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Roccella non la racconta giusta sulle adozioni dei single (pagellapolitica.it)

di Vitalba Azzollini

Diritti
Secondo la ministra, la scelta «migliore» resta l’adozione da parte di una coppia, e ciò troverebbe sostegno nella recente sentenza della Corte Costituzionale. Ma le cose non stanno proprio così

Con una sentenza depositata il 21 marzo, la Corte Costituzionale ha stabilito che anche le persone singole (i single) possono adottare minori stranieri in stato di abbandono. Commentando la sentenza, la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella ha dichiarato che «nell’interesse del minore l’opzione migliore è, e resta, l’adozione in un contesto familiare con mamma e papà».

A sostegno della sua posizione, Roccella ha aggiunto: «È la stessa sentenza della Corte che ribadisce la legittimità di “una indicazione di preferenza” per le adozioni da parte dei coniugi».

Ma è davvero così? Vediamo perché le parole della ministra non riflettono fedelmente quanto affermato dalla Corte Costituzionale.

Che cosa ha stabilito la Corte

La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, che contiene le regole per l’adozione di minori stranieri. In base a questo articolo, le persone residenti in Italia che vogliono adottare un minore straniero, residente all’estero, devono presentare una dichiarazione al Tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza.

L’articolo specifica che, per presentare la richiesta di adozione, bisogna soddisfare i requisiti previsti dall’articolo 6 della stessa legge, in base al quale l’adozione è consentita solo ai coniugi.

Secondo la Corte Costituzionale, l’articolo 29-bis è incostituzionale nella parte in cui, rinviando all’articolo 6, «non include le persone singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità a adottare un minore straniero residente all’estero».

I giudici hanno stabilito che l’esclusione dei single dall’adozione dei minori stranieri contrasta con gli articoli 2 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che tutela il rispetto alla vita privata e familiare. Vediamo che cosa prevedono questi tre articoli.

In base all’articolo 2 della Costituzione, la Repubblica italiana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». In base all’articolo 117, «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». L’articolo 8 della CEDU, invece, stabilisce che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza».

Questi tre articoli, letti insieme, impongono al legislatore di rispettare non solo i diritti riconosciuti a livello nazionale, ma anche quelli sanciti dalle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia.

Come ha spiegato la Corte Costituzionale, l’articolo 2 della Costituzionale tutela, quale diritto fondamentale della persona, la «libertà di autodeterminarsi nella vita privata». E secondo i giudici, l’espressione di tale libertà è anche la scelta di diventare genitori.

Secondo la Corte europea dei diritti dell’Uomo, già citata dalla Corte Costituzionale in una sentenza del 2019, il concetto di «vita privata», a cui fa riferimento l’articolo 8 della CEDU, comprende «il diritto all’autodeterminazione e, dunque, anche il diritto al rispetto della decisione di diventare genitore e su come diventarlo (in modo naturale, tramite fecondazione assistita, mediante procedura di adozione, ecc.)».

Ecco spiegato perché la nuova sentenza della Corte Costituzionale cita sia la Costituzione sia la CEDU.

Non basta essere single

Secondo la Corte Costituzionale, «in astratto» i single sono idonei ad assicurare «un ambiente stabile e armonioso» a un minore in stato di abbandono. La loro capacità di garantire «il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno» va comunque accertata in concreto dal giudice, anche in considerazione della rete familiare di supporto.

Dunque, non si può parlare di una pretesa o di un «diritto alla genitorialità», ma «il miglior interesse del minore è direttamente preservato dalla verifica giudiziale concernente la concreta idoneità dell’adottante».

In altre parole, secondo la Corte Costituzionale, non si può dire che una persona abbia automaticamente il diritto di diventare genitore. Quello che conta davvero è il benessere del bambino, e per proteggerlo il giudice deve valutare con attenzione se la persona che vuole adottare è davvero adatta, nella sua situazione concreta, a fare da genitore.

Tra l’altro già oggi, in alcune situazioni specifiche, i single possono adottare un minore: si tratta di ipotesi eccezionali, ma che dimostrano la non totale preclusione della legge rispetto all’idea di una genitorialità adottiva composta da un solo genitore.

L’articolo 25 della legge n. 184 del 1983 consente l’adozione se «uno dei coniugi muore o diviene incapace durante l’affidamento preadottivo». In questo caso, l’adozione – sebbene venga disposta «nei confronti di entrambi [i coniugi], con effetto, per il coniuge deceduto, dalla data della morte» – implica di fatto l’inserimento del minore in un nucleo con un solo genitore.

L’adozione può essere concessa anche a un singolo genitore, che ne faccia richiesta, se «nel corso dell’affidamento preadottivo interviene separazione tra i coniugi affidatari». In più, ai single è consentita la cosiddetta “adozione in casi particolari” (o “adozione speciale”), per esempio di minori affetti da disabilità o di quelli per cui sia risultato impossibile l’affidamento preadottivo.

Nella sentenza, la Corte Costituzionale ha sottolineato che l’adozione è un istituto ispirato a fini di solidarietà sociale, «in quanto rivolge le aspirazioni alla genitorialità a bambini o a ragazzi che già esistono e necessitano di protezione». Il divieto assoluto per i single di adottare – hanno sottolineato i giudici – potrebbe «riflettersi negativamente sulla stessa effettività del diritto del minore a essere accolto in un ambiente familiare stabile e armonioso».

Che questo rischio non sia «un’eventualità puramente teorica» è testimoniato «dalla progressiva riduzione delle domande di adozione che si è avuta a partire dall’inizio del nuovo millennio». Nella sentenza si legge che per le adozioni di minori stranieri si è passati «da quasi settemila domande nel 2007 a una stima di circa cinquecento domande per il 2024».

La Corte non dice che la coppia è migliore

Come ha affermato correttamente Roccella, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che il legislatore possa valorizzare la necessità di assicurare all’adottato «la presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di entrambe le figure dei genitori».

Dunque, i giudici hanno ammesso che, da parte del legislatore stesso, ci possa essere «una indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi», nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. Ma a differenza di quanto ha lasciato intendere la ministra, non è vero che i giudici si sono espressi sulla maggiore adeguatezza di questa opzione rispetto ad altre, anzi.

In primo luogo, la Corte Costituzionale ha precisato che l’indicazione di preferenza per le adozioni da parte dei coniugi «non supporta la scelta di convertire tale modello di famiglia in una aprioristica esclusione delle persone singole dalla platea degli adottanti», come faceva la norma dichiarata incostituzionale. In secondo luogo, porre nei confronti dei single una barriera all’accesso all’adozione internazionale determina un sacrificio irragionevole e sproporzionato all’autodeterminazione orientata alla genitorialità.

Se l’obiettivo dell’adozione internazionale è «accogliere in Italia minori stranieri abbandonati, residenti all’estero, assicurando loro un ambiente stabile e armonioso – hanno sottolineato i giudici – l’insuperabile divieto per le persone singole di accedere a tale adozione non risponde a un’esigenza sociale pressante e configura, nell’attuale contesto giuridico-sociale, una interferenza non necessaria in una società democratica».

Ricapitolando: la Corte Costituzionale non ha stabilito alcuna graduatoria tra aspiranti genitori, pur riconoscendo che un’opzione preferenziale possa essere prevista dalla legge. La Corte ha sottolineato che l’esigenza di individuare, nel miglior interesse del minore, un contesto familiare armonioso e stabile non avviene necessariamente in una famiglia composta da una coppia unita da matrimonio. I giudici hanno evidenziato il rischio di non dare adeguata tutela dei bambini abbandonati, «riconducibile anche alla restrizione della platea dei potenziali adottanti».

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale, oggi una coppia eterosessuale sposata può fare domanda di adozione nazionale o internazionale. Una coppia di persone dello stesso sesso, unita civilmente, non può fare né l’una né l’altra. Un single, invece, può chiedere solo l’adozione internazionale.

Quando il Parlamento riscriverà la norma dichiarata incostituzionale – anche se già oggi il single potrà appellarsi alla sentenza della Corte Costituzionale, a fronte di un diniego all’adozione – probabilmente andrà rivalutata la situazione di disparità esistente alla luce dei princìpi affermati dai giudici costituzionali, considerando lo scostamento tra il mutato contesto sociale e la legge attualmente in vigore.

A differenza dell’Italia in Francia l’establishment esiste (corriere.it)

Risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,

perché ho l’impressione che al di là della levata di scudi contro la condanna di Marine Le Pen proprio questa sentenza potrebbe sortire l’effetto opposto a quello che molti pensano?

Italo Mariani, Parma 

Leggo i commenti sui social, ma dovrei smettere di farlo: il solito vittimismo, teoria del complotto per non mandarla all’Eliseo, inchieste della magistratura pilotate dalla politica. Di tutto e di più.

Marco Ferrari 

Dopo la stangata giudiziaria a Marine Le Pen, il suo partito, guidato da Jordan Bardella, successore naturale della leader, riuscirà a sfruttare l’effetto di vittimizzazione di Rn?

Pietro Mancini

Cari lettori,

era abbastanza ingenuo attendersi che l’establishment francese avrebbe consegnato il Paese, o la Nazione se preferite, a Marine Le Pen. Una presidenza Le Pen significherebbe smontare tutta l’impalcatura europea costruita negli ultimi cinquant’anni, rinunciare al rapporto privilegiato con la Germania che era già un’idea di de Gaulle — i francesi hanno l’atomica e il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, i tedeschi la forza economica —, avvicinarsi pericolosamente a Putin.

Da italiani, cioè un popolo che disprezza lo Stato e la politica, fatichiamo a capire i Paesi dove un establishment esiste. Non a caso l’Italia è l’unico Stato dell’Europa occidentale dove i populisti hanno vinto le elezioni, sia nel 2018 sia nel 2022.

Detto questo, il vento di rivolta contro l’establishment che spazza tutto l’Occidente soffia da tempo anche in Francia. Il Rassemblement National di Marine Le Pen ha lavorato molto — anche se non sempre con efficacia — per frenare le antiche pulsioni xenofobe e antisemite.

Una parte del mondo imprenditoriale è ormai convinta che il Rn sia la nuova destra su cui puntare; in primis Vincent Bolloré, la cui presenza in Italia è stata ridimensionata prima da Mediaset poi dal governo, ma che in Francia è molto influente, anche nell’editoria.

Ora l’establishment francese ha due anni di tempo per trovare, nella sinistra riformista o più facilmente nella destra europeista e repubblicana, se non un nuovo Macron, qualcuno in grado di battere una Le Pen graziata o un Bardella.

La crociata dei sovranisti contro Bruxelles (corriere.it)

di Massimo Franco

La Nota

Sta diventando chiaro che il bersaglio del sovranismo europeo dopo la condanna di Marine Le Pen non sarà la giustizia francese, ma la maggioranza che governa l’Ue.

Né è un paradosso che la presidente della Commissione sia una esponente del Ppe, Ursula von der Leyen; o che buona parte degli europarlamentari provengano da partiti di centrodestra o di destra, con una preclusione solo verso l’estremismo dei Patrioti. Quanto avviene sembra una coda del conflitto per il dominio di un elettorato contiguo. Con Donald Trump nel ruolo di protettore di queste forze insieme con Elon Musk.

È la grande ombra che domina l’Europa alla vigilia dei dazi imposti dalla Casa Bianca alle merci del Vecchio Continente. Le convergenze che riaffiorano riflettono la subalternità dell’estrema destra alle priorità dettate dagli Stati uniti.

È difficile non condividere le parole della premier Giorgia Meloni quando dice al Messaggero che non si può «gioire» quando una sentenza mette fuori gioco la leader di un grande partito come il Rassemblement National.

Ma è un’affermazione diversa da quella del suo vice, il leghista Matteo Salvini, secondo il quale si è trattato di una «dichiarazione di guerra di Bruxelles»: un modo per spostare il tiro dalla Francia all’Ue, come se fosse partito da lì un presunto complotto contro la leader dell’ultradestra, accusata di appropriazione indebita di fondi pubblici.

Non a caso ieri lo stesso Trump ha sostenuto che quanto è accaduto somiglia all’attacco giudiziario subito da lui in questi anni negli Usa. Il paragone, però, rende controverso l’effetto della decisione di Parigi.

Non è chiaro se avvantaggerà Le Pen come ha favorito Trump nel ruolo di vittima. È chiaro solo che fornirà argomenti alle forze tese a delegittimare le istituzioni di Bruxelles; e a chi ritiene che il primato della politica non debba essere mai condizionato da quello giudiziario.

Sullo sfondo, riaffiora la volontà di appoggiare qualunque strategia della Casa Bianca per indurre l’Ucraina a accordarsi con la Russia di Vladimir Putin. Su questo punto, il «pacifismo» si intreccia e si mescola, dalla Lega al M5S e Avs, lambendo il Pd.

Ma a preoccupare è soprattutto un governo in ordine sparso. L’offensiva contro la Commissione Ue riflette anche la volontà leghista di incrinare i rapporti tra Palazzo Chigi e von der Leyen. Sulle armi l’Ue «va contromano», ripete Salvini. E sui dazi: «Vendicarsi di Trump? Se von der Leyen ha usato questo verbo è stata una scelta infelice».

Il tentativo di evitare una guerra commerciale Ue-Usa è sacrosanto. Ma perfino nella Lega c’è chi condivide l’inquietudine generale per i riflessi sull’economia.