Personalizza le preferenze di consenso

Utilizziamo i cookie per aiutarti a navigare in maniera efficiente e a svolgere determinate funzioni. Troverai informazioni dettagliate su tutti i cookie sotto ogni categoria di consensi sottostanti. I cookie categorizzatati come “Necessari” vengono memorizzati sul tuo browser in quanto essenziali per consentire le funzionalità di base del sito.... 

Sempre attivi

I cookie necessari sono fondamentali per le funzioni di base del sito Web e il sito Web non funzionerà nel modo previsto senza di essi. Questi cookie non memorizzano dati identificativi personali.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie funzionali aiutano a svolgere determinate funzionalità come la condivisione del contenuto del sito Web su piattaforme di social media, la raccolta di feedback e altre funzionalità di terze parti.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie analitici vengono utilizzati per comprendere come i visitatori interagiscono con il sito Web. Questi cookie aiutano a fornire informazioni sulle metriche di numero di visitatori, frequenza di rimbalzo, fonte di traffico, ecc.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie per le prestazioni vengono utilizzati per comprendere e analizzare gli indici di prestazione chiave del sito Web che aiutano a fornire ai visitatori un'esperienza utente migliore.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie pubblicitari vengono utilizzati per fornire ai visitatori annunci pubblicitari personalizzati in base alle pagine visitate in precedenza e per analizzare l'efficacia della campagna pubblicitaria.

Nessun cookie da visualizzare.

Come i troll di Putin hanno influenzato le elezioni in Romania (linkiesta.it)

di

I russi su TikTok

Un rapporto ufficiale del social cinese documenta le operazioni sotto copertura con cui il Cremlino ha tentato di favorire il candidato populista Georgescu e il partito di estrema destra Aur

L’interferenza della Russia nelle elezioni rumene è reale, è documentata, ci sono le prove. C’è stato un numero impressionante di Operazioni di Influenza Sotto Copertura (Covert Influence Operations, CIO) con cui si è tentato di favorire il candidato populista filorusso Călin Georgescu. La conferma ufficiale l’ha data TikTok nel suo report sulla disinformazione.

Nel documento che copre il secondo semestre del 2024, l’azienda cinese entra nei dettagli delle operazioni di propaganda messe in campo da Mosca per influenzare le elezioni in Romania nel tentativo di far eleggere il candidato a lei più vicino.

Quel candidato che poi la magistratura rumena ha escluso dalle elezioni di maggio. (A questo proposito va ricordato che la Romania ha annullato il voto presidenziale dello scorso dicembre in seguito a segnalazioni di intelligence secondo cui la Russia aveva interferito nel voto ed era responsabile della sorprendente vittoria al primo turno di Georgescu).

Il report è stato presentato alla Commissione europea in ottemperanza al Codice di condotta sulla disinformazione – sotto il cappello del Digital Services Act – firmato dall’azienda. Non si parla solo del caso rumeno. Nelle 329 pagine dei capitoli più brevi sono dedicati anche all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e alle elezioni francesi del 2024.

Ma il capitolo dedicato alla Romania è il più articolato e denso di contenuti. «La Romania si è trovata improvvisamente al centro della nuova geografia della sicurezza europea», si legge nel report. «Da periferia geopolitica, il Paese è diventato un perno per il contenimento russo e per la proiezione orientale della Nato e dell’Unione europea».

E la sua posizione geografica alla frontiera dell’Occidente, al confine con l’Ucraina e la Moldova, affacciata sul Mar Nero, l’ha resa un bersaglio sensibile per la propaganda del Cremlino. Inoltre Bucarest ha accolto oltre un milione di profughi ucraini da quando è iniziata l’invasione su vasta scala e si è organizzata per diventare uno snodo sempre più importante nel cuore dell’Europa per il transito di armi e aiuti verso Kyjiv. Tutto questo ha contribuito a portare il mirino della Russia sulla Romania.

L’azienda cinese sostiene che il partito di estrema destra Aur e Georgescu hanno beneficiato del lavoro di influenza proveniente 27.217 account falsi. Nello specifico, dice di aver rimosso sei network di operazioni di influenza nascoste (i CIO, appunto) che avevano come target utenti rumeni.

Tra questi, ce n’era uno decisamente più grande, con circa ventisettemila account, mentre gli altri erano di dimensioni ridotte – e probabilmente erano gestiti con più manovalanza umana, in un certo senso, veicolando meno messaggi ma più efficaci e mirati. Il network più grnade è stato chiuso a dicembre 2024, gli altri nelle settimane precedenti. L’obiettivo di questi account era la mera propaganda: promuovevano contenuti critici nei confronti del governo di Bucarest, altri più favorevoli a Georgescu.

Oltre a questi network, è stato chiuso anche un network di undici account con profili riconducibili al media russo Sputnik. Anche così si spiega come la popolarità di Georgescu sia passata dall’un per cento – qualche mese prima del voto – a un indice di gradimento che l’avrebbe dovuto portare a vincere le elezioni.

«Riteniamo che questa rete fosse gestita tramite un fornitore di interazioni online e prendesse di mira l’opinione pubblica rumena», si legge nel documento. «Le persone dietro questa rete hanno usato account non autentici per promuovere il partito politico Aur e il candidato indipendente Călin Georgescu, nel tentativo di manipolare il dibattito pubblico prima delle elezioni».

Sono stati rimossi anche più di duemila ads che violavano le policy sull’advertising politico. E TikTok sostiene di aver provveduto al blocco geografico di una serie di account e aver impedito la creazione di altri profili. Questo passaggio è stato sintetizzato e descritto in tutti i particolari da Ander Bruckestand (account @Ander_Bruckes) su X in un lungo thread, poi riportato anche su InOltre.

In particolare, dall’ultimo aggiornamento di TikTok emerge che solo a dicembre 2024 è stata impedita la creazione di circa centocinquantamila account fasulli (spam account) e altri centocinquantamila sono stati rimossi. Anche due milioni di like fasulli e 2,3 milioni di follower fasulli sono stati cancellati, oltre a cinquantanove account che impersonavano politici o partiti rumeni.

La piattaforma rileva inoltre di aver rimosso in modo proattivo quasi seimila contenuti elettorali in Romania per violazione delle sue politiche su disinformazione, molestie e incitamento all’odio dalla fine di ottobre. Gli indirizzi IP più utilizzati per queste cosiddette troll farm sono stati geolocalizzati in Turchia.

In campagna elettorale le regole devono essere chiare e i messaggi sempre trasparenti. La pubblicità deve essere riconoscibile, gli elettori devono poter riconoscere uno spot o un qualsiasi contenuto creato ad arte per sostenere questo o quel candidato.

La presenza di account che fingono di rappresentare utenti qualsiasi per influenzare l’opinione pubblica con un lavoro di propaganda lento e costante non dovrebbe essere ammessa: non si può influenzare in questo modo la popolazione di uno Stato sovrano per manipolare e alterare il risultato di un’elezione.

Come notato da Bruckestand, le autorità rumene hanno riscontrato attività anomale a partire dal giorno precedente il primo turno delle elezioni, a novembre 2024. Ma l’intera attività di propaganda era iniziata certamente prima, magari con un’intensità più bassa. Resta da chiedersi quindi quanti account appartenenti a questi gruppi di influenza che agiscono a bassa intensità siano attualmente presenti sui social, e quanto sia difficile individuarli e fermarli.

Questo tentato golpe rumeno attraverso i social, se così lo si può definire, è una forma di guerra alternativa, ibrida, non convenzionale. Il tentativo di distruggere dall’interno una democrazia, penetrando nel suo tessuto sociale, politico e culturale.

Minacce di questo tipo sono sempre difficili da contrastare, perché sfidano i limiti imposti dai principi democratici, dallo stato di diritto e dai suoi valori fondanti.

Ma tutelare i cittadini dall’ingerenza di forze ostili è sempre più una necessità. E l’Europa deve trovare un modo per difendersi.

Dopo Putin, Xi. Caro Conte, non esageriamo (huffingtonpost.it)

Il capo dei cinque stelle fa il furbetto:
“Non dovevamo lasciare la via della Seta”. Una frase fuori dal tempo, fuori dalla storia, fuori dalla logica

“Meloni accumula un altro fallimento e il tempo è galantuomo, io ho concluso l’accordo della Via della Seta per offrire un mercato importantissimo come sbocco ai nostri imprenditori. Giorgia Meloni ha strappato quell’accordo e oggi dovrà andare con il cappello in mano da Xi Jinping per chiedere uno spazietto”. 

Parola di Giuseppe Conte, capo di M5s e soprattutto ex premier del governo gialloverde – leghisti più pentastellati – nell’annata 2018/2019, quando appunto firmò i patti di collaborazione economica con la Cina.

Ora, la dichiarazione di Conte è palesemente un’operazione manipolatoria, il classico tentativo di riscrivere la storia passata con gli occhi del presente, cosa su cui eccelle, anche se bisogna dire che è in buona compagnia sia a Montecitorio che a palazzo Chigi. Non più tardi di qualche settimana fa ha infatti adottato lo stesso metodo per riabilitare e nobilitare le sue simpatie putiniane.

A diretta domanda di un corrispondente della stampa estera in Italia, ha infatti usato il disgelo fra Usa e Russia per riaffermare la sua posizione equidistante sulla guerra Ucraina: “Non sono scenari dove c’è chi ha assolutamente ragione e chi no. Putin lo ha dichiarato da sempre, il problema era l’avanzata della Nato nel quadrante Est, l’ha scritto anche in una lettera alla Nato”.

Ma torniamo a Xi e alla Via della Seta. E cerchiamo di spiegare perché quella frase rivolta a Meloni è fuori dal tempo, fuori dalla storia ma soprattutto fuori dalla logica.

Nel 2019 Conte aderisce entusiasticamente alla Nuova Via della Seta, un progetto messo in piedi dalla Cina per competere con gli Usa negli scambi col resto del mondo. L’idea cinese è piuttosto semplice: si tratta di creare sei rotte commerciali per poter meglio convogliare i prodotti cinesi sui mercati globali.

Siamo infatti all’apice della spettacolare crescita di Pechino, un paese che in pochi decenni è passato dalla arretratezza degli anni di Mao al nuovo status di fabbrica del mondo, grazie alla capacità di coniugare i principi capitalistici a una forza lavoro sterminata. Una di queste sei autostrade commerciali termina nel Mediterraneo, con l’Italia paese di sbocco finale.

In particolare ad essere molto attenzionato è il porto di Trieste, perché quella è la testa di ponte ideale per inondare l’Europa centrale con merci a basso costo. Del resto, il Dragone già da tempo porta avanti una politica molto aggressiva di controllo di terminal e scali portuali in Europa, a cominciare da quello del Pireo di Atene.

Ma la Via della Seta, per come è pensata, non può che preoccupare il mondo occidentale perché porrebbe le basi di un’egemonia economica cinese che in prospettiva potrebbe poi tradursi in egemonia politica e culturale. Insomma, una bella sfida agli Usa ma anche all’Europa. Tant’è che da quella firma in poi si moltiplicano le pressioni per far recedere il governo italiano dai suoi propositi mentre gli altri paesi europei iniziano a prendere contromisure per frenare l’espansionismo cinese: ad esempio il governo tedesco blocca il tentativo di presa del porto di Amburgo.

Siamo infatti in un momento storico totalmente diverso da quello che stiamo vivendo dal 20 gennaio 2025 a questa parte: nel 2019 l’alleanza occidentale Usa-Ue è bella solida, la prima presidenza Trump volge al termine senza troppi scossoni, la Russia è ancora un partner affidabile, non ha invaso l’Ucraina e ci fornisce gas in abbondanza e a basso prezzo.

Tutto fila per il meglio, quindi per l’Italia non avrebbe alcun senso sfilarsi dalle tradizionali alleanze, economiche e valoriali, col resto del mondo. Infatti, da lì a poco il Conte I cade rovinosamente nell’estate del Papeete di Matteo Salvini, si insedia il Conte II con una maggioranza di centrosinistra e agli accordi della Via della Seta non viene dato seguito. Fino al 2023 quando il governo Meloni, da poco insediato, la abbandona definitivamente.

Oggi, invece, dopo i dazi imposti alla Ue da parte di Trump il mondo occidentale è in piena ridefinizione. Adesso sì che ha un senso parlare con il presidente Xi Jinping, perché le tradizionali alleanze economiche e militari che hanno garantito all’Italia e all’Europa 80 anni di pace e prosperità non sono più scontate.

Anzi, in un certo senso è quasi obbligatorio per l’Unione europea aprirsi ulteriormente a nuovi mercati e magari potenziare i rapporti con la Cina – che, si badi bene, già adesso esporta parecchio nel ricco mercato europeo dove registra un costante avanzo commerciale.

Un’apertura che va fatta con giudizio e soppesando pro e contro rispetto alle mire espansionistiche cinesi. Un negoziato ragionato, insomma, che sarebbe molto diverso da una resa collaborazionista in stile Conte I.

Che poi è la differenza che risulta esserci tra pratici solutori e utili idioti.

A differenza dell’Italia in Francia l’establishment esiste (corriere.it)

Risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,

perché ho l’impressione che al di là della levata di scudi contro la condanna di Marine Le Pen proprio questa sentenza potrebbe sortire l’effetto opposto a quello che molti pensano?

Italo Mariani, Parma 

Leggo i commenti sui social, ma dovrei smettere di farlo: il solito vittimismo, teoria del complotto per non mandarla all’Eliseo, inchieste della magistratura pilotate dalla politica. Di tutto e di più.

Marco Ferrari 

Dopo la stangata giudiziaria a Marine Le Pen, il suo partito, guidato da Jordan Bardella, successore naturale della leader, riuscirà a sfruttare l’effetto di vittimizzazione di Rn?

Pietro Mancini

Cari lettori,

era abbastanza ingenuo attendersi che l’establishment francese avrebbe consegnato il Paese, o la Nazione se preferite, a Marine Le Pen. Una presidenza Le Pen significherebbe smontare tutta l’impalcatura europea costruita negli ultimi cinquant’anni, rinunciare al rapporto privilegiato con la Germania che era già un’idea di de Gaulle — i francesi hanno l’atomica e il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, i tedeschi la forza economica —, avvicinarsi pericolosamente a Putin.

Da italiani, cioè un popolo che disprezza lo Stato e la politica, fatichiamo a capire i Paesi dove un establishment esiste. Non a caso l’Italia è l’unico Stato dell’Europa occidentale dove i populisti hanno vinto le elezioni, sia nel 2018 sia nel 2022.

Detto questo, il vento di rivolta contro l’establishment che spazza tutto l’Occidente soffia da tempo anche in Francia. Il Rassemblement National di Marine Le Pen ha lavorato molto — anche se non sempre con efficacia — per frenare le antiche pulsioni xenofobe e antisemite.

Una parte del mondo imprenditoriale è ormai convinta che il Rn sia la nuova destra su cui puntare; in primis Vincent Bolloré, la cui presenza in Italia è stata ridimensionata prima da Mediaset poi dal governo, ma che in Francia è molto influente, anche nell’editoria.

Ora l’establishment francese ha due anni di tempo per trovare, nella sinistra riformista o più facilmente nella destra europeista e repubblicana, se non un nuovo Macron, qualcuno in grado di battere una Le Pen graziata o un Bardella.