La paura della vittoria ucraina e il pavido cinismo dell’Occidente (linkiesta.it)

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Il mondo libero

Respingere l’invasione russa non è solo una questione di sopravvivenza nazionale, ma una battaglia simbolica che riguarda tutti i Paesi democratici.

Aiutare Kyjiv significa dimostrare che la libertà e la giustizia possono ancora prevalere sulle autocrazie

La guerra è un inferno. Una guerra criminale di aggressione è ancora peggiore. Sono passati dieci anni da quando la Russia ha invaso l’Ucraina per privarla della sua sovranità, sottomettere il suo popolo e cancellarne la cultura. Sono trascorsi mille giorni dal 24 febbraio 2022, quando Mosca ha abbandonato ogni pretesa, trasformando le sue ambizioni imperiali in un attacco aperto a una nazione libera.

La posta in gioco non potrebbe essere più alta. In gioco c’è la sopravvivenza dell’Ucraina, ma anche i principi che sostengono il mondo libero: sovranità, libertà e la convinzione che l’aggressione non debba rimanere impunita.

Eppure, non abbiamo ancora trovato il coraggio di dire le cose come stanno. Abbiamo guardato a questa guerra attraverso il prisma della gestione del rischio e della riduzione delle perdite: come evitare l’escalation, come gestire le conseguenze. Ma questo approccio è profondamente sbagliato. La lotta dell’Ucraina non riguarda ciò che il mondo libero potrebbe perdere, ma ciò che dobbiamo difendere per far prevalere di nuovo la libertà.

Si tratta di vincere una battaglia giusta, di non cedere al ricatto, di non arretrare di fronte a un avversario depravato che rapisce bambini, bombarda deliberatamente ospedali oncologici, colpisce città pacifiche con razzi e sovverte la libertà di parola. Una vittoria decisiva dell’Ucraina non è solo possibile; è essenziale.

È un’opportunità per riaffermare che libertà, coraggio e chiarezza morale non sono reliquie del passato, ma ideali urgenti e necessari per il nostro tempo.

Sfatare i falsi paragoni

Alcuni hanno paragonato l’invasione russa dell’Ucraina alle guerre americane in Iraq o in Afghanistan. Questi confronti sono pericolosamente fuorvianti. La guerra in Iraq era un intervento discrezionale; la lotta dell’Ucraina è una lotta per la sopravvivenza di fronte a un’aggressione sfacciata e a crimini di guerra atroci. Tentare di equiparare questi conflitti non solo oscura la chiarezza morale della causa ucraina, ma serve anche come scusa per l’inazione e la giustificazione dell’apatia.

Questa non è una “guerra per procura” orchestrata dall’Occidente, come vorrebbe farci credere la macchina di propaganda di Mosca. Gli obiettivi dell’Ucraina—proteggere i propri bambini da massacri insensati, ripristinare la sovranità, garantire la sopravvivenza della nazione—sono definiti a Kyjiv, non a Washington.

Credere alla propaganda del Cremlino significa negare l’autonomia dell’Ucraina e sacrificare una verità evidente: gli ucraini combattono perché arrendersi non è un’opzione praticabile; arrendersi significherebbe cancellare la loro identità e il loro futuro.

La nostra paura della vittoria

Un altro ostacolo all’azione decisiva risiede nel disagio postmoderno del mondo libero con il giudizio morale. Oggi, la chiarezza etica viene spesso liquidata come ingenuità, se non ignoranza. Questo ha generato una pericolosa mancanza di volontà di affrontare la realtà, una riluttanza ad accettare che il bene può e deve prevalere sul male.

Come ha osservato lo storico Timothy Snyder, «in un mondo di relativismo e codardia, la libertà è l’assoluto tra gli assoluti, il valore dei valori». Eppure, la paura stessa della vittoria ci ha paralizzati, rendendoci incapaci di agire con fermezza e lucidità a difesa delle nostre convinzioni più care.

Mal interpretare le vere intenzioni della Russia

Per sapere come reagire, dobbiamo innanzitutto capire cosa guida l’aggressione russa. Questo non è un conflitto nato da interessi nazionali legittimi o percepiti, ma da una disperazione imperiale. Lo Stato russo è un mostro di Frankenstein dell’espansione coloniale, tenuto insieme da oppressione e paura.

L’aggressione di Mosca deriva da una mentalità imperiale profondamente radicata, che vede la sottomissione degli altri come essenziale per la propria sopravvivenza. Finché non riconosceremo questo, continueremo a fraintendere sia la natura dell’aggressione russa sia la posta in gioco della resistenza ucraina.

Un momento di chiarezza morale

Il piano di vittoria del presidente ucraino Volodymyr Zelensky offre benefici pratici agli alleati dell’Ucraina: minerali critici per l’indipendenza energetica, un esercito capace di salvaguardare la sicurezza europea e un deterrente per future aggressioni. Sebbene questi benefici strategici siano significativi, sono secondari rispetto al potere simbolico della lotta ucraina: un potente promemoria di come le nostre stesse nazioni siano state forgiate in lotte per la libertà contro la tirannia.

Successo e vittoria non sono parole sporche. Anzi, hanno definito l’età d’oro americana dopo la Seconda guerra mondiale. Il mondo libero ha affrontato il fascismo, contrastato le ambizioni imperiali di belligeranti revanscisti e sconfitto una minaccia mortale alla libertà. Il risultato non è stato solo la pace, ma anche prosperità, progresso e scopo.

La lotta dell’Ucraina è un rifiuto del cinismo e dell’idea che le società libere non rappresentino nulla. Ricordiamoci ciò che un tempo sapevamo: la libertà è fragile e deve essere difesa. Il coraggio del popolo ucraino è un dono, ma alcuni lo vedono come un affronto.

Sfida gli americani, gli europei e gli alleati di tutto il mondo a chiedersi cosa siamo disposti a rischiare e se la libertà è ancora una forza che vale il sacrificio. La scelta davanti a noi è netta: esitare e vacillare, o aiutare l’Ucraina a vincere. Difendere la libertà. Scacciare gli invasori. Dimostrare che gli ideali del mondo libero contano ancora.

Andrew Chakhoyan è direttore accademico presso l’Università di Amsterdam, ha lavorato in precedenza per il governo degli Stati Uniti ed è contributo de Linkiesta.

Articolo originariamente pubblicato su Newsweek

Il ministro Valditara ha offeso la memoria di Giulia Cecchettin (wired.it)

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L'intervento durante la presentazione della 
fondazione dedicata alla memoria della ragazza 
uccisa da Filippo Turetta: 

dal patriarcato come ‘ideologia’ al legame tra violenza sessuale e immigrazione

Lunedì mattina alla Camera dei Deputati è stata presentata la fondazione dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin, la giovane donna vittima di femminicidio per mano del suo ex fidanzato, il reo confesso Filippo Turetta. Già all’indomani della sua scomparsa, la famiglia di Giulia si è impegnata in maniera concreta affinché il tragico femminicidio della giovane diventasse un’occasione di riflessione e condanna unanime nei confronti della violenza maschile contro le donne.

A un anno dalla scomparsa di Giulia, suo padre Gino ha presentato la fondazione a lei dedicata alla presenza di giornalisti, giornaliste e autorità. Prima che Gino Cecchettin prendesse la parola, sono intervenuti due rappresentati del governo guidato da Giorgia Meloni: la ministra per le pari opportunità Eugenia Roccella e il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara.

L’intervento di Roccella è stato misurato nei modi e nei toni. La ministra ha sottolineato le radici antiche della violenza contro le donne e, a riprova di quanto affermato, ha sottolineato che il fenomeno è radicato anche nei paesi considerati evoluti come la Finlandia.

Nel rivendicare le azioni messe in pratica dal governo (“il primo guidato da una donna” ha ribadito), Roccella ha posto l’attenzione soprattutto sulle misure come il codice rosso e la pubblicazione del “Il libro bianco” che aiuterà degli operatori e le operatrici del settore.

Nelle parole di Roccella ha prevalso l’aspetto securitario, in contrasto proprio agli obiettivi formativi e di sensibilizzazione che si pone la Fondazione Giulia Cecchettin. Piccolo particolare: riferendosi al 25 novembre, la ministra Roccella ha parlato genericamente di “giornata contro la violenza” e non di “giornata internazionale per il contrasto della violenza maschile contro le donne”, come sarebbe corretto fare.

Patriarcato e immigrazione, cosa ha detto il ministro Valditara

La parola è poi passata al ministro Valditara che, non potendo essere presente, ha mandato un video-intervento. Valditara ha esordito con alcuni luoghi comuni sul tema per poi entrare nel cuore della questione secondo lui. “Esistono due strade – ha detto il ministro – una concreta e l’altra ideologica”, per Valditara questa seconda strada non risolverebbe il problema della violenza contro le donne e quindi non andrebbe battuta.

A cosa si riferisce Valditara? Alla lotta contro il patriarcato. “Massimo Cacciari indubbiamente esagera quando dice che il patriarcato è morto duecento anni fa. Il patriarcato come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975”. Eppure fu proprio la sorella di Giulia, Elena Cecchettin, a puntare il dito contro il sessismo strutturale e quindi contro il patriarcato.

Lo fece con un’intervista al programma Dritto e rovescio su Rete 4 ma anche con una dura lettera al Corriere della Sera in cui scriveva: “Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro”.

Ma Valditara non si è fermato qui.

Nel suo discorso ha anche accostato il tema della violenza di genere con la questione migratoria affermando che “occorre smettere di non non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da un’immigrazione illegale”. Secondo i dati aggiornati al 2022 riportati da D.i.Re, la rete dei centri antiviolenza presente in tutto il territorio nazionale, gli autori delle violenze sono prevalentemente italiani (solo il 26% ha provenienza straniera): “questo dato – dice il rapporto – mette in discussione lo stereotipo diffuso che vede il fenomeno della violenza maschile sulle donne ridotto a retaggio di universi culturali situati nell’altrove e nei paesi extracomunitari”.

Sempre secondo questo rapporto “nel 74,2% dei casi (80,5% nel 2022, 79,8% nel 2021) la violenza viene esercitata da un uomo in relazione affettiva con la donna. Se a questo dato si aggiunge la percentuale dei casi in cui l’autore è un familiare si arriva a oltre l’84%. Tali dati presentano un andamento simile a quello risultante dall’indagine ISTAT del 2022: partner, ex partner e familiare/parente rappresentano il 90% circa”.

Infine, Valditara ha annunciato che il tema della violenza di genere verrà trattato all’interno delle ore di educazione civica. Non sono previsti moduli specifici o corsi di formazione per insegnanti, anzi, le ore sottratte all’insegnamento dell’educazione civica saranno improntate a parlare di un generico rispetto della persona e di contrasto a tutte le discriminazioni.

Tradotto: verranno tolte ore all’educazione civica senza un vero e proprio obiettivo specifico. Nessun modulo sull’educazione affettiva, nessun modulo sull’educazione sessuale (il numero di contagi per malattie sessualmente trasmissibili sta crescendo soprattutto tra gli e le adolescenti eterosessuali), nessun piano straordinario di contrasto alla violenza maschile contro le donne. Del resto il patriarcato è morto, lo dice persino Cacciari!

Da più di un anno ormai, Gino Cecchettin ha impiegato tutto il suo immenso dolore affinché nessun altra donna debba morire per mano maschile, nessun altra famiglia debba piangere vittime innocenti. In questi anni il numero dei reati in generale e degli omicidi in particolare è calato, solo il numero dei femminicidi è rimasto stabile quando non è aumentato.

Per questo e per i dati riportati dai centri antiviolenza, possiamo affermare che con le sue parole, il ministro Valditara non ha solo offeso la memoria di Giulia Cecchettin, ma anche tutte le donne che in varie forme hanno subito o stanno subendo violenza per mano maschile.

Giulia Cecchettin, Valditara: “Lotta al patriarcato è ideologia. Più abusi con immigrati illegali” (repubblica.it)

Presentata alla Camera la Fondazione dedicata 
alla ragazza uccisa dall’ex fidanzato. 

Il papà di Giulia: “Su alcuni temi dovremo confrontarci”. Il Pd: “Vergognoso, è razzismo”. Roccella: “Nessuna legge salva dai femminicidi”

“È un’emozione incredibile perché, a distanza di un anno dalla notizia che era mancata la mia Giulia, facciamo nascere qualcosa”. Sono state le parole di Gino Cecchettin, una volta arrivato alla Camera dei Deputati per la presentazione della Fondazione dedicata a sua figlia, nata per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere.

La Fondazione – ha spiegato a metà mattina – si occuperà di “progetti di educazione all’affettività e all’amore, che erano insiti nella vita di Giulia”. Poco dopo, con ben altri toni, il papà della 22enne uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta ha dovuto rispondere al ministro Giuseppe Valditara.

Valditara: “La lotta al patriarcato è ideologia”

Alla presentazione della Fondazione è intervenuto infatti anche il titolare dell’Istruzione e del Merito che, attraverso un videomessaggio, ha suscitato subito polemiche: “La possibilità libera e non discriminata di avere varie opportunità di realizzazione personale e professionale – ha detto – è un obiettivo fondamentale di chi crede nei valori della dignità di ogni persona. E per perseguirlo abbiamo di fronte due strade: una è concreta e ispirata ai valori costituzionali, l’altra è la cultura ideologica. In genere i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi, ma ad affermare una personale visione del mondo. E la visione ideologica – l’attacco che ha scatenato l’indignazione di chi si batte per la parità di genere – è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato”.

Lotta al patriarcato che, ancor prima del femminicidio della 22enne, era uno dei punti cardine dell’impegno di Elena Cecchettin, sorella di Giulia. E le parole del ministro dell’Istruzione hanno generato la risposta immediata di Gino Cecchettin: “Diciamo che ci sono dei valori condivisi e altri sui quali dovremo confrontarci, ecco”.

Fondazione Giulia Cecchettin, il padre Gino: “Diamo voce e sostegno a chi vive nella paura”

Netta anche la risposta di Elena Cecchettin che con un post su Instagram risponde al ministro: “Oltre al depliant proposto, cosa ha fatto il governo in quest’anno? Perché devono essere sempre le famiglie delle vittime a raccogliere le forze e a creare qualcosa di buono per il futuro?”.

Elena Cecchettin commenta il discorso di Valditara
(Elena Cecchettin commenta il discorso di Valditara)

Valditara: “Più abusi con l’immigrazione illegale”

Valditara ha poi collegato l’aumento degli episodi di violenza sessuale con l’immigrazione illegale: “Deve essere chiara a ogni nuovo venuto, a tutti coloro che vogliono vivere con noi, la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso. Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”.

Roccella: “Nessuna legge avrebbe salvato Giulia”

Anche Eugenia Roccella, ministro per le Pari opportunità e la Famiglia, è intervenuta nel corso dell’evento che si è tenuto alla Camera: “Parlare della violenza contro le donne, non rassegnarsi e non rubricare la vasta casistica sotto una fatalità, è importantissimo. Dicendo che la violenza sulle donne è una piaga, noi alludiamo anche alla ferita nel tessuto sociale. La violenza affonda le sue radici nella storica asimmetria di potere fra uomini e donne e potremmo aspettarci che le battaglie condotte e vinte dalle donne, il grande cammino di libertà che abbiamo compiuto negli ultimi decenni abbia prodotto una riduzione del fenomeno. Nonostante il cammino fatto la percentuale di femminicidi è alta in tutta Europa. C’è qualcosa di radicato che non riusciamo a combattere. Le leggi sono uno strumento essenziale ma non sono sufficienti a difendere le donne – ammette Roccella – è necessario intervenire su diversi fronti, e per questo serve confronto serio, che parte da idee condivise. Temo che nessuna legge avrebbe potuto salvare Giulia Cecchettin, né altre donne che non sospettavano la violenza che covava nel cuore dell’uomo che sosteneva di amarla e che appariva al mondo come un ‘bravo ragazzo’”.

Giulia Cecchettin, Federica Pellegrini: “La voce delle donne non si fermerà e sarà sempre più potente”

Il Pd: “Valditara vergognoso, è razzismo”

Il Pd si è scagliato contro il ministro dell’Istruzione: “Le parole di Valditara sono indecenti. Strumentalizzare una tragedia – anzi l’assassinio di una ragazza per mano di un uomo che la riteneva ‘sua’ – per i propri fini ideologici, supera la soglia di ogni decenza. Oggi Valditara ha detto parole indegne di un ministro, per giunta dell’Istruzione. Mi vergogno come uomo e come rappresentante delle istituzioni”, ha dettoil senatore dem Marco Meloni. La senatrice Sandra Zampa ha aggiunto che “Valditara è persino offensivo nei confronti di Giulia, vittima di un suo conterraneo, uno studente veneto. Accusare i migranti irregolari in relazione allo spaventoso numero di femminicidi in Italia copre di vergogna un esponente delle istituzioni smentito tra l’altro nelle sue insultanti parole dai dati raccolti dalla Commissione parlamentare femminicidi. Il suo intervento è carico di razzismo perché non è sostenuto da alcuna evidenza. Nel codice penale esiste l’articolo 604 relativo a discriminazione razziale che punisce il reato con il carcere e penso sia necessario approfondire anche questo aspetto della gravissima esternazione del ministro. L’odio si costruisce così. A nessuno deve essere possibile farlo tanto meno se è un importante esponente istituzionale”.

Anche la rete degli Studenti medi si rivolta contro il ministro: “Parole sbagliate, oltre che gravi – afferma Camilla Velotta – Non accettiamo lezioni sulla violenza di genere da un ministro che ha fatto ben poco per occuparsi del tema quando gli è stato richiesto, e che è incapace di riconoscere il carattere strutturale e sistemico di questo problema, che ha radici proprio nella cultura patriarcale, che lui definisce ideologica. L’unico modo in cui la smantelliamo è con l’educazione sessuale, affettiva e al consenso in tutte le scuole: abbiamo lanciato proprio in questi giorni una petizione per chiederne l’introduzione, già firmata da molti rappresentanti d’istituto e di consulta”.

E aggiunge la rete Educare alle differenze: “Quest’anno il ministro sceglie di continuare a parlare di violenza di genere nel modo peggiore possibile: sceglie di parlare di violenza sfruttando il femminicidio di una ragazza da parte dell’ex compagno per cavalcare la propaganda contro le persone migranti che questo governo continua a perpetrare, tirando fuori dall’armadio, di fronte a violenti, stupratori e assassini che hanno molto spesso le chiavi di casa, lo stereotipo dello “stupratore nero”, che affonda le proprie radici direttamente negli Stati Uniti dello schiavismo e della segregazione razziale”.

Gino Cecchettin: “Qualcosa si sta muovendo”

Tornando alla Fondazione, alla domanda se, a suo parere, fosse cambiato qualcosa a livello culturale a un anno di distanza dal femminicidio di Giulia, Gino Cecchettin ha sottolineato che “noi ci stiamo lavorando e penso che se siamo qui così tanti qualcosa si stia muovendo”.

I pilastri dell’azione della fondazione saranno “l’educazione all’affettività, quindi formazione, e lavorare di concerto con le altre associazioni e le altre fondazioni. Noi vorremmo essere inclusivi e poi aiutare le ragazze nel loro percorso di studi dopo la tragedia immane che ci ha colpiti”.

L'ex campionessa di nuoto Federica Pellegrini, impegnata nella lotta alla violenza di genere insieme alla Fondazione Giulia Cecchettin
(L’ex campionessa di nuoto Federica Pellegrini, impegnata nella lotta alla violenza di genere insieme alla Fondazione Giulia Cecchettin (agf)

Il 25 novembre Giornata contro la violenza sulle donne

“Caro Gino, desidero far sentire la mia personale vicinanza a te esprimendo il mio personale apprezzamento e incoraggio l’impegno della Fondazione Cecchettin per evitare che certi episodi non succedano mai più”, il messaggio del presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi.

“L’idea di Gino di presentare la fondazione alla Camera mi ha molto sorpreso e commosso. Non aspettavamo altro, questa giornata è l’inizio di una settimana che ci porterà al 25 novembre, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Lo facciamo nel nome di Giulia, guardando avanti, guardando la necessità di formare e parlare, confrontarsi soprattutto con i giovani per un’educazione affettiva che evidentemente oggi è carente”, ha detto il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè.

Mulè: “Legislazione migliorabile”

Mulè si è poi soffermato sulle misure di contrasto agli abusi sessuali: “Se si può migliorare la legislazione sui femminicidi? Si può fare sempre meglio, e si può fare meglio con l’impegno non solo dei parlamentari, ma di tutti coloro che hanno un ruolo nelle istituzioni. Non c’è differenza tra partito e ideologia, c’è un interesse comune che è quello di un approccio nuovo e diverso all’affettività, al modo di comportarsi e di avere rispetto, soprattutto delle donne”.

Gino Cecchettin alla Camera per presentare la fondazione dedicata a Giulia
(Gino Cecchettin alla Camera per presentare la fondazione dedicata a Giulia (agf)

Elena Cecchettin: “Un anno di dolore e lacrime”

Elena Cecchettin ha espresso il proprio dolore attraverso una storia su Instagram: “È stato un anno difficile, di dolore, di ricordi, di lacrime. Ma soprattutto di lotta. Lotta per lei, che non c’è più. Un anno fa – ha scritto – ero con una volontaria dell’associazione Penelope, che tentavo di fare colazione. Erano 6 giorni che non riuscivo a mangiare. Riceve una chiamata, mi dice ‘Elena, torniamo a casa da’. ‘L’hanno trovata?’ ‘Sì’. Un anno fa ho ricevuto la conferma che Giulia non sarebbe più tornata a casa”.

La storia Instagram di Elena Cecchettin
(La storia Instagram di Elena Cecchettin )