L’ennesimo studio che “smonta” l’mRNA (butac.it)

di 

Uno studio uscito recentemente che suggerisce 
miglioramenti nelle strategie vaccinali ma 
viene utilizzato per concludere che i vaccini 
siano dannosi per i più fragili. 

Siamo andati a cercarlo e leggerlo

Su svariati gruppi online sta spopolando un articolo pubblicato su La Verità il 17 novembre 2024 con la firma di Patrizia Floder Reitter, articolo dal titolo:

Lo studio finanziato dal ministero: vaccini a mRna inefficaci e inadatti per i fragili

Siamo di fronte a un articolo da manuale per quanto riguarda la tecnica di inquadrare i fatti raccontati in una specifica “cornice” che incida sull’interpretazione del contenuto, quello che in linguaggio tecnico si chiama “framing“. Lo vediamo a partire dall’evidenza data al pezzo in prima pagina, evidenza che sfrutta il linguaggio emozionale, tipico della disinformazione (e della pubblicità), quel “LA RESA DEI CONTI” che si vede sopra al titolo dà a intendere appunto che si sia arrivati a delle conclusioni certe che supportano quanto affermato dal titolo.

Peccato che le cose non siano proprio come ci viene raccontato.

Floder Reitter sostiene che lo studio evidenzi l’inefficacia dei vaccini a mRNA – lei insiste nello scrivere mRna, ma è una grafia sbagliata – e che suggerisca la pericolosità dei vaccini per le persone fragili a causa degli effetti avversi derivati dalla produzione della proteina Spike. Ma in realtà il focus dello studio è una riflessione su come sia possibile migliorare le strategie vaccinali e ridurre gli effetti collaterali: non leggiamo infatti una bocciatura totale dell’efficacia dei vaccini come invece Floder Reitter sembra dare a intendere. Federico più che altro discute la necessità di considerare approcci più mirati e personalizzati, piuttosto che escludere del tutto l’uso dei vaccini a mRNA.

Floder Reitter scrive:

Innanzitutto, il biologo e virologo chiarisce che per gli mRna anti Covid si deve parlare non di vaccino, bensì di un profarmaco inteso come «una sostanza farmacologicamente inattiva che viene convertita nell’organismo in un farmaco farmacologicamente attivo»…

Nello studio il biologo Federico usa il termine “profarmaco” per descrivere il meccanismo dei vaccini a mRNA, sottolineando che l’mRNA deve essere tradotto nelle cellule bersaglio per produrre la proteina Spike, che innesca la risposta immunitaria. Questa descrizione però non implica che non si debbano definire vaccini, sottolinea soltanto un aspetto tecnico del loro funzionamento.

L’affermazione di Floder Reitter potrebbe indurre i lettori a pensare che Federico neghi lo status di “vaccino” a questi preparati, ma di certo non è l’intento dello studio. Oltretutto leggendolo si può notare facilmente che i vaccini vengono più e più volte definiti vaccini.

Nell’articolo de La Verità poi ci viene spiegato che la produzione della proteina Spike e la sua persistenza potrebbero causare gravi effetti collaterali, come il rischio di sviluppare malattie autoimmuni e tumori. È vero che lo studio esplora la persistenza della proteina Spike e le possibili implicazioni immunologiche, inclusi potenziali rischi legati a un’elevata risposta immunitaria.

Ma non è qualcosa che non si sapeva, ogni farmaco ha effetti collaterali ed è normale che negli anni che seguono la sua messa in produzione si cerchi di affinarlo per renderlo, se possibile, ancora più sicuro ed efficace. Federico semplicemente sostiene che vi sia la necessità di ulteriori ricerche per comprendere appieno questi aspetti e migliorare la sicurezza e l’efficacia dei vaccini, mentre l’articolo de La Verità dà l’impressione che le cose siano già state verificate e accertate e che portino a conclusioni diverse a quelle a cui arriva ogni nuovo studio sui vaccini anti-COVID, ovvero che il rapporto tra rischio e beneficio è sempre e comunque a favore della prevenzione.

E difatti anche lo studio di Federico esplora le possibili limitazioni e suggerisce miglioramenti ai vaccini a mRNA, senza però negarne il valore ed evitando la demonizzazione come invece fa l’articolo de La Verità. Le raccomandazioni per ulteriori ricerche e nuove strategie non significano un rigetto dei vaccini attuali.

L’uso distorto degli studi scientifici…

… può servire per manipolare l’opinione dei propri lettori, lettori che se leggono quel giornale – o i siti e le piattaforme social su cui questi articoli vengono condivisi – sono già immersi in questo genere di disinformazione e difficilmente proveranno a verificare alcunché.

Quando si parla di vaccini, un’interpretazione sbagliata di dati complessi può avere gravi ripercussioni, portando a un aumento dell’esitazione vaccinale con tutti i rischi che ne conseguono. Per questo, sarebbe fondamentale leggere con attenzione gli studi nella loro interezza e diffidare di titoli o articoli che sembrano voler colpire emotivamente il lettore più che informarlo con equilibrio.

In casi come questo per farsi un’opinione solida e informata sarebbe utile, quando possibile, consultare direttamente le fonti scientifiche o rivolgersi a esperti della materia che ce le possano spiegare. Noi non lo siamo, come non lo è la giornalista de La Verità, ma noi, a differenza sua, lo studio lo linkiamo e vi invitiamo a leggerlo, specie nelle sue conclusioni.

L’auto senza freni di Putin (corriere.it)

di Marco Imarisio

Muscoli e dilemmi

Adesso che i principali contendenti hanno entrambi mostrato i muscoli, si potrebbe finalmente parlare di diplomazia.

Anche perché almeno per un paio di mesi la situazione rimarrà fluida, e per questo ancora più pericolosa. In questi giorni a Mosca sta girando molto una scenetta presa da un programma comico in onda su un canale nazionale. Un attore che somiglia in modo straordinario al giovane Vladimir Putin disegna con il dito indice la parabola di un missile a media gittata, e poi fa «boom» con la bocca, simulando con le mani una grande esplosione.

Davanti a lui, un altro attore che impersona in modo caricaturale Donald Trump, chiede se quella è una minaccia. Suscitando l’ilarità del pubblico in studio, il finto Putin replica così. «Ma figurati, stavo solo imitando il salto di una cavalletta nella farina».

Le barzellette sull’ottusità occidentale e sulla nostra incapacità di capire le parole pronunciate dal presidente russo riscuotono sempre grande successo. Ma forse anche i russi dovrebbero ridere di meno, pensando al fatto che non c’è alcuna certezza sulle prossime mosse del loro caro leader. Il mondo intero si chiede cosa farà il Cremlino. La verità è che non lo sa nessuno.

L’unica risposta onesta alla domanda che angoscia tutti, è questa. Al momento, il lancio del nocciolo, così si traduce Oreshnik, il nome del nuovo missile balistico, serve a cementare il monumento che Putin ha eretto a sé stesso. Uno Zar lascia le chiacchiere ai sottoposti. Uno Zar agisce, e spaventa il nemico.

L’intervento a sorpresa di Putin, apparso all’improvviso sugli schermi televisivi di tutto il Paese poco dopo le 20 di giovedì, è stato duro nella sostanza ma pacato nel tono. Senza le note gravi di alcuni suoi precedenti interventi. Nessuna ora fatale, nessuna frase visionaria sul destino della nazione.

Persino qualche elemento conciliante, come la promessa di avvisare in anticipo le popolazioni che saranno l’eventuale bersaglio della nuova bomba. Il tutto declinato con un senso di superiorità interiore. Sembrava quasi che ci tenesse a mostrare di sapere qualcosa che noi ancora ignoriamo.

Per quanto breve, il discorso ha suscitato l’effetto voluto. «Da ormai due anni sostengo che questa storia finirà con ultimatum missilistico» ha detto la fedelissima Margarita Simonyan, direttrice di Russia Today , a suo tempo madrina del ponte di Kerch che collega il suo Paese alla Crimea. «Ora c’è da vedere chi sarà il primo a fare dietrofront.

Ma se avete parlato almeno una volta in vita vostra con il Superiore, non dovreste avere dubbi». Mentre tutti i media russi ieri mattina aprivano con giubilo le loro edizioni con servizi sul panico scatenato dalle parole del presidente nell’Occidente, appare evidente che Putin ha fatto la sua mossa, seppure interlocutoria.

L’iniziativa spetta ora agli Usa e all’Europa. In Russia, la convinzione generale è che, per quanto il presidente aspiri a entrare nei libri di Storia, non abbia alcuna intenzione di farlo da cavaliere dell’Apocalisse. È ben conscio dell’inferiorità conclamata del suo Paese nel campo nucleare.

«Cominciare la Terza guerra mondiale a causa di un missile ucraino caduto su un magazzino nella regione di Bryansk sarebbe un po’ esagerato» scrive il Moskovsky Komsomomoltes , il più cremliniano dei quotidiani schierati con il Cremlino.

Anche se si tratta di un bluff, andare a scoprire le carte potrebbe non essere la migliore delle idee. Putin è specializzato nel superare le linee rosse. Lo ha fatto il 24 febbraio 2022 invadendo l’Ucraina, lo ha ripetuto con il referendum per l’annessione delle regioni appena conquistate, e infine lanciando un missile a media gittata. Per descrivere il suo carattere, i biografi più accreditati usano l’immagine di un’auto priva di retromarcia e di freni.

I quaranta giorni che ci separano dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca saranno una gara di forza e lucidità che prevede un dilemma-Putin da affrontare nel più breve tempo possibile. Chi si mostra più unito e convinto delle sue idee, potrebbe guadagnare un posto di riguardo al futuro tavolo delle trattative. Ma sembra quasi che Europa e Usa si stiano preparando ad affrontare questa prova decisiva creando una babele di tante voci diverse.

Nei suoi ultimi giorni da presidente, Joe Biden vuole rafforzare la posizione ucraina. Trump promette invece di risolvere la guerra in poche ore, lasciando così intendere che è disposto a far contenta la Russia. La Germania telefona al Cremlino, Gran Bretagna e Francia promettono invece altre armi a Kiev, l’Italia cerca un difficile equilibrio tra posizioni ben distanti tra loro.

Il presidente russo è l’unico che può permettersi di aspettare. La sola opinione che conta è la sua. L’unico elemento fisso di un paesaggio sempre più variabile rimane lui. Era chiaro fin dall’inizio che sarebbe stato così. Il 7 marzo del 2022, nel suo ultimo editoriale per il Corriere , il compianto Franco Venturini scriveva che qualunque cosa accada, per porre fine alla guerra è comunque con Vladimir Putin che bisognerà parlare.

Sarebbe meglio non arrivare in ordine sparso a questo ineludibile appuntamento.

Un’infermiera non è morta dopo un fantomatico vaccino contro l’obesità (open.online)

di Juanne Pili

FACT-CHECKING

L’assunzione del farmaco erroneamente definito 
vaccino contro l’obesità è solo uno dei fattori 
correlati al decesso dell’infermiera britannica
Diverse condivisioni su Facebook (per esempio quiquiqui qui), riguardanti un’infermiera che sarebbe morta a causa di un «vaccino» che dovrebbe prevenire l’obesità, ci mostrano quanto certi termini possano essere fuorvianti. Il problema, infatti, è che non esiste un vaccino contro l’obesità. Usare le virgolette come se si trattasse di una banale semplificazione può essere altrettanto fuorviante.

Analisi

Ci sono varie versioni della narrazione sul presunto vaccino contro l’obesità, a seconda della fonte da cui si attinge:

Infermiera muore dopo il vaccino contro l’obesità: «Era un po’ in sovrappeso, ma sana. Non assumeva altri farmaci» Un’infermiera di 58 anni è morta per insufficenza multiorgano, shock settico e pancreatite, dopo aver assunto due iniezioni di tirzepadite, un farmaco per perdere peso. Si tratta di un vaccino contro l’obesità. Ha assunto regolarmente il farmaco per due settimane prima di perdere la vita. Il primo sintomo, arrivato dopo pochi giorni, è stato un forte dolore allo stomaco, la donna ha subito raggiunto il pronto soccorso dell’ospedale in cui lavorava. È morta accanto a sua nipote.

Non l’avevo mai sentito il vaccino contro l’obesità.
Tra poco faranno anche il vaccino contro la stitichezza.
Vogliono eliminare tutta l’umanità.
Vogliono rimanere solo loro, ed essere eterni possibilmente.
LURIDI.

Il presunto vaccino contro l’obesità

Susan McGowan, un’infermiera britannica di 58 anni, non è morta a causa di un vaccino contro l’obesità. Per altro non si potrebbe parlare nemmeno di un farmaco destinato esclusivamente a curare questa malattia. Similmente al Ozempic (di cui avevamo trattato qui), parliamo di un principio attivo, il Tirzepadite (farmaco Mounjaro) destinato principalmente a curare il diabete, ma che si è rivelato efficace anche nel trattare certe forme di obesità.

Come riportano i colleghi Catriona MacPhee e James Cheyne nel loro articolo per la BBC, McGowan è deceduta dopo aver assunto il tirzepatide per due settimane tramite due iniezioni a basso dosaggio prima della sua morte, lo scorso 4 settembre.

Il certificato di morte di McGowan indica insufficienza multiorgano, shock settico e pancreatite come causa immediata di morte, mentre l’uso del Mounjaro è registrato come fattore contribuente. Del resto tratterebbe del primo decesso correlato al farmaco nel Regno Unito.

Il Tirzepatide appartiene a un gruppo di farmaci per la perdita di peso noti come agonisti del recettore GLP-1, che agiscono facendo sentire il paziente più sazio più a lungo. Approvato come supporto nella perdita di peso dalla MHRA britannica, il farmaco è attualmente prescritto dal NHS solo a un numero limitato di pazienti. Naveed Sattar, professore di medicina metabolica all’Università di Glasgow ha spiegato alla BBC che anche l’obesità non è una patologia da prendere sotto gamba, similmente anche i trattamenti non sono caramelle, occorre sempre valutare caso per caso il bilancio tra rischi e benefici.

«I trial clinici sono progettati con grande rigore per valutare la sicurezza dei farmaci – spiega Sattar -, dimostrando che generalmente i benefici sostanziali superano i rischi. Esistono prove sufficienti a indicare che questi farmaci offrono una perdita di peso significativa e importante, con profili di effetti collaterali generalmente accettabili per la grande maggioranza delle persone. La realtà è che c’è un forte bisogno di aiutare molte persone con livelli estremamente elevati di BMI a perdere peso. Questi farmaci possono offrire molteplici benefici, e per molti anni non abbiamo avuto strumenti simili a disposizione. Sono numerosi gli individui – approssimativamente uno su quattro o uno su cinque tra gli adulti nel Regno Unito – che potrebbero trarre vantaggio da questi trattamenti».

Certamente non siamo a livelli paragonabili coi vaccini, che non devono affrontare la malattia ma prevenirla del tutto, o ridurre i casi gravi della stessa. Ragione per cui usare tale termine per definire un farmaco contro diabete e gravi forme di obesità è pericolosamente fuorviante.

Conclusioni

Abbiamo visto che non esiste un vaccino contro l’obesità. Farmaci come quelli usati per curare forme gravi di obesità presentano un profilo di rischi e benefici che non è paragonabile con quello dei vaccini approvati in Occidente, questi ultimi per altro hanno una funzione preventiva, non di supporto a terapie farmacologiche. Il caso in oggetto dell’infermiera britannica è per altro ancora da chiarire, risultano infatti condizioni pregresse che possono spiegare il suo decesso.

Del caso si è occupato recentemente il collega Michelangelo Coltelli su Butac.