Oltre una dichiarazione verificata su due di Meloni continua a non essere attendibile (pagellapolitica.it)

Fact-checking

Dal 22 ottobre 2022 a oggi abbiamo verificato 402 affermazioni della presidente del Consiglio: il 61 per cento è risultato “impreciso” o “poco o per nulla attendibile”, come durante il primo anno di governo

La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è al governo da due anni: in questo periodo, ossia dal 22 ottobre 2022 al 22 ottobre 2024, abbiamo verificato 402 sue dichiarazioni. A 28 di queste dichiarazioni abbiamo dedicato singoli articoli di fact-checking, mentre le altre 374 dichiarazioni sono state analizzate in articoli con più dichiarazioni verificate al loro interno, pronunciate per esempio in Parlamento o in conferenze stampa.

Come se l’è cavata Meloni alla prova del nostro fact-checking? Abbiamo diviso le 402 dichiarazioni verificate della presidente del Consiglio sulla base di tre giudizi: le dichiarazioni “attendibili”, quelle “imprecise” e quelle “poco o per nulla attendibili”.

Le dichiarazioni “attendibili” sono quelle corrette o con lievi omissioni; le dichiarazioni “imprecise” sono quelle in cui Meloni ha commesso alcuni errori o ha omesso alcuni dettagli importanti; le dichiarazioni “poco o per nulla attendibili” sono quelle quasi o del tutto scorrette.

Fact-checking alla mano, le dichiarazioni “attendibili” sono state 157 (il 39 per cento sul totale), le dichiarazioni “imprecise” 102 (il 25,4 per cento), le dichiarazioni “poco o per nulla attendibili” 143 (il 35,6 per cento). Insomma, oltre metà delle dichiarazioni di Meloni tra quelle che abbiamo verificato nei suoi primi due anni di governo è risultata imprecisa o poco o per nulla attendibile. Questo risultato è in linea con il bilancio che avevamo fatto a ottobre 2023, in occasione del primo anno di Meloni come presidente del Consiglio.

Come per gli altri politici, ricordiamo che per Meloni Pagella Politica non offre un indicatore statisticamente valido sulla sua credibilità: per ragioni di tempo e di risorse, negli ultimi due anni non abbiamo analizzato tutte le dichiarazioni verificabili pronunciate dalla presidente del Consiglio.

Fatta questa precisazione, le 402 dichiarazioni verificate permettono comunque di individuare alcune tendenze. Nei primi due anni di governo, il tema di cui Meloni ha parlato di più è l’“Economia”: questo tema riguarda infatti il 40 per cento di tutte le dichiarazioni della leader di Fratelli d’Italia che abbiamo verificato.

Altri temi di cui ha parlato spesso la presidente del Consiglio nei suoi discorsi sono il “Lavoro”, l’“Unione europea e il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)” e l’“Immigrazione”. Quest’ultimo è anche il tema su cui Meloni ha commesso più errori: il 58 per cento delle dichiarazioni verificate a tema “Immigrazione” è risultato poco o per nulla attendibile.

Al contrario Meloni è stata più precisa quando ha parlato di “Lavoro”, con il 60 per cento circa delle dichiarazioni su questo tema risultate attendibili.

Con la popolazione che invecchia la 104 non basta più (lavoce.info)

di  e 

Cresce la quota di lavoratori che usufruisce 
dei permessi retribuiti garantiti dalla legge 104. 

Li richiedono in prevalenza le donne. Mentre le differenze territoriali non seguono il tradizionale divario Nord-Sud. Per l’assistenza servono più strumenti.

Aumentano le richieste di permessi retribuiti per l’assistenza

Che l’Italia stia diventando sempre più un paese di vecchi ce lo dicono i dati, compresi quelli sull’uso dei permessi a favore di chi ha familiari in condizione di disabilità, disciplinati dalla legge n. 104 del 1992. La normativa prevede diverse forme di sostegno per i lavoratori, tra cui tre giorni di permessi al mese per chi assiste genitori o parenti con disabilità grave, pienamente retribuiti e fruibili sia in modalità oraria che giornaliera.

Analizzando i dati sulle richieste di permessi retribuiti, suddivise per genere e settore, emerge un trend fortemente crescente: la percentuale di lavoratori che ne usufruisce nel settore privato extra-agricolo è passata dallo 0,26 per cento nel 2005 al 2,3 per cento nel 2022 (figura 1).

L’aumento può essere attribuito a diverse cause, tra cui l’invecchiamento della popolazione e il peggioramento delle condizioni di salute in età avanzata. Infatti, con l’allungarsi della vita, cresce anche la probabilità di dover assistere genitori o familiari non autosufficienti. Secondo i dati Istat del 2021, il 28,4 per cento degli over 65 soffre di gravi limitazioni motorie, sensoriali o cognitive e il 10,6 per cento riferisce difficoltà significative nelle attività quotidiane.

Queste limitazioni aumentano con l’età: se solo l’1,6 per cento delle persone sotto i 44 anni denuncia gravi difficoltà nelle attività quotidiane, la percentuale sale al 3,7 per cento per la fascia 45-64 anni, al 7,1 per cento per i 65-74 anni e raggiunge il 20 per cento tra gli over 74 (Istat, 2023).

Le richieste arrivano più dalle donne che dagli uomini

Dalla figura 1 è evidente che l’incidenza nell’utilizzo dei permessi è maggiore tra le lavoratrici e il gap tra l’incidenza del ricorso alla misura tra lavoratrici e lavoratori tende ad ampliarsi nel corso del tempo. Se nel 2005 il divario era di soli 0,06 punti percentuali, nel 2022 raggiunge quasi 0,7 punti percentuali, suggerendo che all’incremento nella domanda di lavoro di cura sono chiamate a rispondere in misura maggiore le donne rispetto agli uomini.

Figura 1

(Nota: la figura riporta, per ogni anno, il rapporto tra lavoratori che hanno usato i permessi e riposi giornalieri a favore di familiari (genitori e/o parenti) con disabilità grave rispetto al numero totale di lavoratori occupati nel settore privato extra-agricolo. Fonte dati: Archivi Uniemens Inps)

Le differenze territoriali

Le nostre analisi evidenziano notevoli differenze territoriali, a conferma della grande diversità che caratterizza l’Italia sia sotto il profilo socio-demografico che di offerta di servizi per gli anziani e disabili, e che si riflette anche nelle esigenze di assistenza.

I dati mostrano variazioni significative nell’utilizzo dei permessi della legge 104, con una distribuzione territoriale che, come indicato nella mappa sottostante, presenta differenze rilevanti, ma non ricalca il tradizionale divario Nord-Sud.

L’incidenza maggiore si riscontra in alcune province del Centro e del Nord. Al primo posto c’è Perugia con una percentuale del 4,44 per cento, seguita da Roma e Terni rispettivamente con il 3,73 e il 3,55 per cento, mentre la provincia con l’incidenza più bassa risulta Bolzano con un valore dello 0,69 per cento, seguita da Agrigento e Prato (rispettivamente 0,74 per cento e 0,85 per cento).

I fattori che spiegano la variabilità territoriale possono essere legati alle caratteristiche delle imprese e del mercato del lavoro locale (i lavoratori potrebbero avere una maggiore propensione a utilizzare i benefici previsti dalla 104 quando hanno contratti a tempo indeterminato e quando sono occupati in imprese di più grande dimensione) e anche alle condizioni locali in termini di presenza di reti di aiuto intergenerazionale da parte di familiari non occupati o di disponibilità di altre forme di assistenza.

Figura 2

(Nota: la mappa riporta a livello provinciale il rapporto tra lavoratori che hanno usato riposi giornalieri a favore di familiari (genitori e/o parenti) con disabilità grave rispetto al numero totale di lavoratori occupati nel settore privato extra-agricolo.
Fonte dati: Archivi Uniemens Inps)

L’assistenza alle persone non autosufficienti

Questi dati evidenziano chiaramente come l’attuale struttura demografica dell’Italia stia generando una crescente domanda di assistenza per le persone non autosufficienti. Mostrano, inoltre, come la domanda e i corrispondenti strumenti di risposta possano avere differenziazioni territoriali piuttosto marcate.

Ad esempio, nei comuni delle aree interne (quelle che soffrono maggiormente dello spopolamento) si registrano alte percentuali di popolazione ultraottantenne e un accesso più difficile ai servizi di assistenza. Inoltre, come evidenziato da diverse ricerche (si veda qui), l’offerta dei servizi pubblici è spesso frammentata e disomogenea, con servizi di assistenza domiciliare che risultano limitati non solo nel numero di persone bisognose che riescono a raggiungere, ma anche in termini di intensità e qualità del sostegno effettivamente fornito.

Uno scenario così complesso richiede risposte adeguate da parte delle istituzioni e della società civile, che devono affrontare sfide sempre più pressanti legate alla cura dei familiari anziani e disabili. Strumenti come la 104, pur restando cruciali, difficilmente saranno sufficienti, considerando che nel corso del tempo la dimensione delle famiglie si è ridotta e con essa la platea di coloro che possono richiederli.

È fondamentale avviare una pianificazione territoriale che permetta di dotare ciascuna comunità delle reti di supporto necessarie per rispondere alle esigenze di assistenza, specialmente in aree con alta concentrazione di popolazione anziana.

Le differenze territoriali e di genere, inoltre, sottolineano limportanza di politiche che tengano conto anche del carico di cura sproporzionato che grava sulle donne. Bisognerà ottimizzare l’efficienza dei servizi pubblici esistenti, riducendo frammentazioni e disomogeneità e garantendo una gestione coordinata tra diverse amministrazioni e istituzioni locali.

Tuttavia, migliorare i servizi richiederà inevitabilmente anche un aumento delle risorse, una sfida considerevole vista la limitata capacità di spesa pubblica. Si potrebbe pensare allintegrazione di capitali privati e alla creazione di sistemi assicurativi misti per la long-term care, ma anche in questo caso, data la forte pressione fiscale che grava sui lavoratori italiani, non sarà facile trovare soluzioni sostenibili che non acuiscano ulteriormente il carico fiscale.

Le opinioni qui espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

Questo articolo viene pubblicato in contemporanea su Menabò di Etica ed Economia.

Il distretto sanitario dell’Idaho e i vaccini (butac.it)

di 

Su molti canali legati ai movimenti populisti e complottisti nei giorni scorsi è apparsa questa notizia, qui ripresa dai post pubblicati dal canale Telegram

Dentro la notizia:

MEGA SCOOP! Il distretto sanitario dell’Idaho sudoccidentale decide di fermare la somministrazione dei “vaccini” COVID-19! Il dott. David Wiseman (presente al dibattito assieme al dott. Peter McCullogh) afferma: “Momento storico”!

Quanto riportato è un classico caso di “non” notizia condivisa col titolone urlato MEGA SCOOP per dare a intendere diversamente. Abbiamo pensato di fare cosa utile nello spiegare i fatti meglio di quanto non facciano i tanti diffusori di disinformazione che affollano il web italiano. Siamo infatti di fronte a un classico caso di interpretazione fuorviante dei fatti.

Intanto partiamo col dire che il distretto sanitario dell’Idaho sudoccidentale è una zona che comprende circa 300mila abitanti, poco meno dell’1%permille della popolazione degli Stati Uniti d’America. È vero che il distretto sanitario ha deciso di interrompere l’offerta dei vaccini (anche se la votazione è decisamente stretta, su sette votanti tre volevano mantenere la somministrazione e quattro no – e curiosamente tra i tre a favore del mantenimento appare anche l’unico votante titolato a parlare della materia, cioè un medico).

Il voto è arrivato dopo un dibattito pubblico dove sono stati chiamati a testimoniare soggetti come appunto il cardiologo Peter McCulloughsoggetti che chiunque mastichi di disinformazione scientifica durante la pandemia ha imparato a riconoscere subito come disinformatori seriali.

Ma la notizia è fuorviante soprattutto perché non spiega che non è stata vietata o sconsigliata la vaccinazione, ma solo che nelle cliniche dell’Idaho sudoccidentale non verrà più offerta ai pazienti che la richiedano, i quali però potranno continuare ad acquistare il vaccino nelle tante farmacie locali o presso fornitori facilmente reperibili, compresi quelli della grande distribuzione, come ad esempio Walmart.

La decisione presa dal distretto sanitario dimostra come le pressioni di un piccolo gruppo con forti opinioni antiscientifiche possano influenzare una popolazione preoccupata portando alla modifica delle politiche sanitarie di un intero distretto. Per questo è profondamente sbagliato che di politiche sanitarie si occupino amministratori comunali e non medici e scienziati.

Qui potete leggere un ottimo articolo, pubblicato su Idaho Statesman, che spiega i fatti al meglio.

Perché Didier Raoult è stato sospeso dalla professione medica per due anni (open.online)

di Juanne Pili

FACT-CHECKING

Dopo la prima inchiesta e le accuse di aver “gonfiato” la produzione di studi, il guru dell’idrossiclorochina resta sospeso per due anni

Si aggrava la situazione del medico francese Didier Raoult, dopo una prima inchiesta in cui lo si accusava di aver messo in pericolo la salute dei pazienti positivi alla Covid-19, per usarli nei suoi esperimenti sull’idrossiclorochina, nonostante il farmaco si fosse già rivelato inefficace contro il nuovo Coronavirus. Forse anche per queste ragioni Raoult è presto diventato uno dei punti di riferimento della sfera No vax e dei movimenti delle cosiddette «cure alternative».

Così, Il 3 ottobre scorso una nuova sentenza d’Appello della Camera disciplinare nazionale francese, aggrava la situazione del medico. La sospensione di Raoult dalla professione medica si estende così a due anni, con decorrenza dal 1° febbraio. Il provvedimento è in linea con la decisione del consiglio nazionale dell’Ordine dei Medici.

La sanzione, più severa rispetto al primo grado, è stata emessa in risposta alla promozione infondata dell’idrossiclorochina come trattamento contro la Covid-19, secondo quanto riportato da Le Parisien citando a sua volta AFP.

I controversi studi del “guru” dell’idrossiclorochina

Vengono quindi confermate le accuse a carico del guru dell’idrossiclorochina, in merito alla violazione di diversi articoli del Codice di salute pubblica, promuovendo un trattamento senza supporto scientifico. Già nel dicembre 2021, Raoult era stato oggetto di una semplice ammonizione da parte della Camera disciplinare nazionale francese.

Sanzione che l’Ordine dei Medici aveva considerato troppo indulgente, decidendo così di presentare ricorso. In Appello si è così stabilito, che il professor Raoult non ha basato le sue posizioni pubbliche su dati confermati, non ha esercitato la dovuta cautela e ha promosso un trattamento con prove insufficienti.

Tuttavia, come nel giudizio di primo grado, la Camera ha rilevato che Raoult non ha sottoposto i suoi pazienti ad un «rischio ingiustificato», in parte perché le dosi prescritte di idrossiclorochina rispettavano quelle raccomandate, inoltre aveva escluso consapevolmente i pazienti con fattori di rischio elevati.

Secondo un comunicato stampa del settembre 2022 dell’Istituto Ospedaliero Universitario (IHU) di Marsiglia, si sarebbe trattato di «non conformi alle normative e possono generare un rischio per la salute dei pazienti, in particolare durante i protocolli di ricerca […] eccessi nelle pratiche di gestione, che possono generare molestie e disagio sul lavoro […] eccessi nella governance, che non rispetta rigorosamente le regole che disciplinano le fondazioni di cooperazione scientifica».

Una carriera sovradimensionata?

Come riportato in una precedente analisi di Enrico Bucci, adjunct professor alla Temple University e specialista nella revisione di studi scientifici, l’attività accademica di Didier Raoult, noto per la sua promozione dell’idrossiclorochina, appare estremamente sovradimensionata. Raoult risulta coautore di oltre 2.300 pubblicazioni, ottenendo un H-Index molto elevato, che però potrebbe essere fuorviante.

Facendo un rapido calcolo, tra il 1995 e il 2020, avrebbe firmato 1.836 articoli, con una media di uno ogni tre o quattro giorni lavorativi. Stando a quanto riportato dal New York Times, questo ritmo prolifico di pubblicazione è dovuto al fatto che Raoult tendeva a includere il proprio nome in quasi tutte le ricerche prodotte dall’istituto da lui diretto.

Non si è trattato certo dell’unico esperto a scovare irregolarità nelle pubblicazioni co-firmate da Raoult.