Strage di Ustica. 27 giugno di 40 anni fa. Il muro di gomma c’è ancora ma comincia a sgretolarsi. Intervista ad Andrea Purgatori (articolo21.org)
“India Hotel 870, rispondete, India Hotel 870 rispondete”. Sono le 20.59 del 27 giugno 1980.
La voce dalla torre di controllo di Ciampino si fa via via più concitata. Sul radar è sparito il segnale del DC9 Itavia, partito da Bologna con direzione Palermo mentre si trovava in volo sul braccio di mare compreso tra le isole italiane di Ponza e di Ustica. A bordo 77 passeggeri, tra cui 13 bambini e quattro membri dell’equipaggio…
Sono trascorsi 40 anni da quel giorno. Due milioni di pagine di istruttoria, migliaia di testimoni, oltre cento perizie, un’ottantina di rogatorie internazionali. Ma è una strage tuttora senza colpevoli. Ne abbiamo parlato con il giornalista Andrea Purgatori che da fin da subito, per il Corriere della Sera iniziò ad occuparsi dell’inchiesta sulla strage. E di recente su La7 ha ricostruito passo dopo passo la storia della strage con testimonianze importanti e autorevoli.
Facciamo subito chiarezza sulle sentenze. La Cassazione ha condannato due ministeri a risarcire le vittime sostenendo pertanto la tesi del missile. La sentenza penale, precedente, ha assolto i vertici militari dal reato di depistaggio. Così facendo non ha avallato l’ipotesi del missile ma neanche quella della bomba, è così?
Sì, nella maniera più assoluta. La sentenza che assolve i generali per depistaggio sostiene che non ci sono elementi per attribuire l’esplosione a un missile e neppure a una bomba. Ma sulla bomba aggiunge qualcosa di molto importante, ovvero che sarebbe stato impossibile prevedere per un terrorista che la sera del 27 giugno 1980 ci fosse un temporale così forte da far ritardare di due ore la partenza dell’aereo … leggi tutto
Rassegnata stampa – Irresponsabili! 25/06/2020 (diario.world)
L’angolo fascista
Letizia Battaglia: ”Il Coronavirus? Infotografabile. È più forte della mafia” (antimafiaduemila.com)
di Teresa Comberiati
“Sono Letizia”. Inizia così una telefonata dai toni possenti, crudi e sinceri. Se non si chiamasse Battaglia, sarebbe stato di certo l’appellativo migliore; perfettamente calzante con la sua intensa vita.
Letizia Battaglia è una combattente, un’artista ma soprattutto la prima fotoreporter donna. Dal 1974, per 19 anni, è stata responsabile del servizio fotografico del giornale ‘L’Ora’. In un mondo di fotografi maschi, Letizia ha lottato pur di far sentire la sua voce, di mostrare al mondo la sua Palermo. A volte nuda, a volte sanguinaria. E tra le immagini di un archivio che racconta la storia, non solo quella della sua Sicilia ma dell’Italia; il suo obiettivo ha anche ricercato l’incanto innocente negli sguardi dei bambini. Ha spogliato donne sfatando la banalizzazione del nudo, fotografando la vera e pura essenza della semplicità in un corpo femminile.
Letizia Battaglia è una fotografa pluripremiata. È stata la prima donna europea a ricevere nel 1985 il Premio Eugene Smith a New York. Il Mother Johnson Achievement for Life nel 1999. Riconoscimenti, mostre e documentari a lei dedicati. Come il ritratto personale ed intimo raccontato da Kim Longinotto in ‘Shooting the mafia”.
Oppure nel film di Franco Maresco, in concorso durante la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia del 2019, con ‘La mafia non è più quella di una volta’, di cui lei è coprotagonista. Non basterebbero le pagine di un qualsiasi giornale per raccontare la sua vita e quello che ancora vorrebbe fare. Neanche una piacevolissima chiacchierata al telefono che avrei voluto fosse interminabile … leggi tutto
Mario Amato, il giudice lasciato solo (articolo21.org)
Aveva quarantcinque anni il giudice Amato quando cadde sotto i colpi del piombo nero.
Le mappe, splendidi oggetti morti (ilpost.it)
Il primo capitolo del nuovo libro di Massimo Mantellini, per orientarsi tra le cose che non ci sono più ma ci sono ancora
Herta Müller è la vincitrice del Nobel per la Letteratura del 2009: il suo fazzoletto è un oggetto di uso quotidiano che la mamma la abituò a mettere in tasca ogni mattina. Nel discorso che fece quando vinse il Nobel, raccontò che quando venne licenziata da un lavoro che non voleva assolutamente perdere stese quel fazzoletto sulle scale davanti alla fabbrica e lo usò come scrivania provvisoria. E ne fece un simbolo: del suo ufficio e della sua connessione con il mondo intorno.
Massimo Mantellini usa questa immagine nell’introduzione del suo nuovo libro pubblicato da Einaudi. Si chiama Dieci splendidi oggetti morti e dedica ciascun capitolo a storia e storie dei suddetti oggetti: a cominciare, appunto, dalle mappe.
Servono braccia grandi per dispiegare la carta stradale del Nord Italia; a volte nemmeno quelle bastano. Occorrerà attenzione per capire poi, a fine consultazione, come ripiegarla: capiterà di confondere dritto e rovescio di ogni singola ripiegatura e ottenere, come risultato finale, una salsiccia al posto di una piadina. Servono occhi allenati e un po’ di concentrazione per riconoscere i piccoli nomi delle città, e seguire col dito il percorso rosso della strada statale, quello giallo delle provinciali, il verde delle autostrade. O per controllare il numerino dei chilometri che separano Padova da Mestre. E poi quelli fra Mestre e Vittorio Veneto e poi su, fino a Ponte delle Alpi … leggi tutto