di Francesco Guglieri
A partire dal luglio 1837, Charles Darwin
tenne un piccolo taccuino, che etichettò
con la lettera B, dedicato «all’idea più
bizzarra che gli fosse mai venuta».
Era un bel taccuino, adatto a un giovane di buona famiglia quale era Darwin: 280 pagine color crema, rilegato in pelle marrone. Non era un quadernetto usa e getta, quindi, di quelli dove appuntarsi velocemente un’idea e liberarsene dopo averla trascritta, usata o dimenticata.
Il taccuino B era piccolo abbastanza da essere riposto in tasca e con un fermaglio metallico per tenerlo chiuso: era quindi anche un quaderno privato, se non addirittura segreto. Era il deposito dei pensieri e delle riflessioni che si agitavano in Darwin dopo essere tornato a casa dal viaggio sul HMS Beagle, un’esplorazione per mare e per terra durata quasi cinque anni: di fatto l’unico vero grande viaggio in una vita per altro agiata e sedentaria, ma sufficiente per innescare una catena di riflessioni così destabilizzanti da essere conservate, nella loro forma larvale, al sicuro in un taccuino segreto indicato dalla lettera B.
A pagina 26 del taccuino, Darwin traccia uno schizzo a penna, un grafo irregolare in cui alcuni rami sono più lunghi di altri, generano diramazioni e braccia di diversa direzione e importanza. Era questa l’idea più bizzarra che gli fosse mai venuta. Un albero.
L’albero intricato di David Quammen (Adelphi), come tutti i grandi libri, può essere letto in molti modi, perché tanti sono i libri diversi che contiene. Prima di tutto va letto nel modo in cui chiede esplicitamente di essere letto: L’albero intricato è il racconto di come sono stati scoperti i grandi domini della vita, con annessa domanda cos’è la vita, di come si disegnano gli alberi al tempo della filogenesi molecolare, e di come si trasmettono le informazioni genetiche, non solo per via “verticale”, ereditaria, ma anche orizzontale … leggi tutto