. La casa è grande e la legna si consuma in fretta.
A turno si cucina la cena ma il più delle volte è Zoya a cucinare. Le differenze spesso sono labili, tantissime pietanze appartengono a entrambe le culture. Nella casa sulle Alpi non c’è una televisione. Un proiettore trasmette durante la cena una ricca collezione di cartoni ucraini che risalgono agli anni ’80.
“In molti criticano la mia decisione di vivere con persone di nazionalità russa, però a me questo non interessa. Le nostre culture sono così simili, i nostri popoli sono così vicini, mi manca molto l’Ucraina e qui ho trovato un clima di ospitalità e vicinanza”, esclama Zoya, mentre Sergey ci aiuta con le traduzioni.
Quando le chiediamo se ha informazioni sullo stato della sua abitazione, Zoya ci mostra centinaia di foto scattate durante i mesi passati nel bunker a Kharkiv. Nonostante parli quotidianamente con i suoi amici in Ucraina, oggi non sa esattamente lo stato in cui si trova la sua casa.
Prima della guerra Zoya insegnava arte in un istituto nella sua città. Oggi insegna ancora ma a distanza. Si collega quotidianamente su Zoom con i suoi giovani studenti sparsi in Europa. “La guerra ha cambiato anche loro”, commenta mentre ci mostra alcuni dei lavori della classe. Ha una figlia in Belgio e passa molto tempo al telefono con lei.
Le sue giornate trascorrono tra passeggiate in solitaria, la preparazione del pranzo, la cura della casa ed i suoi dipinti. Per Zoya il telefono è molto importante: le permette di vivere in Ucraina con gli occhi, di tenere un contatto quotidiano. Ascolta video e programmi nella sua lingua. Zoya ha molti amici in Ucraina che la aggiornano con frequenza quotidiana sulla situazione.
Il 24 febbraio, a un anno dall’inizio del conflitto, siamo con lei. Per tutto il giorno resta sintonizzata su una radio ucraina mentre dipinge una madonna col bambino. I due si stagliano dorati su un fondale nero. “La mia arte è molto cambiata dall’inizio della guerra” ci spiega.
Pochi giorni prima dell’invasione Zoya era stata a Venezia. I suoi acquerelli pieni di vita celebravano una città simbolo di bellezza e ispirazione. Oggi solo la tecnica è rimasta la stessa. Grandi pennellate hanno preso il posto di dettagli sottili, Marie che soffrono hanno preso il posto delle calli baciate dal sole.
Nel pomeriggio, invece, Lev e Zoya chiedono di andare a una manifestazione per la pace a Pinerolo, un vicino comune ai piedi della valle. Quando Lev e Zoya arrivano, incontrano il corteo a metà strada, Lev e Zoya si fermano al centro della folla e a turno tengono in alto un cartello in cui è stato scritto con un pennarello nero: “War 1467 Km”. Mette in risalto la distanza da Pinerolo al confine Ucraino.
Zoya ci tiene a parlare del suo passato, racconta molto e i suoi dettagli sono precisi. Il bunker, il letto, l’armadio, le pentole, tutto segue un racconto chiaro delle giornate in Ucraina dopo l’invasione.
A Kharkiv per alcuni mesi Zoya ha continuato a vivere in un bunker di fortuna ricavato nelle cantine dell’edificio, poi ha deciso di lasciare il suo Paese perché era diventato troppo rischioso restare. Un’indagine dell’International Organization for Migration registra, durante quei giorni a Kharkiv il più alto numero di partenze di tutto il paese, calcolando che il 27% degli abitanti totali avevano lasciato la propria casa in poche settimane.
Quando Zoya lascia Kharkiv, l’aggressione è in fase avanzata. Mentre si trova nel bunker, alla sua casa scoppiano tutti i vetri delle finestre a causa dei forti bombardamenti. Lei sente, resta chiusa per diverse ore nel sotterraneo, poi esce e fotografa grandi nuvole di fumo sparse su tutta la città. Oggi l’esercito ucraino ha riconquistato gran parte del territorio di Kharkiv spostando l’aggressione via terra sul confine est del paese. Tuttavia gli attacchi aerei rendono ancora rischioso ed incerto il ritorno.
Zoya racconta che i russi sono andati via alla fine dell’estate dello scorso anno, lasciando alle loro spalle terra bruciata. Seppur i militari oggi abbiano lasciato ufficialmente la regione, persistono costanti i problemi legati alla linea elettrica e di banda dovuti ai bombardamenti che la Russia concentra sulle infrastrutture strategiche.
Kharkiv è una delle città più grandi per popolazione in Ucraina con il suo milione e mezzo di abitanti. Dal 1919 al 1934 è stata anche capitale dell’Ucraina e la sua piazza più grande si chiama piazza della libertà, nome assegnato nel 1966 in seguito all’indipendenza dell’Ucraina dall’Unione Sovietica.
I giorni di Lev in fuga dalla Russia
Lev divide le sue giornate tra legna e rattoppi qua e là. Alla sera si chiude nel suo studio e dipinge le proteste LGBTQ che ha vissuto a Mosca. Di origini kazake, ha ottenuto la cittadinanza russa dopo essersi trasferito ancora giovane a Voronezh, assieme alla famiglia.
“Il giorno dello scoppio della guerra ho scritto un post su Facebook”, ci dice, “e poche ore dopo la direttrice del teatro in cui lavoravo mi ha chiamato. Il giorno dopo sono stato ripreso da due agenti dell’FSB”. Lev viene segnalato dai servizi segreti russi. Da lì a pochi giorni è costretto a prendere un aereo per Istanbul e poi a volare in Italia dove arriva a Rorà. Conosce Sergey perché entrambi provengono da Voronezh. Sorride continuamente, “Ho sempre saputo di essere gay” dice, “ma non tutti sono così fortunati”.
Dieci anni dopo la legge russa sulla propaganda gay, che mirava a difendere i bambini dall’esposizione alla omonormatività e accostava pubblicamente il termine omosessualità alla pedofilia, nulla è cambiato. La legge da allora ha portato ad un incremento delle violenze nei confronti di persone non eterosessuali, come testimoniano decine di aggressioni avvenute negli ultimi anni.
La stessa legge ha contribuito ad alimentare una percezione distorta nella popolazione, parlando spesso di omosessualità e pedofilia come termini di vicino singificato. “Quando vengono condotte interviste alla popolazione, spesso le domande stesse sono poste in maniera sbagliata”, racconta Lev. “In un noto centro oggi attivo in Russia, qualche anno fa intervistò anche me sul tema dell’omosessualità e alcune domande, però, accostavano omosessualità e pedofilia quasi a voler intendere una radice comune”.
In Russia, ancora oggi, l’omosessualità è vista e raccontata come una malattia. Gli psicologi – spiega aValigia Blu Lev – possono denunciare alle autorità il paziente che dichiara o confida di non essere eterosessuale. Sono poi la maggior parte delle autorità religiose stesse a perseguitare l’omosessualità, ed è un punto cruciale se si pensa che proprio la chiesa ortodossa ha un’influenza assai elevata.
Durante la cena Lev ritorna con i pensieri al funerale di suo padre. La chiesa è gremita di parenti, amici familiari e conoscenti, il prete termina l’omelia, torna al microfono e cerca lo sguardo di Lev, lo indica e a gran voce scandisce: “È solo colpa tua se tuo padre oggi non è più tra noi”.
Lev ha avuto la fortuna di vivere a Mosca e Voronezh, città abbastanza grandi per dare nell’occhio ma non per tutti è così: “In Cecenia – ci racconta a cena – uccidono te e la tua famiglia se non sei eterosessuale”. Lev conosce un ragazzo ceceno che ha lasciato il suo paese e con lui tutta la sua famiglia. Oggi non ci sono più: sono stati seguiti, trovati ed uccisi.
Nelle sue opere, spesso autofinanziate, Lev ha indagato il legame esistente tra politica e religione nella Russia di Putin. Attraverso una rete di contatti, è riuscito a ottenere le copie delle opere di Pavel Krisevich, uno dei tanti dissidenti finiti in carcere perché contrari al regime.
“Allo scoppio della guerra si è legato a una croce nella Piazza Rossa davanti all’edificio del FSB e come un Cristo ha finto di darsi fuoco”, ci spiega Lev. Oggi Pavel è nella prigione di Butyrka a nord di Mosca, una delle più temute. Pavel ha una condanna a 5 anni per simulazione di suicidio in pubblico. Le sue opere oggi si trovano in una stanza di Stone Oven House.
In un testo che accompagna le sue cartoline di vita carceraria quotidiana scrive: “Un orizzonte di gelo ha avvolto non solo la Russia, ma il mondo intero. I miei lavori sono anche per loro, perché quando sentiamo il freddo cerchiamo di essere più vicini. La repressione e l’ingiustizia sono precursori del freddo, noi siamo per l’alba, per la primavera.”
La storia di AfroAtenAs, il collettivo LGBTQ+ più famoso di Cuba che ha trasformato un quartiere discarica in un modello di sviluppo urbano e umano (valigiablu.it)
Un anno di accoglienza in Europa dei rifugiati ucraini (euronews.com)
Esattamente anno fa l'Unione Europea apriva le sue porte ai rifugiati ucraini,
attivando la Direttiva sulla protezione temporanea, che ha concesso a quattro milioni di persone un permesso di soggiorno fino a marzo 2024.
A dodici mesi da quella decisione senza precedenti la commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson traccia un bilancio sull’accoglienza, non sempre facile, nei Paesi dell’Unione.
“Sono molto occupata, non riesco a trovare pace, perché devo costantemente completare qualche pratica burocratica, c’è sempre un documento che sta per scadere o qualcos’altro del genere.
Non ho il tempo di dedicarmi all’apprendimento del tedesco, né di occuparmi di mia figlia”, dice a Euronews Albina, una giovane rifugiata ucraina in Germania. Cosa si può fare, allora, per snellire le procedure previste per i rifugiati?
“Ovviamente le problematiche sono tante – risponde la commissaria-. Stiamo ospitando quattro milioni di rifugiati ucraini: davvero una sfida enorme, per tutta l’Europa e specialmente per quegli Stati membri più interessati, come Repubblica Ceca, Estonia, Polonia, ma anche Germania.
Ma in prospettiva, se qualcuno avesse chiesto un anno fa, prima che scoppiasse la guerra: ‘Sarete in grado di gestire quattro milioni di nuovi rifugiati?’ Penso che pochissimi avrebbero risposto positivamente senza alcuna esitazione. Quindi, tenendo conto delle enormi sfide da affrontare, penso che i risultati siano davvero ottimi” … leggi tutto
Cosa accomuna ucraini e iraniani. Nella loro scelta intrepida c’è l’amore per la libertà (ilfoglio.it)
PICCOLA POSTA
Un legame autorizzato al primo sguardo dal contesto: nel tempo in cui gli ucraini si battono sul fronte e le persone libere dell’Iran tengono le strade, scioperano, cantano e sfidano i proiettili e la forca, la Russia di Putin e l’Iran di ayatollah e pasdaran sanciscono l’alleanza strategica
L’altra sera sulla 7 era ospite di Concita De Gregorio, in un programma dedicato ai libri, Maya Sansa, per parlare delle donne iraniane, della loro persecuzione e della loro rivoluzione. Ci sono capitato per caso, e ho perso tutta una parte. Peccato, Maya Sansa è una donna molto brava e diceva cose molto belle.
L’ho sentita interrogarsi su che cosa spinga le ragazze e i ragazzi e tanta gente nell’Iran curdo, farsi, baluci, ad affrontare così impavidamente la morte. Noi, diceva, non sappiamo più immaginarlo: gli ultimi a mostrarsi pronti a dare la vita per una causa nel nostro mondo sono stati forse i partigiani… Mi ha colpito: perché c’è da mesi, nel centro dell’Europa, un popolo, una sua gran parte, pronto a dare la vita per resistere a un invasore e ricacciarlo indietro, lui e l’idea della vita cui vorrebbe asservirlo. Come mai non è venuto in mente a una persona sensibile come Maya Sansa?
Forse per il modo militare, tecnologicamente armato, che connota la difesa ucraina? Certo è, almeno finora, una gran differenza dalla ribellione iraniana, che è nonviolenta e guidata da donne, quelle che in Ucraina sono esonerate dai combattimenti se non nei (numerosi) casi volontari.
Tuttavia a Sansa è venuto in mente il paragone con la Resistenza partigiana, che era sia pur irregolarmente militare e armata, prevalentemente maschile benché forte di una partecipazione femminile, e inoltre fornita di armi da regolari e potenti forze militari alleate. E non combattevano una guerra per delega ma la guerra per la propria libertà, come l’Ucraina oggi.
Mi importa perché, al contrario, trovo un legame obiettivo, come si dice, fra la resistenza ucraina e la rivoluzione iraniana, e mi augurerei che il legame fosse reso soggettivo e consapevole. Lo autorizza al primo sguardo il contesto: nel tempo in cui gli ucraini si battono sui fronti e tengono duro nella città, nelle case, nell’esilio, e le persone libere dell’Iran tengono le strade, scioperano, cantano e sfidano i proiettili e la forca, la Russia di Putin e l’Iran di ayatollah e pasdaran sanciscono l’alleanza strategica, la “piena partnership militare”, già sperimentata servendo in Siria alla tirannide del boia al Assad.
Dunque sono i droni e missili iraniani forniti all’esercito russo a colpire e distruggere le fonti di energia, luce, riscaldamento, l’acqua, i magazzini, da cui dipende la sopravvivenza della popolazione civile ucraina. E, reciprocamente, si prepara l’invio dei caccia russi Sukhoi 35, oltre che degli ultimi elicotteri e dei sistemi contraerei più spinti all’Iran. I rispettivi armamenti vengono scambiati insieme ai brevetti che li rendono fabbricabili nei due paesi.
C’è un’alleanza che si fa sempre più stretta fra Russia e Iran e una ancora quasi inavvertita fra la gente iraniana e ucraina che si battono per la libertà. Oggi di colpo il resto del mondo ha imparato che in farsi libertà si dice Azadì – in ucraino si dice, come in russo, Svobòda (o Vòlia).
Ad accomunare oggi ucraini e iraniani, sia pure distinguendovi la parte diversa che vi tiene l’oppressione e la rivendicazione della libertà femminile, c’è la disposizione a dare la vita per una causa. Si può dire meglio: a dare la vita per la vita. Jin, Jiyan, Azadi – donna vita libertà. Il secondo termine del trinomio iraniano è Jiyan: dunque proprio così, dare la vita per la vita.
Non basta infatti la disposizione a dare la vita, e può succedere che sia la vocazione peggiore. L’islamismo jihadista ne ha offerto e continua a offrire un esempio, e si può propriamente dirlo dare la vita per la morte. Il punto è la libertà. Chi creda che gli ucraini si battano per un fanatismo o per un gregarismo sciovinista, o per delega di burattinai stranieri e potenti – come le ragazze iraniane nella versione degli ayatollah – non vedrà un’amicizia possibile fra la sponda del Dnipro e le strade di Teheran.
Chi sappia riconoscere nella loro scelta intrepida l’amore per la libertà può farsi un’idea di ciò che potrebbe diventare di nuovo attuale per lei, per lui.
(Protesta contro la morte di Mahsa Amini in Iran – LaPresse)
Rapporto Censis, la fotografia dell’Italia malinconica e impaurita dalla guerra: il Paese entra nel “post-populismo” (ilriformista.it)
L'analisi del 56esimo Rapporto Censis
“La malinconia definisce il carattere degli italiani, il nichilismo. È la fine dell’era dell’abbondanza e delle sicurezze”. È il ritratto del nostro Paese secondo Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, presentando la 56esima edizione del Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2022.
Una malinconia che “corrisponde alla coscienza della fine del dominio dell’Io sugli eventi del mondo, l’Io che è costretto a confrontarsi con i propri limiti quando è costretto a relazionarsi con il mondo”. Situazione che deriva da questi ultimi 3 anni “straordinari” che hanno visto eventi eccezionali che vanno dalla pandemia alla siccità fino al caro bollette e alla guerra, “i grandi eventi della storia che si è rimessa in moto e con cui dobbiamo relazionarci”.
L’Italia povera
Entrando nel merito dei numeri messi insieme dal rapporto Censis, emerge come nel 2021 un italiano su quattro, il 25,4 per cento della popolazione, sono soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale. Di questi, proponendo ancora una volta la nota quanto irrisolta “questione meridionale”, il 41,2% sono residenti nel Mezzogiorno a fronte del 21% nel Centro, del 17,1% nel Nord-Ovest e del 14,2% nel Nord-Est.
In totale le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,5% del totale: un milione in più rispetto al 2019.
I timori del Paese, dall’inflazione alla guerra
Quindi le paure degli italiani, i timori e lo sguardo preoccupato al futuro. I due temi forti in questo caso sono la crisi economica e la guerra. Gli italiani temono infatti più di tutto la corsa dell’inflazione e il rincaro dei prezzi: per questo oltre il 64% sta mettendo mano ai risparmi e le prospettive sono drammatiche. Per la quasi totalità degli italiani, il 92,7 per cento, è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi.
L’altra grande preoccupazione riguarda il conflitto in corso in Ucraina. Per il 61,1% il rischio è che possa esplodere una nuova guerra mondiale e il 57,7% crede che l’Italia stessa possa entrare attivamente a far parte del conflitto.
Il post populismo
Il rapporto Censis definisce l’attuale fase in cui è entrato il Paese come “il ciclo del post-populismo”. “Siamo in una fase di post populismo”, ha infatti sottolineato Valeri nel presentare il rapporto, “non ha più senso parlare di populismi, c’è una continuità tra il governo precedente e quello di oggi” e, ha aggiunto, “c’è questa ritrazione silenziosa dei cittadini ‘perduti’ della Repubblica”.
Colpa, spiega il Censis, degli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia Covid, la guerra alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica che affligge il Paese, con la paura di essere esposti a rischi globali incontrollabili.
A cambiare in questo nuovo scenario è anche l’immaginario collettivo, in cui irrompe fortemente l’austerità. Da qui la crescita della repulsione verso i privilegi considerati “odiosi”.
Gli italiani trovano “insopportabili” i seguenti fenomeni: la disparità salariale tra dipendenti e manager (87,8%), i bonus milionari di buonuscita per i manager, pagati per andarsene piuttosto che lavorare (86,6%), le tasse troppo basse pagate dai colossi del web (81,5%), i guadagni degli influencer, gli eccessi e gli sprechi per le feste delle celebrità (78,7%), l’uso di jet privati (73,5%) e l’ostentazione sui social di spese stratosferiche in hotel, ristoranti e locali notturni (69,3%).
Il rapporto evidenzia che queste “insopportabilità sociali” non sono liquidabili come “populiste” ma “sono i segnali del fatto che nella società si è già avviato un ciclo post-populista basato su autentiche e legittime rivendicazioni di equità, in una fase in cui molti sentono messo a repentaglio il proprio benessere”.
Bulgaria – Troppo caro amico (novayagazeta.eu)
di Ilya Azar
Come la guerra in Ucraina ha cambiato l'atteggiamento dei bulgari nei confronti della Russia e di Putin: un rapporto di Ilya Azar
La Russia è stata comunemente vista in Bulgaria come una sorella maggiore dalla seconda metà del 19 ° secolo, quando l’imperatore Alessandro II liberò quella nazione slava dal dominio ottomano. La Bulgaria socialista emersa dopo la seconda guerra mondiale ha persino cercato di unirsi all’URSS come 16a repubblica. Gli anni passarono, ma il paese che aderì all’Unione Europea e alla NATO negli anni 2000 amava ancora non solo la cultura russa, ma anche Vladimir Putin, che era visto come un campione dei valori ortodossi tradizionali. La guerra ha cambiato tutto: gli indici di popolarità di Putin, che a volte raggiungevano il 70%, sono crollati immediatamente. Il paese che è sempre completamente dipendente dal gas russo ha rifiutato di pagare Gazprom in rubli ad aprile, e quest’ultimo ha interrotto la fornitura di gas. Il giornalista Ilya Azar si è recato a Sofia e Varna per vedere come Mosca è riuscita ad alienarsi non solo le autorità bulgare, ma anche il pubblico locale noto per i suoi sentimenti russofili.
Ivan Kalchevsi è laureato tre volte in fisica, informatica e psicologia, ed è stato anche membro del Green Movement, un’organizzazione ambientalista, per dieci anni. Nel marzo 2022, è andato in Ucraina e si è unito alle sue forze armate.
“Perché sei andato a combattere in primo luogo? Avevi già prestato servizio militare?” Chiedo a Kalchev mentre prendiamo posto con le nostre tazze di caffè nella terrazza di un caffè a Sofia.
“No”, risponde, sorprendendomi con la sua risposta.
Forse sono stato tratto in inganno dall’aspetto di Kalchev: è severo e laconico, e indossa un vestito da motociclista.
(Ivan Kalchev. Foto: offnews.bg)
“Allora questo è abbastanza insolito.” Dico.
“E io sono davvero una persona insolita”, risponde Kalchev con un sorriso e spiega che voleva “vedere come funziona il sistema militare e come le persone interagiscono in una situazione estremamente stressante per usare questa esperienza più avanti in politica”.
Kalchev è stato a lungo coinvolto nelle proteste di piazza contro il governo bulgaro, che è stato guidato per più di dieci anni da Boyko Borisov del partito noto come Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria (GERB, un acronimo che significa anche “emblema nazionale” o “stemma” in bulgaro). Kalchev è sicuro che, in tutti gli anni in cui ha partecipato ai raduni a Sofia, si è opposto allo stesso nemico che ha combattuto anche in Ucraina.
In senso lato, intende vestigia del passato sovietico.
“Coloro che hanno governato la Bulgaria per 45 anni [dopo la seconda guerra mondiale], intendo ex funzionari della sicurezza e i loro complici, hanno ancora il controllo di una grossa fetta dell’economia e del sistema politico”, dice Kalchev. “Li abbiamo combattuti per strada – senza armi, ma con gli altoparlanti. Abbiamo bloccato gli attraversamenti stradali al traffico e organizzato raduni e scioperi”.
Hristo Ivanov, co-presidente del blocco di partiti Bulgaria Democratica, cita Georgi Gergov, console onorario della Russia a Plovdiv, come esempio di quelle persone di cui Kalchev mi ha parlato.
“Ha iniziato a fare affari sotto Zhivkov [Todor Zhivkov, il leader di lunga data della Bulgaria socialista], che ha cercato di lanciare qualcosa di simile al modello jugoslavo negli ultimi anni del suo governo. Quell’uomo era legato al KGB bulgaro, e all’inizio della transizione [verso un’economia di mercato], improvvisamente è emerso pieno di denaro, ha fatto amicizia con Borisov e ha iniziato a influenzare le nomine, compresa la scelta di un candidato per il procuratore generale”.
(Hristo Ivanov. Foto: Ilya Azar, in esclusiva per Novaya Gazeta Europe)
In Ucraina, Kalchev prestò servizio in “l’unico battaglione i cui comandanti usavano l’inglese”. A maggio, la sua unità fu coinvolta nella liberazione dei villaggi nella regione di Kharkiv e “costrinse l’artiglieria russa a ritirarsi di 15-20 chilometri, il che permise a Kharkiv di tornare alla vita normale”. Kalchev entrò anche a Kupiansk durante la controffensiva dell’esercito ucraino a settembre.
“È ancora strano vedere una vita assolutamente tranquilla a Sofia”, dice Kalchev, sorseggiando il suo caffè.
“Hai intenzione di tornare?” Gli chiedo.
“Forse non come soldato, ma forse in qualche altro ruolo. Come reporter, per esempio”.
“Ne hai abbastanza?”
“C’è bisogno di me qui più che di là. L’Ucraina sta vincendo la guerra senza di me, comunque, ma qualcuno deve dare speranza alla gente qui”, risponde Kalchev.
Elezioni ininterrotte
Kalchev tornò dalla guerra per candidarsi al parlamento il 2 ottobre. Fu nominato dal blocco di partiti della Bulgaria Democratica e perse. Questa è stata la terza elezione in cui Kalchev ha subito una sconfitta, eppure non ci sono motivi per cui si perda d’animo: è molto probabile che i bulgari debbano andare di nuovo ai seggi elettorali la prossima primavera.
Il fatto è che i bulgari hanno eletto il parlamento quattro volte nell’ultimo anno e mezzo, ma i politici non sono ancora stati in grado di mettere insieme una coalizione stabile.
“Mi piace prendere in giro i legislatori locali”, dice con un sorriso l’ex deputato della Duma di Stato russa Gennady Gudkov, che attualmente vive in Bulgaria. “Dico loro: ‘Ragazzi, sono stato eletto alla Duma quattro volte, ma è stato nel corso di 15 anni. E riesci a farti eleggere tre volte in un anno! È incredibile quanto tu debba essere esperto ora!” Ma comunque, sono in una posizione migliore di noi. La Russia ha elezioni senza elezioni, ma qui ci sono elezioni [vere], anche se senza fine”.
Le elezioni dell’aprile 2021 sono state vinte da GERB e il partito There is Such a People guidato da Slavi Trifonov, conduttore televisivo e frontman del gruppo musicale Ku-ku Band, è arrivato secondo. Borisov non è riuscito a costruire una coalizione all’epoca, e GERB e There is Such People hanno cambiato posto nelle prossime elezioni nel luglio 2021. Nessuna coalizione è stata riunita e gli elettori frustrati hanno poi sostenuto un nuovo progetto politico chiamato We Continue the Change.
Il suo leader Kiril Petkov, un uomo d’affari e laureato all’Università di Harvard, era appena in grado di formare una coalizione e diventare primo ministro, eppure il governo si sciolse sei mesi dopo, quando Trifonov lasciò la fragile alleanza, dopo di che furono indette nuove elezioni parlamentari.
Mentre GERB lo ha vinto il 4 ottobre 2022, ha ottenuto solo 67 dei 240 mandati. Il partito We Continue the Change guidato dall’ex primo ministro Petkov è arrivato secondo con 53 mandati, e il Movimento per i diritti e le libertà (DPS), un partito sostenuto dalla minoranza turca, ha la terza fazione più grande con 36 mandati. I partiti filo-russi Revival, il Partito Socialista Bulgaro (BSP) e Bulgarian Rise hanno ottenuto rispettivamente 27, 25 e 12 seggi. Una coalizione deve comprendere almeno 121 legislatori, eppure i partiti non sono stati ancora in grado di costruire una configurazione funzionante nemmeno un mese dopo le elezioni.
Ivanov del blocco Bulgaria Democratica, che ha ottenuto 20 mandati, dice che c’erano due grandi partiti nella politica bulgara prima del 2001, vale a dire gli ex comunisti (BSP) e i nuovi esponenti di destra (l’Unione delle Forze Democratiche), ma “tutto si è frammentato” dopo che l’ultimo zar bulgaro, Simeone II, è tornato nel paese e si è impegnato in politica.
“In quella situazione, dovevi costruire coalizioni che includessero un grande partito e diversi piccoli di ogni tipo. Ma ora tutto è stato tagliato ancora di più, come un’insalata senza condimento”, dice.
Opporsi alla zucca
“Quei ragazzi di Harvard sono abbastanza bravi. Ma recentemente ho parlato con l’ambasciatore degli Stati Uniti in Bulgaria, e ha detto [riferendosi a Petkov]: “Non puoi combattere tutti contemporaneamente”. Lo penso anch’io. Inoltre, c’è un ruolo negativo di Boyko Borisov, che è corrotto fino al midollo, ed è per questo che nessuno vuole lavorare insieme a GERB, e nessuno lo farà. È vero, ci sono alcuni ragazzi ragionevoli nel suo partito, ma nessuno di loro è carismatico come Borisov stesso. E le persone in Bulgaria sono molto simili in Russia, ed è per questo che Borisov sembra attraente per loro. Cioè, specifiche tipiche dei Balcani”, dice Gennady Gudkov nel descrivere la disposizione della terra nella politica bulgara nel suo solito modo semplice.
In effetti, nessuno vuole sedersi allo stesso tavolo negoziale con Borisov. È un classico tipo di uomo del popolo di politici. È nato in una famiglia di un ufficiale di polizia e un insegnante, ha prestato servizio in un dipartimento dei vigili del fuoco e ha lavorato come allenatore di karate. Nel 1991, ha fondato una società di sicurezza privata chiamata Ipon-1, che era responsabile della sicurezza personale dell’ex leader socialista bulgaro Todor Zhivkov e poi Simeone II. A causa della forma distintiva del suo cranio ravvicinato, Borisov è comunemente soprannominatola Zucca.
Svetlana Djamdjieva, caporedattrice della pubblicazione online bulgara Club Z (il nome non ha alcuna relazione con l’operazione speciale dell’esercito russo in Ucraina), dice che la consorteria di Borisov comprendeva numerosi uomini d’affari, la sua premiership era afflitta da una massiccia corruzione e la maggior parte del denaro era condiviso all’interno della sua cerchia ristretta. Pochi in Bulgaria (ad eccezione dei membri del partito GERB) lo contesterebbero. L’attivistaPetar Taneve io stiamo camminando lungo una strada lastricata di mattoni gialli nel centro di Sofia.
(Petar Tanev. Foto: Ilya Azar, in esclusiva per Novaya Gazeta Europe)
“GERB è come un’edizione bulgara di Russia Unita”, dice Tanev. “È anche impegnato in attività corrotte e tutti capiscono tutto dei loro schemi. Ad esempio, questa strada gialla, che è stata costruita nel 19 ° secolo, si sta sgretolando ora non perché è vecchia, ma perché un sindaco GERB l’ha rinnovata. ”
Un’altra cosa per cui Borisov è criticato è essere un lacchè del Cremlino.
“Era quasi un autocrate e governò la Bulgaria da solo per 11 anni. Non voleva vedere la base della NATO e le sue navi militari in Bulgaria, ma voleva vedere i turisti russi. Durante il suo governo, nessuno ha parlato contro gli interessi della Russia e di Gazprom. Borisov ha servito con fervore Putin per circa dieci anni, ha costruito il gasdotto Balkan Stream con denaro bulgaro, ed è improbabile che abbiamo recuperato quelle spese”, afferma il giornalista e scrittore Ivo Indzhev.
Un uomo elegante con una camicia lilla e un gilet blu, con un lungo ombrello, sembra un anziano scrittore inglese in un resort greco. Indzhev era un conduttore televisivo, ma ha perso il lavoro a causa di un conflitto con l’ex presidente bulgaro Georgi Parvanov. Come si addice a un vero giornalista, Indzhev critica tutti indiscriminatamente, che è forse ciò che ha interrotto la sua carriera televisiva.
Come ha detto Indzhev, Borisov ha sempre giocato entrambe le parti contro il centro e si è presentato come un intermediario tra l’Occidente e Mosca.
“Ma questa è una sciocchezza, perché chiaramente non avevano bisogno di un intermediario da un paese così piccolo. Borisov può dire qualsiasi menzogna se crede che questo potrebbe fargli guadagnare più elettori. Non parla lingue straniere e non ha letto un solo libro in tutta la sua vita. È un volto neandertaliano dei bulgari”, dice il giornalista senza mezzi termini. “Tuttavia, la gente gli ha creduto. Dopotutto, Borisov è un bugiardo molto convincente e, inoltre, parla un linguaggio molto semplice. Una volta ha detto mentre incontrava gli operai: “Siete gente semplice, e anche io sono semplice, ed è per questo che ci capiamo così bene”. Quelle parole sono diventate il suo motto”.
“Quando diciamo che la Bulgaria dovrebbe essere de-Putinzzata, intendiamo tre cose contemporaneamente. In primo luogo, naturalmente, ciò riguarda gli strumenti di influenza diretta del Cremlino e, in secondo luogo, lo sradicamento della corruzione. Dal nostro punto di vista, la corruzione e l’influenza del Cremlino sono strettamente correlate. In terzo luogo, si tratta di tendenze verso l’autoritarismo e la concentrazione del potere”, dice Hristo Ivanov della Bulgaria democratica, che è sostenuta dagli intellettuali urbani e dalla classe media.
Signor Presidente
Ivanov critica il GERB per “stagnare e insistere sui 600.000 voti che hanno ottenuto” alle elezioni, e allo stesso tempo, ragiona che, se si unisse a una coalizione con Borisov, i suoi indici di popolarità scenderebbero a zero.
“Lo capisco, ma le persone che sostengono il GERB, il più grande partito democratico in Bulgaria, che ha dominato per 12 anni e ha fatto molto bene, non capiranno un’alleanza con Petkov o la Bulgaria democratica”, afferma Rosen Plevneliev, ex presidente della Bulgaria dal 2012 al 2017.
Plevneliev mi ospita nel suo spazioso ufficio nel praticamente disabitato Technopark di Sofia. L’ex presidente indossa jeans e camicia a quadri; mentre mi vede, il suo volto si rompe immediatamente in un sorriso che rimane sul suo volto per tutta la nostra conversazione di mezz’ora, che Plevneliev porta avanti in un inglese quasi perfetto – ovviamente mantenendo un’immagine attentamente costruita di un politico progressista filo-occidentale.
Mentre parliamo della Bulgaria, del suo rapporto con la Russia e della guerra in Ucraina, passa regolarmente la conversazione a se stesso. Alla fine della nostra intervista, comincio persino a pensare che sto scrivendo non un rapporto sulle relazioni bulgaro-russe, ma uno schizzo sul ruolo di Plevneliev nella storia.
“Sono stato l’unico presidente pro-europeo e pro-democratico, mi sono opposto a Putin, sono stato una persona dell’anno in Ucraina nel 2015, sono uno stretto alleato dei peggiori nemici di Putin, Mikhail Khodorkovsky e Garry Kasparov”, continua a dire.
L’annessione della Crimea da parte della Russia e la guerra nel Donbas si sono verificate durante il mandato presidenziale di Plevneliev. Mi ha invitato a guardare il suo “discorso storico” al Parlamento europeo, in cui presumibilmente ha predetto ciò che sta accadendo attualmente in Ucraina.
“Sono stato un promotore di sanzioni più severe contro la Russia nel 2014, contro la volontà della Merkel, [del primo ministro italiano Matteo Renzi] e del premier ungherese”, mi dice.
Plevneliev ha incontrato Putin solo una volta.
Ma mi sono recato a Sochi su invito del Comitato olimpico internazionale per partecipare alla cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici. Prima della cerimonia, Putin avrebbe dovuto parlare con me, [il presidente del CIO] Thomas Bach, il presidente sudcoreano, il premier serbo e altri per circa un’ora, ma ovviamente è arrivato troppo tardi “, dice Plevneliev.
L’ex presidente bulgaro dice che Putin si è presentato 15 minuti prima dell’inizio della cerimonia.
“Gli ho teso la mano e l’ho guardato negli occhi, e lui mi ha detto in russo: ‘Grazie, signor Presidente, per essere venuto alla cerimonia di chiusura’. C’era un interprete lì, e così, considerando che Putin ha iniziato a parlare in russo, ho deciso di rispondere in bulgaro”, ha detto Plevneliev.
Putin fissò la sua controparte bulgara e mormorò a denti stretti: “Sei l’unico presidente bulgaro che mi ha parlato in lingua bulgara piuttosto che russa”. Plevneliev rispose: “Signor Presidente, lei sta parlando nella lingua ufficiale della Russia, e io sto parlando nella lingua ufficiale della Bulgaria, ma se vuole, potremmo parlare tedesco, che entrambi conosciamo bene”. Plevneliev sostiene che Putin non poteva sopportare questa sfacciataggine, si arrabbiò e se ne andò.
Sicuramente, come qualcuno proveniente dal GERB, Plevneliev difende Boyko Borisov il più possibile, sostenendo che non ci sono prove della sua corruzione.
“La propaganda senza prove può aiutare a mobilitare gli elettori, ma non aiuta un paese ad avere una cultura di coalizioni stabili che possano produrre governi. Loro [il governo di Petkov] controllavano il Ministero degli Interni e tutti i servizi speciali, eppure non riuscirono a dimostrare nulla. Al contrario, abbiamo visto che coloro che fingono di opporsi alla corruzione sono stati coinvolti in molti affari loschi “, dice.
Plevneliev insiste sul fatto che GERB “ha modernizzato il paese negli ultimi dieci anni, creando nuove industrie”. Qui ricomincia a raccontare i suoi successi.
“Come presidente, ero molto orgoglioso di creare 165.000 nuovi posti di lavoro in vari settori del futuro. Quando ero ministro nel primo governo GERB, ho collaborato con le principali istituzioni internazionali anticorruzione e abbiamo istituito le agenzie più trasparenti ed efficienti dell’UE nel 2009-2011. Ma poi sono arrivati i giovani populisti di Harvard, che hanno onorato Marx e credevano di poter aumentare le pensioni del 20% a spese dei bambini bulgari, solo per guadagnare più popolarità. Non avevano un piano, tutte le loro decisioni non erano trasparenti, i loro progetti di modernizzazione e investimento si sono bloccati e il paese è precipitato nel caos”.
“Ma non sei tu il leader del GERB. “ Riesco a malapena a formulare un’osservazione.
“Borisov ha creato il partito, ha il diritto di lavorarci e non ha più l’ambizione di essere un ministro o un primo ministro. Ha cercato di costruire ponti con Petkov e Ivanov, ma non avrebbero fatto lo stesso. Attualmente sto mediando i negoziati tra le parti. Dopotutto, finché una guerra è in corso a 400 chilometri dalla Bulgaria, è fondamentale istituire un governo pro-europeo, che Petkov sta bloccando”, dice.
“Per un mediatore, sei troppo critico nei confronti di una delle parti”.
“Ma hanno arrestato illegalmente il loro principale oppositore! Non puoi fare queste cose! Questo è ciò che Putin fa di routine. Non ho intenzione di perdonare loro i loro errori”, ha detto.
Plevneliev ha detto che sta attualmente lavorando per garantire la massima integrazione possibile della Bulgaria con l’Unione europea.
“Dobbiamo aderire all’accordo di Schengen e all’Eurozona, sbarazzarci delle armi sovietiche inviandole in Ucraina, in modo che possano difendersi e ricevere invece armi moderne dai nostri partner della NATO, e dobbiamo anche opporci alla propaganda russa, alla guerra cibernetica e alla guerra energetica per diventare indipendenti dalla Russia!”, conclude.
Armi di omissione
Contrariamente alla determinazione belligerante di Plevneliev, l’atmosfera generale in Bulgaria non corrisponde alle sue parole. A differenza di Praga o Riga, ci sono pochissime bandiere ucraine sugli edifici governativi o nelle finestre dei normali abitanti delle città di Sofia o Varna. Alla domanda su quanti altri bulgari sarebbero andati a combattere in Ucraina, Ivan Kalchev mi dice che ne conosce solo due.
“Nelle città di mare si possono persino vedere più bandiere russe che ucraine”, diceDaniel Smilov, uno scienziato politico del Centro di strategie liberali. “Il punto è che, mentre la società bulgara ha mostrato solidarietà con l’Ucraina e tutti hanno aiutato i rifugiati all’inizio della guerra, ora le attività dei partiti russofili hanno fatto sentire le persone meno sicure di ciò che sta accadendo e iniziano a dire che la situazione è complicata e la Bulgaria dovrebbe perseguire principalmente i propri interessi economici”.
(Daniel Smilov. Foto: Ilya Azar, in esclusiva per Novaya Gazeta Europe)
Hristo Ivanov mi dice che questa mentalità e condotta è molto tipica per i bulgari.
“Abbiamo questo riflesso nazionale: preferiamo aspettare [i problemi] e mantenere un basso profilo”, sorride. “Non sto dicendo che questo sia molto attraente, ma è un dato di fatto.”
L’ex ambasciatore bulgaro in Russia Ilian Vassilev, che è meno incline all’umorismo autoironico, mi fa notare che, a differenza di Praga, la Bulgaria non ha mai visto migliaia di manifestanti protestare contro l’UE e la NATO.
Eppure il fatto è che, dall’inizio della guerra fino a novembre, la Bulgaria si è rifiutata di fornire ufficialmente armi all’Ucraina, limitandosi a fornire “assistenza tecnico-militare“. Il 29 settembre, il ministro della Difesa bulgaro Dimitar Stoyanov ha ribadito in risposta a una richiesta di forniture di armi da parte dell’ambasciatore ucraino che ciò non sarebbe accaduto.
I membri dei partiti che compongono la coalizione di governo hanno addossato tutta la colpa al Partito socialista, sostenendo che minacciava di lasciare la coalizione, il che avrebbe portato alle dimissioni del governo. Di conseguenza, l’unico partito al parlamento bulgaro che sosteneva le forniture di armi all’Ucraina era GERB, che in precedenza era stato accusato di un corso filo-russo. Borisov potrebbe aver capito che sostenere l’Ucraina piuttosto che la Russia è più vantaggioso nel 2022, anche se la giornalista Djamdjieva, che ha definito la Zucca il politico più filo-ucraino in Bulgaria, ha suggerito che “pensa davvero in questo modo ora”.
È su iniziativa del GERB (e della Bulgaria Democratica) che il parlamentoha votato a favore delle spedizioni ufficiali di armi in Ucraina.
Ad ogni modo, le armi bulgare avevano raggiunto l’Ucraina anche prima.
Euroaktiv ha riferito il 31 ottobre che la Bulgaria ha fornito all’Ucraina armi per un valore di 1 miliardo di euro.
“La Bulgaria è uno dei maggiori esportatori di munizioni e attrezzature militari in Ucraina. Vengono semplicemente spediti non direttamente, ma attraverso la Polonia e la Romania”, mi dice Smilov.
Rumen Ovtcharov, ministro dell’energia bulgaro nel 1996-1997 e ministro dell’economia nel 2005-2007, insiste sul fatto che il governo non può vietare i contratti privati dei produttori di armi.
“Come ex ministro dell’economia, so che, quando un commerciante viene da te e presenta un certificato destinatario dalla Polonia, non hai assolutamente alcun motivo per vietare tale transazione”, dice.
Ovtcharov mi dice che, quando il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha visitato la Bulgaria, ha incontrato i leader dei partiti e li ha esortati a votare per la fornitura di armi all’Ucraina, il BSP ha detto fermamente di no.
“Questa posizione può probabilmente essere descritta come filo-russa, non sei d’accordo?” Chiedo a Ovtcharov, che è un membro del BSP.
“No! Personalmente credo che la Russia non abbia ragione per quanto riguarda la guerra. A mio parere, entrare a Kharkiv nello stesso modo in cui sono entrati a Idlib in Siria è assolutamente inaccettabile. Noi del BSP siamo contrari alla guerra e siamo favorevoli all’avvio immediato di negoziati per trovare una soluzione pacifica al conflitto. Niente armi e niente sanzioni, perché non producono alcun risultato”.
“Ma se l’Ucraina non viene aiutata con le armi, perderà”. Lo sfido.
“E ora entrambi i paesi stanno perdendo”, risponde Ovtcharov in modo un po ‘ambiguo e poi inizia a pronunciare osservazioni che mi ricordano il propagandista russo Vladimir Solovyev e il suo programma televisivo. A proposito, come dicono i locali, il canale russo Channel One (ma non Rossiya-1) può ancora essere visto in Bulgaria.
Ad esempio, trovare un modo per risolvere la situazione nel Donbas piuttosto che bombardare quelle persone per otto anni. Quando la Russia attacca, questa è un’aggressione e una violazione dei diritti umani, ma quando gli Stati Uniti bombardano la Jugoslavia o invadono l’Iraq o l’Afghanistan, è davvero democratico e civile?” Ovtcharov conclude la sua invettiva con una domanda retorica.
L’ex ministro rimprovera gli ex leader francesi e tedeschi, François Hollande e Angela Merkel, per non aver costretto l’Ucraina ad attuare gli accordi di Minsk e ricorda come gli Stati Uniti abbiano ignorato l’accordo firmato tra l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich e l’opposizione il 23 febbraio 2014 sotto la supervisione dei leader europei, che avrebbe dovuto risolvere le proteste ucraine di Maidan in modo pacifico.
“Vedo questa narrazione [in Occidente] che la Russia fa saltare in aria i propri oleodotti e bombarda le sue centrali nucleari, e sono davvero stupito di quanto una persona debba essere stupida a crederlo!” Ovtcharov esclama.
Ha studiato a Mosca, è un operatore di centrale nucleare di professione e ha lanciato le unità di potenza 3 e 4 della centrale nucleare Kozloduy vicino a Sofia.
Ovtcharov giustifica l’annessione della Crimea, poiché “c’è stato un colpo di stato, e le persone che sono salite al potere hanno mostrato quale politica avrebbero perseguito”. Alla fine della nostra conversazione, mi racconta la storia di un ex ministro del governo ucraino che conosce.
“È venuto in Bulgaria e ha detto che voleva esportare grano e mais dall’Ucraina e aprire un pastificio qui. Ad un certo punto, ha affermato che i russi sono come gli Unni: vengono, rubano e se ne vanno. Poi ho capito che, proprio come i russi sono gli Unni per gli ucraini, i bulgari sono gli Unni per i macedoni. Allo stesso modo in cui l’Ucraina non voleva rendere il russo una lingua ufficiale, i macedoni sono contrari alla lingua bulgara, anche se forse l’80% delle persone in Macedonia del Nord sono legate alla Bulgaria, proprio come quelli che vivono in Ucraina alla Russia “, ragiona Ovtcharov.
A suo avviso, sia l’Ucraina che la Macedonia del Nord “stanno costruendo la loro nuova storia attraverso l’odio verso uno stato vicino, ed è chiaro che questo algoritmo è stato appositamente ideato da qualche parte”.
Paese dei russofili
“Abbiamo avuto questo zar, Boris III, che si è unito alla Bulgaria con [le potenze dell’Asse] durante la seconda guerra mondiale. Disse che tutta la borghesia e gli uomini d’affari in Bulgaria erano anglofili, tutti gli ufficiali militari germanofili e tutta la gente comune russofila. E che lui stesso era l’unico vero bulgarofilo, pur essendo etnicamente tedesco”, ride Ovtcharov. “Non è cambiato molto da allora.”
Ma nonostante la retorica di Ovtcharov, il Partito socialista difficilmente può essere definito il più filo-russo in Bulgaria. Quando sono appena arrivato a Sofia e stavo camminando vicino a un chiosco shawarma, ho sentito un annuncio politico da un altoparlante installato lì, che terminava con le parole: “Numero 29. Con la Russia nel cuore”. Si è scoperto che era uno slogan usato durante la campagna elettorale dal partito chiamato Russofili per la rinascita della patria.
Il suo presidente, Nikolay Malinov, un uomo poco imponente con i capelli grigi irti, è noto per essere stato accusato di spionaggio per la Russia nel 2019. Fu prima arrestato e poi rilasciato su cauzione. Inoltre, gli è stato permesso di recarsi a Mosca, dove Putin gli ha conferito personalmente l’Ordine dell’Amicizia, che viene dato per “meriti speciali nel promuovere la pace, l’amicizia, la cooperazione e il rispetto reciproco tra le nazioni”.
“Sono dalla parte della Russia, ed è per questo che mi definisco un russofilo. E ho ricevuto tutti i miei premi e preso tutte le punizioni per la mia posizione civica. Non ho intenzione di cambiarlo in nessuna circostanza, non importa quale sia il mio destino. La Bulgaria con la Russia è un impero. E la Bulgaria con l’America è una colonia. Chi mai non lo capisce?” mi chiede.
L’organizzazione non governativa chiamata The Russophiles è stata fondata in Bulgaria nel 2003.
“Il primo del suo genere al mondo!” Malinov me lo dice con orgoglio. “Organizziamo concorsi, mostre, festival e concerti. Quest’anno, 12.500 bambini hanno partecipato al nostro concorso con il motto “Ciò che è inestinguibile non può essere messo fuori”, e di solito ce ne sono 35.000! E abbiamo cinque di questi concorsi”.
I russofili hanno aperto 258 stanze in lingua russa negli asili e inviano oltre 300 studenti ogni anno in Russia.
“Siamo come un ministero parallelo della cultura e degli affari esteri!” si vanta. “La russofilia è un elemento dell’archetipo dei bulgari, perché abbiamo la lingua slava ecclesiastica comune in cui preghiamo Dio, a causa delle lettere cirilliche e a causa dei valori tradizionali. Tutte queste sono cose che fanno di un bulgaro un bulgaro, e questa bulgarità ortodossa slava può esistere solo in amicizia con la Russia”, continua Malinov. “Il modello che la Russia ha proposto all’umanità, vale a dire i valori tradizionali, uno stato forte e un mondo multipolare, è ciò che può preservare la Bulgaria in un’atmosfera turbolenta e complessa, specialmente quando l’Europa si spara regolarmente in mano e in piedi, e sta per spararsi in testa con questa politica nei confronti della nostra sorella Russia”.
Malinov insiste sul fatto che quasi l’80% dei bulgari sono russofili, riferendosi a un sondaggio condotto dalla sua organizzazione. Per qualche ragione, tuttavia, il suo partito non è particolarmente popolare tra gli elettori e ha ottenuto solo lo 0,25% dei voti nelle elezioni del 4 ottobre. Malinov ha una spiegazione molto semplice per questo paradosso.
“Il sessantacinque per cento dei bulgari non va a votare, il che crea una dissonanza tra l’élite politica bulgara [filo-occidentale] e i veri sentimenti del popolo bulgaro”.
Sottolinea che il popolo russo stesso ha votato anche per i “russofobi” Mikhail Gorbaciov e Boris Eltsin.
“Al fine di costruire relazioni adeguate con i collegi elettorali russofili, abbiamo bisogno di media, enormi finanziamenti e contatti internazionali, e tutti questi meccanismi sono completamente controllati dall’avversario”, spiega Malinov. “Anche la Russia non si è ancora completamente liberata di questo controllo, e nonostante tutti i passi giusti che sono stati fatti, la schiuma liberal-comunista ancora offusca i cuori e le menti del popolo russo”.
Malinov non è mai stato in grado di organizzare una resistenza vittoriosa all'”avversario”, ma continua stoicamente a “portare la mia croce”.
“Questo è ciò per cui siamo imprigionati e picchiati, ed è per questo che le nostre famiglie, case e aziende vengono distrutte. Diversi anni fa, abbiamo acquistato il quarto canale televisivo più popolare, ma solo il giorno dopo, 115 poliziotti sono venuti da noi e ci hanno completamente spogliato di esso”, dice Manilov.
Proprio come Plevneliev, non è eccessivamente modesto e sostiene che il presidente degli Stati Uniti in seguito “ha personalmente rimproverato il premier bulgaro per avermi fatto uscire di prigione”.
Ai suoi critici che credono che la Bulgaria non abbia bisogno di russofili ma di bulgari, Malinov risponde: “Essere un bulgarofilo significa amare se stessi. Ed essere russofilo significa amare tua sorella, tuo fratello o tua madre”. Insiste sul fatto che non è mai stato pagato in Russia per le sue attività, anche se non nega i suoi stretti legami con il Cremlino.
“So che [il ministro degli Esteri russo Sergey] Lavrov, Putin o [il presidente del Consiglio della Federazione Valentina] Matviyenko vedono i nostri sforzi, a giudicare dalle conversazioni che ho avuto regolarmente con loro. Vedono tutto questo. Stiamo continuando a combattere l’oscurità accendendo le nostre piccole luci. Per quanto possiamo. La nostra causa è giusta e, a lungo termine, vinceremo comunque”.
L’amore è crudele
Una coppia di anziani si aggira tra busti e monumenti creati nella seconda metà del 20 ° secolo e attualmente esposti al Museo di Arte Socialista. La donna con uno strano cappello a secchiello punteggiato di fiori si presenta come Bluma, una cittadina israeliana, emigrata dall’Unione Sovietica nel 1971, ma che parla ancora abbastanza bene il russo.
“Oggi è Yom Kippur, ma non siamo religiosi, e quindi siamo venuti a Sofia per passeggiare per un paio di giorni. C’è un meraviglioso museo sugli ebrei salvati dallo zar Borisin questa città. E ricordo semplicemente la mia giovinezza qui! Dopo tutto, ero un membro della Pioneer Organisation, ma non un membro del Komsomol”, mi spiega Bluma.
Dice che vivere nella Lituania sovietica era “impossibile”, e si sentiva sempre come se fosse “sotto tiro”.
“Siamo fuggiti, lasciandoci tutto alle spalle, abbiamo pagato molto, ma quello che conta di più è che siamo riusciti a scappare! Quando ho sentito parlare tedesco in Austria, che odiavo, mi sono reso conto che eravamo finalmente liberi”, dice Bluma.
“Cosa ne pensi della guerra in corso?”
“Orribile!” risponde all’istante. “Ma i russi non sono sempre da biasimare. Non sono un grande fan di Putin, ma Biden lo ha messo alle strette. Se Trump fosse rimasto in ufficio, di cosa stai parlando, di quale Ucraina? Biden è solo un deficiente, è la prima volta che vedo un presidente del genere in America.
“Dopo tutto, è Putin che ha iniziato la guerra…”
“Putin l’ha iniziato, in effetti, ma c’era la possibilità di un compromesso. Credetemi, il mio cuore soffre sia per i russi che per gli ucraini”, mi dice Bluma e si allontana per guardare il resto dei monumenti a Lenin e al primo leader comunista bulgaro Georgi Dimitrov.
È opinione diffusa che ai bulgari piacesse particolarmente far parte del blocco socialista. Todor Zhivkov, segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista bulgaro, che ha governato il paese per 35 anni, ha persino presentato una domanda per rendere la Bulgaria la 16a repubblica sovietica. Il Museo di Arte Socialista conserva alcuni manufatti raffiguranti Zhivkov e il leader sovietico Leonid Brezhnev, come, ad esempio, un tappeto con i loro ritratti e un’iscrizione che dice “Amicizia per secoli”.
(Tappeto al Museo di Arte Socialista. Foto: Ilya Azar, in esclusiva per Novaya Gazeta Europe)
Nessuna sorpresa, il socialista Ovtcharov condivide questa opinione.
“Non abbiamo mai avuto problemi con l’Unione Sovietica. Abbiamo sempre trattato i russi molto bene, sia durante il periodo sovietico che dopo”.
In effetti, tutti sanno della rivolta in Ungheria nel 1956, per non parlare di quella a Praga nel 1968 (entrambi schiacciati dalle truppe sovietiche), e la Bulgaria sembra un vassallo obbediente in confronto a loro.
Tuttavia, l’ex ambasciatore bulgaro in Russia Vassilev è fortemente in disaccordo. Mi dice che il movimento Goryani ha resistito al regime comunista fino al 1956. La resistenza armata fu catalizzata dalla collettivizzazione e dai “tribunali popolari” degli anni 1940, in cui i comunisti bulgari condannarono più di 9.000 persone, condannandone a morte 2.680.
“Come nell’Ucraina occidentale, la Bulgaria ha visto la più lunga resistenza armata anticomunista dopo la seconda guerra mondiale. Hanno combattuto il regime e speravano di ricevere sostegno dall’Occidente, ma non l’hanno mai ottenuto”, dice Indzhev con rammarico.
Secondo Vassilev, Todor Zhivkov era “un ragazzo intelligente che ha creato l’illusione per i russi che tutti in Bulgaria abbracciassero il comunismo, perché pensava che Mosca gli avrebbe lasciato un certo margine di manovra a causa di ciò”. Alla fine, ammette Indzhev, “il regime è riuscito a creare la propria élite, e le voci degli oppositori non sono state più ascoltate, e quindi, la resistenza al regime è svanita dal 1970, i bulgari erano completamente delusi e non credevano che un giorno avrebbero avuto un governo diverso”.
Il co-presidente della Bulgaria democratica Ivanov ricorda che la caduta del socialismo sembrava una battuta d’arresto piuttosto che l’inizio di qualcosa di meraviglioso per la maggior parte dei bulgari.
“La transizione è stata molto dura. Non era niente di simile alla Repubblica Ceca, che si riprese rapidamente e visse meglio che nel 1989 già nel 1995. La Bulgaria ha raggiunto gli standard del 1989 solo nel 2005, cioè ci siamo pentiti di aver perso qualcosa per 15 anni. La Russia è un dominante nostalgico, perché semplicemente abbiamo troppi perdenti”, dice Ivanov.
La devozione speciale alla Russia condivisa dalla maggior parte dei bulgari è radicata nel 19 ° secolo, poiché la considerano il loro liberatore dall’Impero Ottomano. Questo è il motivo per cui c’è un monumento all’imperatore russo Alessandro II nel centro di Sofia.
“Questo è forse dovuto alla nostra educazione e a ciò che ci è stato insegnato a scuola. A tutti noi è stato detto che i russi sono i nostri liberatori e i nostri fratelli maggiori. I nostri cittadini più adulti hanno questa nozione radicata nelle loro menti”, afferma la giornalista Djamdjieva.
Lingue simili e la stessa religione contribuiscono a una relazione speciale tra Bulgaria e Russia.
Daniel Mitov, che è stato ministro degli Esteri bulgaro nel 2014-2017 e che è attualmente uno dei leader del GERB e il principale candidato alla premiership se verrà creata una coalizione, conferma che i bulgari hanno atteggiamenti “molto amichevoli” nei confronti della Russia, che “a volte possono arrivare a rivendicare l’idiozia di Putin e degli oligarchi del Cremlino”.
Questo è anche a causa della storia della nostra liberazione dall’Impero Ottomano e, naturalmente, il comunismo ha lasciato un’impronta propagandistica molto severa. Infine, la propaganda russa è stata qui assolutamente ovunque negli ultimi 10-12 anni, e quindi ora dobbiamo lavorare sodo per assicurarci che tutti possano dire la verità da ciò che sentono da [i propagandisti televisivi russi Margarita] Simonyan e [Olga] Skabeyeva”.
Indzhev insiste sul fatto che “è sbagliato continuare a ricordare ciò che è accaduto nel 19° secolo e trasferirlo all’era contemporanea, descrivendo Putin come il liberatore della Bulgaria dall’oppressione occidentale”.
Inoltre, i rivoluzionari bulgari nel 19° secolo sapevano molto bene che la Russia non era niente di meglio dell’Impero Ottomano. Sapevano che la Russia era una “prigione delle nazioni”. Dopo tutto, molti di loro erano stati espulsi dalla Russia per aver sostenuto la rivoluzione polacca”, dice.
Va ammesso che la propaganda russa ha a lungo preferito chiamare i bulgari “amici egoisti” nel migliore dei casi e traditori nel peggiore, sostenendo che hanno dimenticato l’amicizia storica con la Russia, e per di più, erano alleati della Germania in entrambe le guerre mondiali del 20 ° secolo (il che è vero).
“Pensi che anche i bulgari stiano combattendo dalla parte russa?” Chiedo a Ivan Kalchev, che ha combattuto per l’Ucraina.
“Sono sicuro che non ce ne sono.”
“Ma qualcuno tra l’opinione pubblica bulgara sostiene la Russia?”
“Personalmente non ho mai visto persone del genere! Forse si nascondono negli scantinati quando mi vedono arrivare da dietro l’angolo”, ride Kalchev. “È vero, molti su Facebook sono molto coraggiosi e scrivono che mi uccideranno con le loro stesse mani quando mi presenterò nel loro villaggio. Le persone hanno subito il lavaggio del cervello fin dall’asilo e dalla scuola, dove viene ancora insegnato loro un tipo primitivo di nazionalismo: “Siamo una nazione piccola ma orgogliosa, tutte le grandi potenze erano contro di noi, i turchi ci hanno oppresso per 500 anni e la Russia ci ha liberato”.
Kalchev in realtà afferma che quelli dell’esercito russo che hanno liberato la Bulgaria erano principalmente ucraini.
“Ho appena incontrato un paio di persone in Ucraina che dicono che i loro nonni hanno combattuto nella guerra di liberazione bulgara contro i turchi, e non ho mai sentito nulla del genere dai russi”.
Kalchev stesso ammette di non avere nulla contro i russi, continua a rileggere romanzi di Arkady e Boris Strugatsky di tanto in tanto, e ascolta il rock russo.
“Ne ho anche discusso con gli ucraini che la letteratura e la musica non possono essere incolpate per la guerra. È solo uno scontro di civiltà, secondo la definizione classica di Huntington”, dice.
Un passaporto bruciato
È una percezione comune tra gli attivisti russi che si sono trasferiti in Bulgaria che molti funzionari pubblici bulgari e funzionari dei servizi speciali abbiano almeno una simpatia per il Cremlino, se non addirittura lavorino per esso. Ad esempio, il cittadino russo Alexei Alchin che vive a Varna la pensa così. Ha bruciato pubblicamente il suo passaporto russo durante una manifestazione di protesta a sostegno dell’Ucraina a Varna il 26 febbraio. Poco dopo, la Russia ha emesso un mandato di estradizione per lui, accusandolo di frode fiscale pari a oltre 280 milioni di rubli (4,5 milioni di euro). È sicuro che sia stato il passaporto bruciato a far scattare il suo processo.
È un dato di fatto, Alchin non è un tipico attivista dell’opposizione. Prima di lasciare la Russia, non aveva partecipato a manifestazioni e non aveva mai scritto post anti-Putin sui social media. Inoltre, ha lavorato presso il Servizio federale antimonopolio russo alla fine degli anni 1990.
“Ho avuto un conflitto con [il capo del servizio antimonopolio Igor] Artemyev. Mi sono recato in Europa per studiare la loro legislazione antimonopolio e ho portato alcune idee su come attuare le loro migliori pratiche. Ho redatto emendamenti alle nostre leggi antimonopolio per aumentare le multe fino al 10% delle vendite e ho proposto modi che rendono impossibile accettare tangenti”, dice Alchin, che incontro in un caffè in una zona pedonale di Varna.
Sulla facciata di un hotel abbandonato chiamato Odesos, c’è uno striscione che dicePace per l’Ucraina. Nessuna guerra, che è un’occasione piuttosto rara per la Bulgaria.
Alchin dice che Artemyev non ha accettato le sue idee e si è dimesso. Dopo di ciò, Alchin fu invitato all’ufficio presidenziale, ma alla fine finì alla Duma di Stato, presso la cancelleria del Comitato di politica economica guidato dall’odioso legislatore Yevgeny Fyodorov, dove non rimase nemmeno troppo a lungo. “Fyodorov una volta mi ha dato 6 milioni di rubli (95.000 euro), che avrei dovuto portare a Saratov e pagare per l’acquisto di un appartamento lì. Immagina: stai trasportando questi soldi e vieni fermato, diciamo, all’aeroporto – e come lo spieghi?”
Fu allora che Alchin finalmente si rese conto che “la politica è una cosa sporca”.
“Quando ho iniziato a lavorare al Ministero Antimonopolio, ero molto ingenuo e pensavo che la legge fosse legge, ma dopo la Duma di Stato, ho capito che, o fai quello che i tuoi superiori ti dicono di fare, o non lavori”, dice.
Essendo diventato disilluso, Alchin ha iniziato a fare affari, organizzando consegne di platino in Europa. Poiché era anche appassionato di arti marziali, viaggiava spesso in Europa per competizioni e allenamenti. Venendo una volta in Bulgaria, Alchin si rese conto che gli piaceva questo paese. “Ho recuperato la mia tranquillità qui, tutto è culturalmente familiare in questo paese, e la gente del posto è molto calma e non corre mai da nessuna parte, ed è improbabile che tu possa mai vedere un bulgaro urlare ai loro figli”.
Gli è stato concesso un permesso di soggiorno in Bulgaria come rappresentante commerciale di una società con sede a Kiev.
È solo qui che Alchin ha capito che “è necessario essere più attivi, anche dal punto di vista informativo”. Mentre era in emigrazione, ha iniziato a scrivere post sui social media.
“All’inizio ero davvero sorpreso che le persone qui potessero esprimere liberamente la loro posizione alle manifestazioni di protesta. Nessuno viene arrestato, perseguitato o licenziato”, dice Alchin.
I primi due tribunali di Varna, dove Alchin visse per più di cinque anni, decisero di estradarlo.
“Gli avvocati della difesa, gli agenti di polizia e persino gli ufficiali giudiziari sono rimasti sorpresi dalla sentenza del tribunale! Il pubblico ministero ha agito in modo piuttosto aggressivo e i tribunali di primo e secondo grado hanno categoricamente respinto qualsiasi prova a mio favore”, ha detto Alchin.
I pubblici ministeri avevano una ferma convinzione che “ci si può fidare del sistema giudiziario russo, perché lì c’è democrazia”, e tutto ciò di cui avevano bisogno era una garanzia da parte del procuratore generale russo che non ci sono procedimenti giudiziari motivati politicamente e nessuna tortura in Russia.
Alchin ha presentato documenti delle agenzie fiscali russe che non aveva debiti non pagati, ma alla corte non importava. Ciò che alla fine ha salvato Alchin sono le proteste organizzate dagli attivisti russi locali, e Gennady Gudkov ha anche tirato alcune corde.
“Il parlamento, tutte le possibili organizzazioni per i diritti umani, la comunità giudiziaria, i pubblici ministeri – abbiamo fatto più rumore possibile”, dice Gudkov.
Alla fine, una corte d’appello ha ribaltato la sentenza che ordinava l’estradizione di Alchin. Crede che la sua storia possa essere spiegata dal fatto che ci sono numerosi sostenitori della Russia e di Putin tra i funzionari bulgari.
Alchin dice.
L’attivista locale Petar Tanevè d’accordo con lui.
“I riferimenti che gli ufficiali dei servizi speciali bulgari compongono sulla Russia non hanno nulla in comune con la realtà. Pertanto, è praticamente impossibile per i russi ricevere asilo politico in Bulgaria e il 99% di tali domande viene respinto. Lo concedono ai siriani, ma rispondono ai cittadini russi che, in Russia, possono “difendere i loro diritti, e quindi, non tutto è così male”. Una volta hanno persino fatto riferimento al fatto che c’è il Partito Liberal-Democratico in Russia!” Tanev ride.
L’ex ministro degli Esteri Mitov del GERB si attiene al punto di vista, che è abbastanza diffuso nell’Europa orientale, che i russi devono essere sottoposti a screening.
“Sostengo che tutti coloro che hanno fatto parte dell’opposizione russa, come i giornalisti e altre persone che criticano apertamente il regime, dovrebbero essere in grado di partire per l’Occidente. Tuttavia, ho visto me stesso un uomo russo che è fuggito dalla mobilitazione, ma ha difeso con fervore la narrativa del Cremlino secondo cui l’Ucraina è uno stato fallito e deve essere denazificato”, dice Mitov, suggerendo che a queste persone non deve essere permesso di lasciare la Russia.
Ad ogni modo, per esempio, l’atteggiamento dell’ex presidente Plevneliev nei confronti dei russi che devono vivere sotto la dittatura è limitato alla semplice simpatia.
“Spero che un giorno saranno liberi e considero eroi coloro che combattono il regime”, dice.
Per quanto riguarda Alchin, dopo aver vinto l’udienza di appello, ha chiesto asilo politico in Bulgaria. Nel frattempo, si sta rilassando sulla riva del Mar Nero e sta riflettendo sul possibile futuro della Russia.
“Putin ha violato un contratto informale tra il governo e il popolo, ma il problema è che non esiste una responsabilità codificata per questa violazione. Detto questo, è molto difficile consolidare la società su questo enorme territorio, considerando le differenze etniche e culturali. Come si possono costruire relazioni tra la leadership e il popolo in Russia, dopo tutto?”
“Tutta questa storia ti ha inasprito sulla Bulgaria?” Gli chiedo.
“No, capisco ancora che c’è un processo democratico in questo paese e dovrei oppormi all’influenza della Russia qui”, dice Alchin, che è attualmente affiliato in Bulgaria al movimento di Gennady Gudkov Per la Russia libera.
Simboli della discordia
I sentimenti contrastanti che i bulgari hanno verso la Russia possono essere illustrati dal destino dei colossi monumenti sovietici eretti in Bulgaria durante l’era socialista. I più noti di loro sono Alyosha a Plovdiv e un monumento all’esercito sovietico nel centro di Sofia.
Sentendo la mia domanda sui monumenti, la giornalista Djamdjieva inizia a canticchiare la canzone sovietica un tempo popolare su Alyosha, una gigantesca statua di un soldato sovietico a Plovdiv, e poi mi dice che la comunità democratica di Sofia ha a lungo condotto una campagna senza successo per rimuovere il monumento all’esercito sovietico dal centro della capitale.
(Monumento all’esercito sovietico a Sofia. Foto: Ilya Azar, in esclusiva per Novaya Gazeta Europe)
“L’ambasciata russa e la leadership russa hanno reagito molto duramente a quei piani, e i nostri funzionari hanno sempre fatto marcia indietro, perché dipendevamo dal gas russo”, dice.
Secondo Ivanov del Partito Democratico, il sindaco di Sofia del partito GERB non lo ha mai voluto.
“E inoltre, non ci piace l’estremismo qui in Bulgaria, e quindi [non c’è tale desiderio] anche tra le persone che non sono veramente filo-russe. Ci sono anche troppe persone timide, che pensano che gli Stati Uniti siano così lontani e non si preoccupino davvero della Bulgaria, ma la Russia è vicina, e non dovremmo strappare la coda “, dice.
Nell’ottobre 2022, vedo vernice rossa gettata sul monumento all’esercito sovietico a Sofia e le parole “Occupanti, fuori!” sulla sua recinzione. A differenza dei paesi baltici, dove non è possibile discutere se l’occupazione sovietica di Lituania, Lettonia ed Estonia sia stata preceduta dalla loro liberazione dai nazisti, non tutto è così definito in Bulgaria. Il periodo successivo alla seconda guerra mondiale non è mai ufficialmente descritto come occupazione – tecnicamente perché non c’erano truppe sovietiche in Bulgaria dopo il 1947, e informalmente, per evitare di seminare discordia nella società.
“Sono un grande oppositore della teoria della ‘liberazione’ e di questi monumenti nei centri urbani. Eravamo occupati e spostavo i monumenti in un museo, dove la gente poteva vedere la propaganda comunista e fascista”, dice l’ex presidente Plevneliev.
“Hai provato a farlo da solo?”
“Sarei felice di vedere un risultato in tribunale, dove la società civile presenterebbe una mozione del genere”.
“Ma tu eri presidente! Perché non hai fatto niente?”
“Ho fatto molto!” Plevneliev ribatte. “Il mio predecessore, il presidente Parvanov [dal 2002 al 2012], ha detto solo che la Russia ci ha liberati, ma ho ribadito in ogni discorso che la Bulgaria è stata occupata dopo la seconda guerra mondiale, e ho anche visitato il monumento alle vittime del regime comunista ogni anno, cosa che il mio successore [Rumen] Radev non ha mai fatto in sei anni”.
Anche l’ex ambasciatore bulgaro in Russia Vassilev è indignato dalla presenza di monumenti sovietici nel suo paese.
“Nessun soldato sovietico è stato ucciso in Bulgaria! Il diritto internazionale consente assolutamente incondizionatamente di avere monumenti sui luoghi di sepoltura. Ma qui, nel centro di Sofia, a chi è dedicato quel monumento? Nessuno è stato ucciso, dopo tutto. È solo un simbolo del dominio dell’Unione Sovietica sulla Bulgaria”. È sicuro che i monumenti saranno rimossi in futuro. “Almeno perché sono brutti, non è Michelangelo. In secondo luogo, è solo umiliante per i bulgari. Il [monumento al] principale eroe bulgaro, [Vasil] Levski proprio vicino ad Alyosha, è molto più piccolo”.
“Li abbatteremo”, dice Mitov di GERB in modo rassicurante. “Questa è una delle mie missioni personali, per così dire.”
“Ma perché questo non è ancora stato fatto?”
“Ai bulgari non piace il confronto. E in generale, sembra che l’opinione che la storia dovrebbe essere amata fosse prevalente qui prima della guerra in Ucraina.
I russofili di Malinov giurano di difendere i monumenti.
“Resisteremo. Abbiamo raccolto 54.000 firme a sostegno del monumento a Sofia nel 2013. Ogni generazione ha le sue battaglie, e abbiamo dovuto combattere gli ucraini [termine dispregiativo per gli ucraini] per strada qui, quando si avvicinavano a noi con i loro striscioni per punirci per aver difeso i monumenti “, dice Malinov.
Nelle sue parole, l'”avversario” ha anche cercato di attaccare altri simboli di amicizia tra Bulgaria e Russia, comprese le proposte che la Cattedrale Alexander Nevsky e la via del conte Ignatiev a Sofia siano rinominate in qualche modo.
Populismo anti-vax
Anche se i russofili hanno fallito alle elezioni, altri partiti filo-russi hanno ottenuto buoni risultati. Ad esempio, il partito di destra radicale Revival ha raccolto il 5% in più rispetto alle precedenti elezioni. Gennady Gudkov ritiene che Revival riceva una parte significativa dei suoi finanziamenti attraverso varie società di facciata filo-russe e compagnie energetiche bulgare, che sono state acquistate dal Cremlino molto tempo fa. Il giornalista Indhzev è anche sicuro che il Cremlino paghi i gruppi filo-russi. Ad esempio, dice citando le sue fonti che Mosca ha pagato 20 milioni di euro alle ONG bulgare per sostenere una campagna per la costruzione della centrale nucleare di Belene.
Lena Borislavova, portavoce dell’ex primo ministro Petkov, ha affermato a luglio che la Russia paga circa 2.000 euro a giornalisti e politici che diffondono la propaganda del Cremlino.
L’ex ambasciatore bulgaro in Russia Ilian Vassilev, con il quale incontro vicino alla catena di prodotti alimentari russi chiamata Beryozka, o Birch Tree, dove è possibile acquistare vodka, caviale, gnocchi, grano saraceno e molti altri prodotti alimentari tradizionali russi, insiste sul fatto che il numero di bulgari che “credono ideologicamente nella Russia” e “la amano gratuitamente” è inferiore al 10%. mentre il resto lo fa per soldi.
“È vero che circa il 30% del nostro PIL è dovuto a capitali legati direttamente o indirettamente a uomini d’affari o magnati russi. Tuttavia, i gruppi russofili trasformano il mito del sostegno schiacciante di Putin tra i bulgari in un prodotto che possono vendere al Cremlino. Commerciano questi miti molto bene, ricevendo in cambio una buona quota dei redditi di Gazprom o Lukoil “, ha detto.
“Il risveglio ha due priorità. In primo luogo, rendere la Bulgaria indipendente dall’UE, ed è il vecchio sogno di Putin usare la Bulgaria come cavallo di per distruggere l’UE. In secondo luogo, migliorare le relazioni con la Russia, anche se si presentano come patrioti bulgari”, dice Indzhev.
“Il partito Revival è abitualmente descritto come nazionalista, ma a mio avviso, sono la quinta colonna di Putin. La destra italiana è almeno contraria all’invasione russa dell’Ucraina, ma Revival sostiene la Russia di Putin. Puoi chiamarli ultra-destra, ma allo stesso tempo russofili”, dice il politologo Smilov.
I rappresentanti di Revival si sono rifiutati di rilasciare un’intervista a Novaya-Europe.
Un’altra importante figura bulgara criticata per i sentimenti caldi nei confronti del Cremlino è il presidente in carica Rumen Radev. Ha detto in passato che la Crimea è russa, e recentemente si è opposto alla rapida adesione dell’Ucraina alla NATO.
“È ideologicamente orientato verso la Russia, ed è positivo che la Bulgaria sia una repubblica parlamentare, ma il suo peso sta crescendo finché non c’è un governo stabile”, dice Smilov.
L’ex presidente Plevneliev descrive come una tragedia per la Bulgaria che i partiti che sostengono il corso euro-atlantico del paese e hanno ottenuto complessivamente l’80% dei voti nelle ultime elezioni non possano consolidarsi per affrontare questioni complicate perché non si fidano l’uno dell’altro.
“Per me, Putin è un fascista, perché nega il diritto degli ucraini di avere il proprio paese. Hitler fece lo stesso con gli ebrei e altri. Ed eccolo qui, un partito pro-Putin, quindi un partito filo-fascista, che emerge in Bulgaria solo perché i partiti pro-europei sono incapaci di governare il paese!” Plevneliev esclama indignato.
Plevneliev attribuisce il crescente sostegno ai partiti filo-russi al loro populismo sfrenato piuttosto che alla loro retorica filo-russa in quanto tale. Nelle sue parole, il leader del Revival Kostadin Kostadinov, da vero populista, dice a persone diverse esattamente quello che vogliono sentire.
“Si è rifiutato di indossare una maschera facciale al parlamento e, proprio come il presidente Radev, non ha usato la parola ‘virus’ per un anno e mezzo, perché sta flirtando con gli anti-vaxxer”, dice Plevneliev.
Secondo Ivanov, un politico liberale della Bulgaria democratica, non solo gli ammiratori di Putin votano per il Revival.
“Il numero dei sostenitori del Risveglio è cresciuto drammaticamente in Occidente, in America. Queste non sono persone che studiano nelle università russe o lavorano nei cantieri nella parte nuova di Mosca. Semplicemente odiano il sistema in quanto tale. Tuttavia, Putin è un campione per tutti coloro a cui piace dare all’America il dito solo per nutrire il loro ego. E questo gruppo è più grande delle persone che dicono di amare la Russia. Immagino che ci potrebbe essere potenzialmente il 70% di queste persone in Bulgaria. Non sto dicendo che Revival otterrà effettivamente il 70% dei voti, ma è chiaro che hanno spazio per la crescita “, dice Ivanov.
“Come mai ci sono così tanti anti-vaxxer?” Chiedo a Ivanov sorpreso.
“Il nucleo degli anti-vaxxer sono i medici personali. La maggior parte di loro si sta avvicinando all’età pensionabile, si sente svantaggiata e sta esplorando modi per resistere. Quei medici hanno deciso per qualche motivo che avrebbero dovuto opporsi alla politica anti-coronavirus e sono riusciti a mobilitare ampi strati della società. Revival ha approfittato di questi sentimenti molto abilmente”, risponde Ivanov.
Ha descritto il discorso di Putin il giorno della firma dei documenti sull’annessione dei nuovi territori ucraini come essenzialmente un manifesto.
“Dal mio punto di vista, ha cambiato considerevolmente la dottrina della guerra in Ucraina. È iniziato sollevando domande come garanzie per la Russia che la NATO non si sarebbe avvicinata ai confini russi, poi c’erano fascisti in Ucraina, ma questo funziona solo per consolidare le persone all’interno della Russia, e nessuno in Bulgaria si preoccupa di questo “, dice Ivanov. Ma poiché i gay, il problema di genere e il decadimento morale dell’Occidente hanno improvvisamente sostituito i fascisti, la gente qui lo capisce molto bene. Questo segna l’inizio di una fase in cui Putin diffonderà attivamente la propaganda nell’Europa orientale”.
Russo Bulgaro
Petar Tanev, un attivista di 22 anni del movimento Per una Russia Libera, si è assunto il pesante fardello di opporsi all’opinione di Putin come liberatore, che è abbastanza diffusa in Bulgaria.
“Ci sono molti russofili in Bulgaria, e non ho obiezioni a questo. Per esempio, amo l’Italia e, quindi, posso definirmi un italofilo. Tuttavia, ciò non significa che sosterrò politici come Giorgia Meloni [nuovo primo ministro italiano e leader del partito politico di destra Fratelli d’Italia]”, dice Tanev.
È nato in Bulgaria, suo padre è bulgaro e sua madre è russa. Tanev ha un passaporto bulgaro, ma da quando si ricorda ha vissuto insieme a sua madre, tornata in Russia nel 2009.
Nel febbraio 2022, Tanev è tornato a Sofia e ha immediatamente iniziato a recitare nel suo paese d’origine. Vede la sua missione come spiegare ai bulgari che la Russia e Putin non sono la stessa cosa.
“A causa della propaganda russa, i bulgari non possono immaginare la Russia senza Putin e dire che sta difendendo i valori conservatori per non lasciare che il suo paese precipiti in un pantano occidentale color arcobaleno”, dice Tanev.
Nonostante la sua giovane età e il fatto che è venuto in Bulgaria molto recentemente, Tanev è diventato un appuntamento fisso nei programmi radiofonici e televisivi bulgari, grazie alla sua naturale affabilità e proattività, nonché a una bandiera bianco-blu-bianca, che la nuova emigrazione russa ha fatto il suo simbolo dall’inizio della guerra.
“Mi piace molto questo simbolo. Ricordo di aver sentito un’ondata di patriottismo verso il movimento che ha consolidato il popolo russo. Non avevo mai sperimentato nulla di simile prima. Non avevo voglia di prendere in mano il tricolore ufficiale russo. Ho avuto delle strane emozioni negative quando ho semplicemente visto quella bandiera”, dice.
Quando è apparso alla prima manifestazione contro la guerra a Sofia, tutti hanno iniziato a chiedergli che tipo di bandiera fosse. Tanev non vorrebbe rispondere a tutti la stessa cosa, e così ha preso una decisione più elegante.
“Ho iniziato a gridare slogan come ‘La Russia senza Putin!’ o ‘La Russia non è Putin!’ in bulgaro. Era qualcosa di nuovo per la gente. Non avevano mai sentito nulla del genere e, quindi, stavano diventando sempre più interessati”.
Ha sempre un distintivo con questa bandiera appuntata sul bavero e mantiene un account Instagram della bandiera con 9.000 abbonati. Tanev mi mostra con orgoglio la foto di un uomo con un’enorme bandiera bianca-blu-bianca avvolta intorno alle spalle.
“L’ho visto a una manifestazione e ho pensato che fosse uno della nostra gente, ma si è scoperto che era un normale bulgaro che si è entusiasmato con l’idea della nostra bandiera”, dice Tanev. “E so che sono solo i russi che si uniscono alle manifestazioni in altre diaspore”.
Tanev ammette che il movimento è riuscito a fare l’impossibile alla manifestazione a sostegno di Alchin, poiché c’erano solo due russi tra i manifestanti, mentre il resto erano bulgari. Ora sta progettando di organizzare una mostra di strada dell’opposizione russa, che ha già chiarito con un legislatore locale.
Tanev irradia fiducia e insiste sul fatto che, dopo le sue apparizioni televisive e radiofoniche, i russofili in Bulgaria “sono arrivati a capire gradualmente che, in realtà, il principale russofobo è Vladimir Putin, poiché ha rovinato il destino di centinaia di migliaia di russi e ha messo tutti contro i cittadini russi”. Ammette che è stato difficile da fare, e molti in Bulgaria lo chiamano ancora un russofobo e “un traditore della patria”, che suona in bulgaro più come “un apostata dei suoi parenti”.
Il segreto del successo di Tanev è semplice.
“Ho capito che sono un uomo che rappresenta sia la Russia che la Bulgaria, e i bulgari sono più propensi ad ascoltare il loro compatriota rispetto a qualcun altro. Ai piccoli paesi piace molto essere orgogliosi dei loro cittadini che soggiornano o hanno vissuto all’estero”, afferma.
L’opposizione russa non ha ancora molti attivisti in Bulgaria. Tanev dice che ce ne sono circa 30 a Sofia e circa 20 a Varna e Burgas ciascuno. Tuttavia, Tanev ha immediatamente iniziato a ricevere inviti a parlare non solo in programmi televisivi e radiofonici, ma anche in occasione di raduni organizzati da We Continue the Change e Democratic Bulgaria. Come persona che rappresenta l’opposizione russa, spiega ai democratici bulgari quale ragionamento dovrebbero usare nei dibattiti con gli amanti locali di Putin.
Mentre era in Russia, Tanev era anche impegnato in proteste, anche se poteva solo sognare di essere famoso all’epoca come lo è ora (cosa che a quanto pare ha fatto). Ha lavorato per i City Projects di Maxim Kats ed è stato membro del partito Yabloko. Aveva anche pianificato di candidarsi alla Duma di Stato nel 2021, ma dopo averci pensato due volte, ha deciso di non rinunciare alla sua cittadinanza bulgara.
“Questa è una sciocchezza! Non voglio perdere i miei legami con l’Unione Europea. Dopo tutto, sono una persona assolutamente euro-atlantica. Il mio obiettivo è sempre stato quello di diffondere i valori e le idee dell’Unione Europea e della NATO in Russia. Voglio vedere la Russia come membro di queste due associazioni”, ammette Tanev.
“Ma non è quasi mai possibile” Prendo atto con cautela.
“Certo che è impossibile”, concorda facilmente Tanev. “Ma mi piace indulgere in utopie di tanto in tanto.”
Tanev non vuole rinunciare nemmeno alla sua cittadinanza russa. Quando è arrivato in Bulgaria a febbraio, il motivo formale del suo viaggio era servire il suo tirocinio presso il Ministero degli Esteri. Una persona intraprendente, è stato ricevuto dal ministro degli esteri, con il quale ha condiviso i suoi pensieri sull’Ucraina e l’opposizione russa. Lei gli offrì un lavoro come consulente per la Russia, ma Tanev decise di non rinunciare al suo passaporto russo anche per ottenere questo prestigioso incarico.
“Mi sono reso conto che non volevo porre fine alla mia affiliazione legale con la Russia, perché ho iniziato a sentirmi patriottico nei suoi confronti”, dice.
Delusione su Putin
Che sia dovuto a Tanev o meno, ma l’atteggiamento nei confronti di Putin tra il pubblico bulgaro sta cambiando. Il 1 ° marzo 2019, l’allora primo ministro Boyko Borisov ha insistito sul fatto che la Bulgaria non era il cavallo di della Russia nella NATO e nell’UE, dove Sofia ha aderito rispettivamente nel 2004 e nel 2007. A proposito, il commento di Vladimir Putin sull’adesione di Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania ed Estonia alla NATO era piuttosto riservato all’epoca, poiché ha affermato che “la Russia non ha particolari preoccupazioni per l’allargamento della NATO dal punto di vista della sicurezza”.
“Sofia non causa problemi all’UE o alla NATO. Non si tratta di un paese come l’Ungheria, che spesso impedisce a queste organizzazioni di raggiungere un consenso. Anche quei politici bulgari che si presentano come filo-russi lo fanno piuttosto per il pubblico interno. Spesso dicono una cosa mentre sono in Bulgaria e assolutamente diverse quando si recano a Bruxelles e parlano con i rappresentanti dell’UE e della NATO “, dice il politologo Smilov.
“Perché l’affetto storico per la Russia è stato trasferito a Putin? Si può separare l’uno dall’altro?” Chiedo a Mitov.
“Può, ma ci vogliono sforzi, e le persone estendono automaticamente i loro buoni sentimenti verso la Russia a Putin. Ma ora le cose sono cambiate, perché i bulgari capiscono cosa sta succedendo. Alla gente qui non piacciono gli stupratori”, ha detto Mitov.
Anche il russofilo Malinov ammette che la popolarità del presidente russo in Bulgaria è diminuita.
“Personalmente approvo le politiche di Putin e lo dico apertamente tutto il tempo. Credo che abbia ragione, e penso anche che dovrebbe essere più duro e sostituire più attivamente gli incaricati liberal-comunisti con quelli patriottici. Ma è vero che non possiamo comunicare pienamente la nostra comprensione chiara e corretta di ciò che sta accadendo in Ucraina a un vasto pubblico! Ci mancano le risorse per raggiungere tutte le menti e i cuori per dire loro che non è aggressione, anche se recentemente ho avuto la possibilità di spiegare in un programma televisivo che l’incorporazione di Crimea, Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson non è annessione.
L’ex ministro dell’economia bulgaro Ovtcharov del BSP pensa addirittura che il sentimento russofilo in Bulgaria sia in aumento.
“È crollata subito dopo l’inizio della guerra, ma la propaganda [filo-occidentale] in Bulgaria è così primitiva e sbilenca che ora sta producendo l’effetto opposto. La gente non vuole sentire quello che dice Zelensky, perché si sono resi conto che il cinquanta per cento di quello che dice sono bugie”, dice.
“Pensi che i bulgari abbiano finalmente preso la pillola rossa?” Chiedo a Gennady Gudkov.
“Lo hanno! Perché Putin ha commesso molti errori. Ciò che ha aiutato è stato che l’ambasciatore russo in Bulgaria Mitrofanova ha chiamato i bulgari per nome, che la guerra è iniziata, e anche che la fornitura di gas alle famiglie del paese è stata tagliata.
Gas e diplomatici
In effetti, il “cavallo di” si è opposto e si è rifiutato di pagare il gas russo in rubli nell’aprile 2022.
“Putin ha deciso di usare Gazprom come arma energetica, ma i bulgari hanno deciso di non rompere l’unità sulle sanzioni. In questo caso, sono orgoglioso della decisione di Petkov”, ha detto Plevneliev.
Come lo stesso Petkov ha detto un po’ pomposamente in un’intervista a Le Monde, “Nessuno ha il diritto di cambiare unilateralmente i termini del contratto. Se cedessimo, segnerebbe il primo scisma nella famiglia europea”. Ha promesso che la Bulgaria non sarebbe stata la causa di questo scisma. Il 27 aprile, Gazprom ha interrotto la fornitura di gas a Bulgaria e Polonia. Sofia ha lottato per sei mesi, ma poi un interconnettore del gasdotto che collega Grecia e Bulgaria (IGB) ha iniziato a funzionare il 1 ° ottobre. Il contratto in base al quale il gas proveniente dall’Azerbaigian viene attualmente fornito alla Bulgaria attraverso questa sezione di gasdotto attraverso la Grecia era stato concluso durante la premiership di Borisov, ma non è stato messo in vigore fino a poco tempo fa. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato che il lancio dell’interconnettore del gasdotto ha segnato l’inizio di “una nuova era per l’Europa sud-orientale”.
“Mosca sperava che la Bulgaria avrebbe ceduto come anello debole nell’unità europea, e il ‘no’ di Petkov è stato una grande sorpresa per loro”, dice Indzhev. “Questo è un evento cruciale per i Balcani. È la prima volta che il gas che arriva nella regione non è russo. Devi essere un idiota per non capire che il gas sarebbe più economico solo ora”.
Certamente, le opinioni sulla decisione di Petkov si sono divise in Bulgaria. Malinov il russofilo si oppone. È sicuro che l’America stia cercando di rompere i legami del gas tra la Russia e l’Europa perché il gas russo a buon mercato consente all’Europa di svilupparsi costantemente, il che non è nel migliore interesse dell’America.
“Interrompere il contratto con Gazprom era assolutamente inutile. La Bulgaria è stata usata come un topo da laboratorio”, dice Ovtcharov del BSP, insistendo sul fatto che senza Gazprom, la Bulgaria non sarebbe stata in grado di trovare abbastanza gas.
“Perché pensi che la Russia non abbia fatto un’eccezione per la Bulgaria?”
“Ma perché dovrebbe?” risponde l’ex ministro con una controdomanda.
“Ma è un amico della Russia, non è vero?”
“Era molto tempo fa e non è più vero”, sorride Ovtcharov. “Che tipo di amico è? Il ministro del turismo del governo Petkov una volta mi ha detto in primavera che aveva organizzato il lancio di 600 voli charter per i turisti russi in estate. E poi torno a casa e leggo nei notiziari che la Bulgaria ha chiuso il suo spazio aereo agli aerei russi. È davvero così che si dovrebbe fare politica?”
Il politologo Smilov afferma che il governo bulgaro e i responsabili politici sono sempre stati politicamente dipendenti da Mosca e hanno investito proprio nel gas russo, ma ora si è scoperto che Sofia ha accesso a fonti alternative.
“Il gas proveniente dall’Azerbaigian inizierebbe ad essere fornito per intero dal 1 ° ottobre, che è un miliardo di metri cubi all’anno. Ci aspettiamo che il nostro consumo di gas sia inferiore del 20%-25%, e quindi altri 300-400 milioni di metri cubi dovrebbero essere aggiunti a quello del mercato del gas liquefatto, e poi tutto andrà bene”, mi assicura Vassilev.
Tuttavia, la Bulgaria dipende ancora dal petrolio russo e recentemente ha revocato le sanzioni dai fornitori di carburante russi fino al 31 dicembre 2024.
L’espulsione di 70 dipendenti dell’ambasciata russa a giugno ha inferto un altro colpo alle relazioni speciali tra Bulgaria e Russia.
“L’ambasciatrice ha fatto molte dichiarazioni, e quindi, o doveva essere espulsa, o qualcos’altro doveva essere fatto. Inoltre, ci sono state operazioni dei servizi speciali russi nel nostro territorio, anche quelle che coinvolgono Novichok, e non sono state prese misure. Quindi, abbiamo dovuto rispondere nel mezzo della guerra in Ucraina”, mi assicura Smilov.
Naturalmente, Ovtcharov non è d’accordo di nuovo.
“Dichiarare 70 diplomatici personae non gratae è assurdo. È ridicolo che abbiamo cacciato forse un centinaio di diplomatici russi, ma non abbiamo trovato alcun loro complice in Bulgaria. Ma dovevano ricevere informazioni da qualcuno!”
Nonostante l’espulsione dei diplomatici, l’ambasciatrice russa in Bulgaria Eleonora Mitrofanova rimane ancora nel paese.
“Organizziamo raduni davanti all’ufficio presidenziale bulgaro ogni settimana, e Mitrofanova è apparso lì a settembre. Formalmente, stava visitando una mostra al Museo Archeologico nelle vicinanze, ma in realtà ha cercato di mostrare che è ancora qui, in Bulgaria “, dice il politico Ivan Kalchev, che ha combattuto in Ucraina.
Il giorno dopo, ha gettato vernice rossa sull’edificio dell’ambasciata russa a Sofia.
La fine dell’amicizia tra le persone
L’ex ambasciatore bulgaro in Russia Vassilev afferma che, in seguito alla questione del gas e all’espulsione dei diplomatici, il suo paese è passato allo “scontro totale” con la Russia. Anche la retorica dei funzionari bulgari che erano ben disposti verso la Russia è cambiata: recentemente, come ha sottolineato il giornalista Indzhev, il presidente Radev ha dovuto finalmente descrivere gli sviluppi in Ucraina come “aggressione” e il “vicepresidente, che si è inginocchiato davanti al patriarca Kirill nel 2019, ha detto inaspettatamente che Putin deve essere fermato”.
“Ora il Cremlino non crede più a nessuno qui, e non è disposto ad andare oltre il quadro generale della sua politica nei confronti dei paesi dell’Unione Europea in modo da mettere la Bulgaria in un gruppo separato anche per il bene di Borisov o Radev. Mosca non crede che questo possa portare benefici a lungo termine”, dice l’ex ambasciatore bulgaro Vassilev. Non è incline a farne una tragedia. “Cosa può offrirci la Russia? Praticamente nulla”.
Era arrivato a Mosca per iniziare il suo servizio di ambasciatore dieci giorni prima che Putin fosse eletto presidente russo nel marzo 2000, e ricorda ora che, dopo l’assedio della scuola di Beslan nel 2004, ha concordato con Lukoil che avrebbe organizzato di portare i bambini sopravvissuti all’attacco nelle località bulgare. Ma i piani di bell’aspetto non si sono mai concretizzati.
“Qualche ministero russo non lo ha permesso! Sostenendo che la Russia ne ha abbastanza dei suoi resort! Semplicemente non riuscivo a capirlo”, si agita Vassilev. “È stato allora che mi è diventato chiaro che Putin era incline all’idea del messianismo, e questo non finirà bene”.
Malinov il russofilo non usa mezzi termini accusando le autorità bulgare, in particolare Petkov, di “rovinare i ponti” tra le due nazioni slave, che sta cercando di riparare.
“Ho incontrato Lavrov due settimane fa e abbiamo concordato che dobbiamo preservarci per i momenti in cui i ponti saranno ricostruiti. Ho vissuto in Ucraina per 14 anni, ho studiato a scuola e al college lì, e l’ho lasciato a causa del nazionalismo nel 1990. Ora [l’Occidente] sta cercando di trasformare la Bulgaria in un altro anti-Russia, dopo l’Ucraina”, dice Malinov, promettendo di opporsi a questo.
“Se la guerra finisce, Putin si dimette e la Russia diventa democratica, i bulgari ameranno di nuovo la Russia?” Chiedo all’ex ministro degli Esteri bulgaro Mitov, forse futuro premier, mentre parliamo su un balcone di una villa a Varna con una splendida vista sul Mar Nero.
“Il precedente tipo di amore per la Russia, che tutti noi conoscevamo, è sparito. Questa guerra minaccia l’immagine della Russia per gli anni a venire. Penso che le persone che capiscono ora cosa sta succedendo troverebbero difficile ricominciare ad amare la Russia”, risponde Mitov. “Temo che la guerra in Ucraina non finirà presto, e il lungo periodo di confronto offuscherà l’affetto della gente per la Russia. L’economia bulgara e le località bulgare si riorganizzeranno e questo amore diminuirà. La guerra indebolirà economicamente la Russia, Putin e tutta la sua cricca saranno clienti di tribunali internazionali, e innamorarsi della Russia non sarà prestigioso per gli anni a venire”.