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“Come hai fatto a farci perdere 200 miliardi col Superbonus”. Luca e Paolo affondano Conte

di

Luca e Paolo irridono il presidente del M5s per 
il banale populismo dei "sensi di colpa" nel 
video di promozione della manifestazione del 
5 aprile a Roma

Giuseppe Conte sta spendendo molte energie per promuovere la manifestazione di Roma del 5 aprile contro il riarmo.

Manifestazione che però nasce sotto una cattiva stella, almeno a livello politico, visto l’endorsement di Rita De Crescenzo, la tiktoker napoletana che ha invaso Roccaraso e che ora ha chiamato a raccolta le sue “truppe” per lo sbarco nella Capitale, facendo perdere credibilità alla manifestazione.

Ci sarò io davanti allo striscione e voi tutti dietro di me […] Si stanno organizzando treni e pullman dalla stazione centrale di Napoli, tutto gratis, dice l’influencer in uno dei tanti video che ha pubblicato online e che sono finiti anche su La7 nella copertina di DiMartedì di Luca e Paolo, che non hanno mancato di tirare bordate ficcanti all’ex presidente del Consiglio Conte.

Conte ha pubblicato un video in cui fa appello ai sensi di colpa dei genitori“, esordisce Bizzarri presentando il video del presidente del Movimento 5 stelle. “Immaginate un domani, mio figlio mi chiederà: ‘Ma tu c’eri? Cosa hai fatto? Avevi anche un ruolo’. Oppure anche: ‘Papà, mamma, tu non hai un ruolo, ma cosa hai fatto quando si è deciso per 800miliardi nelle armi? Quando si è deciso che l’Europa doveva abbracciare la via della transizione militare“, dice Conte nella breve clip mandata in onda, permeata di populismo, durante la quale i due attori non riescono a trattenere i commenti su quanto detto.

A parte che, da genitori ci sono domande peggiori a cui rispondere, tipo: ‘Papà come nascono i bambini?’. Oppure un’altra: ‘Papà come hai fatto a farci perdere 200miliardi col Superbonus?‘”, è l’attacco di Paolo Kessisoglu, con una battuta ha smontato il teorema di Conte che sfilerà in piazza a Roma con Rita De Crescenzo, ma anche con Alessandro Barbero.

Qui siamo tutti vassalli e il professore andrà e parlerà“, commentano i due attori nella copertina di DiMartedì, che poi aggiungono: “Ma con Barbero, Rita De Crescenzo, cosa si dicono? Cosa si dicono quei due lì?“. Una domanda legittima davanti alle continue storie dell’influencer che promuove la manifestazione ma sostiene di non essere mai stata contattata dal Movimento 5 stelle.

Ma una domanda sorge spontanea, vista la sponsorizzazione che l’influencer sta facendo sui social dei pullman gratis: chi paga?

Domanda che per il momento cade nel vuoto, in attesa di qualche chiarimento.

Il grottesco saluto di Schlein alla manifestazione di Conte, e il trionfo del populismo (linkiesta.it)

di

La sinistra disfatta

Sabato il Pd manderà i suoi dirigenti nella piazza della resa a Putin, dimostrando di non sapersi sganciare da chi maneggia la peggiore demagogia destrorsa e minaccia il mondo democratico

Nel sabato del grande ritorno gialloverde, con la manifestazione contiana a Roma e il congresso salviniano a Firenze, spuntano anche macchioline rosse a imbrattare la tavolozza populista-putinista che, come tale, è di destra.

Tralasciamo qui i veterocomunisti – se Giancarlo Pajetta fosse vivo li sbranerebbe – tipo Vauro, Pino Arlacchi, Moni Ovadia, Raniero La Valle, Roberta De Monticelli – che aderiscono all’adunata dell’avvocato del popolo perché contrari «ad attribuire alla Federazione russa il ruolo del nemico».

E neppure ironizziamo più di tanto sulla guest star Barbero professor Alessandro che parlerà dal palco senza ricordarsi – lo ha finemente notato Nicola Mirenzi sul Foglio – del suo maestro, il grande storico Marc Bloch che nel 1940 scriveva: «Ai pacifisti piaceva giocare con le parole e forse avendo perduto l’abitudine a guardare in faccia i loro pensieri si lasciarono prendere nelle reti dei loro stessi equivoci» (“La strana disfatta”).

Più importante è invece soffermarsi sulla presenza nella piazza contian-travagliana dei dirigenti del Partito democratico mandati in loco da Elly Schlein, che forse ci sarà anche lei per un bagnetto di folla, un saluto lo chiamano, come un’adolescente che passa il sabato pomeriggio al baretto degli amici, ma ci pensasse bene perché qualche fischio potrebbe pure partire.

Il Partito democratico infatti va ovunque. Questa partecipazione dei giovani dirigenti del Pd (sempre per la serie: Pajetta se fosse vivo li sbranerebbe) bissa quella dei medesimi dirigenti alla manifestazione del 15 marzo convocata da Michele Serra, che pur con una certa dose di ambiguità era sanamente schierata con l’Europa, per la sua difesa contro l’attacco congiunto Trump-Putin, per l’Ucraina, dunque esattamente il contrario dello spirito dell’iniziativa di Conte che è contro la politica di difesa dell’Unione europea così come è compendiata nella relazione approvata mercoledì dal Parlamento europeo anche con il voto favorevole del Partito democratico – che però vi è giunto dopo aver detto no al piano ReArm Europe poi recepito nel testo finale.

Ma non si può rendere un saluto a chi fa leva sulle paure sdoganando parole d’ordine populiste («i soldi non per le armi ma per gli ospedali») e falsamente pacifiste di chi ha ballato il valzer con la Russia in vari momenti e in diverse occasioni documentate mille volte da Linkiesta: Vladimir Putin, è persino triste doverlo ribadire, è un nemico della democrazia.

Il Partito democratico non si limiti a «giocare con le parole», come i pacifisti raccontati da Marc Bloch. Questa è una generazione di dirigenti del Nazareno ormai abituata a trucchetti, astensioni, assenze al momento del voto e supercazzole varie, nonché avvezza a sfidare la logica andando in una piazza che ripudiando la politica di difesa europea esprime il contrario di quello che loro stessi hanno votato due giorni fa.

E ci vanno in omaggio alla politica dell’occhiolino da strizzare al vecchio «punto di riferimento fortissimo dei progressisti», cioè a quel Conte-anguilla che sguscia di qua e di là e che bisogna perciò bloccare in una scatoletta di tonno giallorossa, intanto per vincere le prossime regionali e poi le politiche con un programma tutto salario minimo e stipendi per tutti.

Ma questa subalternità al trasformismo è un record da matti, una cosa inimmaginabile nella storia della sinistra italiana e europea. Altro che saluto, è la malattia mortale della politica che sabato esalerà in una pubblica piazza.

Riace, cittadinanza onoraria postuma ad Habashy Rashed Hassan Arafa. Lucano: «Un eroe tradito dalla disumanità politica» (ildubbio.news)

In Calabria

Il sindaco ricorda la tragedia del giovane egiziano, simbolo delle difficoltà legate all’accoglienza e ai diritti umani in Italia

Un nome, una storia e una tragedia che diventa simbolo.

Il Consiglio comunale di Riace ha conferito la cittadinanza onoraria ad Habashy Rashed Hassan Arafa, morto il 21 marzo scorso, pochi giorni dopo la sua scarcerazione per gravi motivi di salute.

A comunicarlo è stato il sindaco Mimmo Lucano, che in un lungo post ha ripercorso la vicenda del giovane egiziano, condannato come scafista, detenuto per oltre quattro anni nel carcere di Arghillà, e morto con un tumore al pancreas in fase terminale.

Una storia che Lucano non esita a definire emblematica della deriva dell’accoglienza e dei diritti umani in Italia: «Habashy era arrivato in Calabria in cerca di speranza. Invece ha trovato due guardie bigotte. È stato accusato di essere lo scafista, arrestato preventivamente e dimenticato in carcere, dove si è ammalato fino a morire. Solo quando il suo corpo non ha più retto, lo Stato ha deciso di scarcerarlo. Per farlo morire fuori dalle sue mura».

Il conferimento della cittadinanza onoraria è avvenuto alla presenza di Luca Casarini e di padre Mattia Ferrari, figure da anni impegnate nel soccorso ai migranti nel Mediterraneo. «È un atto di riconoscimento, ma anche di accusa verso chi ha spento la sua passione per la vita con spregevole indifferenza», ha aggiunto Lucano. «Habashy ha vissuto i suoi ultimi giorni a Riace, accolto nel Villaggio Globale. La sua porta era sempre aperta, i bambini entravano e uscivano giocando, ricordandoci che anche lui è stato, fino alla fine, un essere umano».

Chi era Habashy

Il 19 ottobre 2021 Habashy sbarca a Roccella Jonica su un’imbarcazione carica di migranti. Viene arrestato con l’accusa di essere uno degli scafisti. Condannato in via definitiva, ha scontato la pena nel carcere di Arghillà, a Reggio Calabria. Solo nel gennaio 2025, a poche settimane dal fine pena, gli viene diagnosticato un tumore al pancreas al quarto stadio. A febbraio la magistratura certifica la sua incompatibilità con la detenzione e ne dispone la scarcerazione.

Lucano lo accoglie a Riace, dove trascorre i suoi ultimi giorni, circondato dall’affetto della comunità. Muore il 21 marzo, meno di un mese dopo essere uscito di prigione.

Una riflessione amara

La vicenda di Habashy solleva ancora una volta interrogativi profondi sulla gestione del fenomeno migratorio in Italia, sulla detenzione dei presunti scafisti e sull’applicazione dell’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione, inasprito dal decreto “Cutro”.

«Davvero possiamo credere che chi arriva accovacciato in una carretta del mare sia il responsabile dell’organizzazione del viaggio?», si chiede Lucano. «Quanti migranti sono stati condannati senza nemmeno poter essere ascoltati nella loro lingua, senza possibilità di appello?».

Con la cittadinanza onoraria postuma, Riace non dimentica Habashy. E al tempo stesso rivendica una visione diversa, fondata sull’accoglienza, la dignità e il rispetto dei diritti umani.