LA STORIA DIMENTICATA DI QUANDO I MIGRANTI ERANO GLI INTELLETTUALI CHE SCAPPAVANO DALL’EUROPA DELLE DITTATURE (thevision.com)

di MANUEL SANTANGELO

Nel 2001, Olivier Assayas, regista e critico 
francese figlio di Rémy Assayas – in arte 
Jacques Rémy – ritrovò alcune fotografie e, 
a poco a poco, scoprì che quegli scatti 
testimoniavano la vita a bordo di una nave 
di cui lui non sapeva quasi nulla.

Il piroscafo si chiamava Capitaine Paul Lemerle, mentre l’autrice di quegli scatti era un’amica di famiglia che Assayas figlio ricordava dalla sua adolescenza: Germaine Krull.

Krull era stata una grande fotografa e attivista politica, per lungo tempo quasi dimenticata. Era stata espulsa da Monaco di Baviera, dove aveva studiato, e nel 1921 processata in Russia perché sospettata di essere “nemica del leninismo”. Con l’avvento del nazismo, divenne poi una strenua oppositrice di Hitler e in generale di tutte le dittature che brutalizzarono il mondo in quegli anni.

Proprio queste sue posizioni critiche la obbligarono a salire a bordo della Capitaine Paul Lemerle, insieme all’amico Jacques Rémy e ad altri intellettuali e artisti che, per ragioni diverse, furono costretti a scappare dall’Europa, ormai in mano ai totalitarismi.

Nella foto più famosa di quel viaggio, si riconoscono il romanziere e rivoluzionario Victor Serge, il padre del surrealismo André Breton e la moglie di quest’ultimo: la pittrice Jacqueline Lamba. Sulla stessa barca c’erano anche l’antropologo Claude Lévi-Strauss, il pittore cubano Wilfredo Lam, la scrittrice tedesca Anna Seghers e più di trecento altre persone, tutte con un buon motivo per andarsene dal vecchio continente.

Sulla Capitaine Paul Lemerle trovavano posto ebrei, repubblicani spagnoli, comunisti, socialisti e un cospicuo numero di intellettuali sgraditi ai regimi. Seghers, in particolare, stava fuggendo dalla Germania verso il Messico a causa delle sue radici ebraiche e delle proprie convinzioni comuniste … leggi tutto

Strage Bologna, Merola: “Il 2 agosto intitoliamo la stazione” (dire.it)

di

Dal sindaco arriva la conferma che 
l'intitolazione della stazione di Bologna 
avverrà per l'anniversario dei 40 anni dalla 
strage del 2 agosto 1980

Il sindaco di Bologna, Virginio Merola, conferma: l’intitolazione della stazione centrale alla strage del 1980 “va avanti e si concretizzerà il prossimo 2 agosto”, quando scatteranno i 40 anni dalla bomba che fece 85 morti. Il sindaco, nella risposta al question time letta oggi dall’assessore Claudio Mazzanti, ringrazia “per la sensibilità le Ferrovie dello Stato e l’ad Gianfranco Battisti”.

“Sono felice che l’intitolazione avvenga in concomitanza del 40esimo anniversario”, ha replicato la dem Federica Mazzoni, autrice della domanda al sindaco. “Tutti coloro che transitano per la stazione devono sapere che è stata teatro di una strage neo-fascista“.

Ora l’attenzione si sposta però alle modalità della cerimonia di quest’anno, che dovrà fare i conti con le norme di distanziamento imposte dal Covid … leggi tutto

“SEI TRISTE PAPA?'” “SONO SOLO” (unacitta.it)

di Cesare Panizza, Leslie Hernandez, Antonio Becchi, Barbara Bertoncin

Intervista a Catherine Camus

Albert Camus che riesce a essere letto anche dalla gente semplice in tutte le parti del mondo, ma il cui pensiero continua a essere malvisto dall’accademia e dalla politica; la possibilità per ognuno di fare, di essere libero, ma nella propria misura; un pensiero antitotalitario che costrinse Camus a una solitudine dolorosa; la grande figura della madre, lo zio sordomuto, l’Algeria amatissima e la malattia che lo colpì da ragazzo. Intervista a Catherine Camus.

Per la politica? È molto semplice, Camus non esiste. E con la sinistra è quasi peggio che con la destra. Questo è chiaro e netto. Nel 2013 i francesi, che pure adorano le commemorazioni -sono noiosissime, ma a loro piacciono- non hanno fatto proprio nulla. L’unico è stato Nicolas Sarkozy che voleva mettere papà nel Panthéon, e meno male che mio fratello ha detto di no perché io avevo detto sì.

Ma avevo ricevuto tantissime lettere che mi avevano chiesto di dire sì. E si capiva che erano della stessa estrazione sociale di papà, erano dei poveri. Racconto quest’episodio: uscivo dall’Eliseo per andare al Panthéon, e col tassista non so come è venuta fuori la cosa della commemorazione, perché lui mi dice: “Le commemorazioni ci fanno campare alla grande, ci fanno comodo e a loro piacciono”, e io: “Ah, no, non mi parli di commemorazioni, che rottura”. E lui: “Perché, lei è nel settore delle commemorazioni?”, e io: “Dio me ne scampi, non c’entro nulla, ma è il cinquantenario della morte di mio padre, che era una persona nota, e lo vogliono commemorare e questo mi scoccia”.

Dice: “Cinquant’anni dalla morte? È morto nel Sessanta?”. E io: “Beh, sì”. “Ma non sarà mica Albert Camus?”. E io: “Eh, sì”. “Signora, lei non può immaginare quanto io sia commosso, non può, perché per me Camus è… lo leggo continuamente, e come parlava di sua madre! … leggi tutto

JACK JOHNSON E LA SFIDA DEL SECOLO A SFONDO RAZZIALE CON JAMES JEFFRIES (sport660.wordpress.com)

di NICOLA PUCCI

I più autorevoli, ancorché attempati, storici 
del pugilato considerano unanimamente John “Jack” 
Johnson se non il peso massimo più forte di 
sempre, sicuramente uno dei tre migliori, al 
pari di Cassius Clay e Joe Louis. 

E ne hanno ben donde.

Perché stiamo pur sempre parlando di un campionissimo che se è vero che non ha potuto avvalersi del conforto delle immagini televisive bensì solo dei racconti di chi ha avuto la ventura di vederlo esibire, nondimeno ebbe l’onore di fregiarsi del titolo di numero 1 del mondo e assurgere al rango non solo di idolo universale all’epoca dei pionieri della boxe ma anche di simbolo nella lotta all’emarginazione razziale.

C’è tanto, ma proprio tanto nella vita di Johnson, che vede la luce il 31 marzo 1878 a Galveston, nel Texas, secondo dei sei figli di Henry e Tina, due ex-schiavi liberati durante la guerra civile e impiegati come bidello, lui, e lavastoviglie, lei. E in virtù dell’estrazione sociale il giovane Jack, che ben presto lascia la scuola, comincia a fare a pugni nelle battle royal, ovvero gli incontri disputati da neri per un pubblico di bianchi, evidenziando doti non comuni.

Eppure, a dispetto dell’umile origine, proprio con i ragazzi bianchi Jack familiarizza da adolescente (e da adulto darà uno strattone decisivo alle convenzioni dell’epoca sposando, lui di colore, tre donne bianche), condividendone gli stenti di una vita travagliata, e, peso massimo naturale com’è in virtù di una stazza che all’apice della forma fisica dice 184 centimetri per 90 chilogrammi, pare che debba a un certo Walter Lewis, conosciuto a Dallas e che per campare dipinge carrozze, il suo avviamento alla boxe che conta … leggi tutto

Strage Bologna, ora Fs frenano sulla stazione intitolata al ‘2 agosto’ (dire)

di

Sembrava già cosa fatta il cambio di nome 
alla stazione di Bologna che avrebbe preso 
il nome '2 agosto'. Ora che si avvicina il 
40esimo anniversario Bolognesi segnala che 
ci sono resistenze da parte di Fs

Sembrava cosa fatta invece l’intitolazione (con conseguente nuovo nome ufficiale) della stazione ferroviaria di Bologna, al 2 agosto 1980, ora vacilla. E proprio a ridosso delle celebrazioni del 40esimo anniversario della strage che fece 85 morti e 200 feriti.

“Mi sono giunte voci di una tergiversazione di problemi che insorgono da parte di Ferrovie dello Stato italiane. Credo che sia una cosa veramente strana che le Fs si oppongano a una cosa tranquillamente pacifica per tutta la città di Bologna“, afferma Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime.

“Sembra si tratti di motivazioni speciose, come tante altre che si sono succedute da sempre sui nostri destini”, aggiunge nell’intervista al periodico di InCronaca, “Quindici”, dedicata al quarantennale della strage. Eppure, a marzo, in una altra intervista (all’Anpi di Bologna) Bolognesi aveva dato ormai per fatta la cosa.

Ora ne chiederà conto in una riunione a Palazzo d’Accursio, insistendo perchè l’iter vada avanti a nome di tutta l’associazione e della città. Bolognesi si aspetta che “anche nel nuovo nome della stazione si aiutino i familiari delle vittime a far ricordare al mondo intero che quel 2 agosto ’80 una bomba voluta dalla P2 e fatta esplodere dai Nar fece saltare un’ala dello scalo bolognese” … leggi tutto

Morto Milton Glaser, artista della grafica che inventò il logo «I Love New York» (ilsole24ore.com)

di Stefano Salis

Padre del Push Pin Style, studiò in Italia, 
espose al Louvre ed espresse il senso degli 
anni Sessanta nel manifesto di Bob Dylan

Domanda a bruciapelo: provate a dire il nome di un grafico famoso. Se non siete del settore, è probabile che faticherete un bel po’ prima di trovare un nome. Ma, se non siete del settore, è anche probabile che, forse, il nome che vi verrebbe in mente per primo è quello di Milton Glaser.

L’artista (mettiamo subito in chiaro le cose) americano è morto venerdì sera, nel giorno del suo 91esimo compleanno: la sua vita e la sua carriera di grafico, di maestro della comunicazione, di guru del visual desgin, era stata onorata con i massimi riconoscimenti civili e professionali. Di più non poteva avere. Eppure non è di questo che poteva vantarsi.

La mostra Louvre sostenuta da Olivetti

E dire, prendiamola alla larga, che poteva essere soddisfatto già verso i 40 anni, quando aveva ottenuto una mostra al Louvre (con i soci del Pushpin Studio), sostenuta da Olivetti (per cui disegnò un manifesto rimasto celebre): celebrava il Push Pin Style.

Ecco: ci siamo. Milton Glaser, con una infilata di strepitose creazioni grafiche aveva creato – e con una durata che gli fece attraversare da protagonista assoluto almeno gli anni Sessanta e Settanta – uno stile riconoscibile. … leggi tutto