Guterres (Onu) lancia l’allarme: “Innalzamento troppo rapido del Pacifico” (ilsussidiario.net)
“Rischio catastrofe mondiale”
Il segretario generale delle Nazioni unite lancia l’allarme sull’innalzamento del Pacifico: “Una catastrofe mondiale sta mettendo in pericolo il paradiso”
Guterres, il grido disperato dopo l’innalzamento del Pacifico
Nel corso di una riunione sulle isole del Pacifico il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha lanciato l’allarme sull’innalzamento del mare, che starebbe correndo a velocità troppo folle negli ultimi tempi e questo ovviamente è un rischio enorme.
Una recente ricerca svelata da Guterres ha rivelato che i mari della regione si stanno innalzando molto più velocemente delle medie globali: “Sono a Tonga per lanciare un Sos globale – Save Our Seas – sull’innalzamento dei livelli del mare, una catastrofe mondiale sta mettendo in pericolo questo paradiso del Pacifico” ha avvertito con grande preoccupazione il segretario generale delle Nazioni Unite.
Una questione legata al surriscaldamento globale, tematica che da anni attira sempre più attenzione e di conseguenza polemiche: “E’ una situazione assurda – ha insistito Antonio Guterres richiamando tutti all’attenzione – . Una crisi che presto si amplierà fino a raggiungere una dimensione quasi inimmaginabile, il mondo deve agire e rispondere all’SOS prima che sia troppo tardi. Senza drastici tagli alle emissioni, entro la metà del secolo le isole del Pacifico possono aspettarsi almeno 15 centimetri di ulteriore innalzamento del livello del mare e in alcuni luoghi più di 30 giorni all’anno di inondazioni costiere” l’allarme del segretario generale delle Nazioni Unite.
Antonio Guterres: “Oceani stanno cambiando velocemente”
La questione riguardante l’innalzamento di mari e oceani è sempre stata particolarmente chiacchierata negli ultimi tempi e Antonio Guterres, intervenuto direttamente da Tonga, ha ribadito il concetto lanciando quello che lui ha definito un vero e proprio SOS: i cambiamenti degli oceani mese dopo mese sono sempre più pericolosi, meno tollerabili e con lo spauracchio di eventi devastanti all’orizzonte, le ondate di calore marino hanno addirittura raddoppiato la loro durata.
Guterres ha snocciolato altri dati allarmanti riguardo all’innalzamento del livello degli oceani:
“E il tasso medio di innalzamento del livello del mare è più che raddoppiato dagli anni ’90: tra il 1993 e il 2002 era di 0,21 centimetri all’anno; tra il 2014 e il 2023 è salito a 0,48 centimetri all’anno”.
La corte filorussa di Robert Kennedy jr. e il suo ruolo nelle elezioni presidenziali (linkiesta.it)
Cavallo di Troia
Il nipote di Jfk ha ufficializzato il suo appoggio a Trump in vista del 5 novembre, portando in dote all’ex presidente repubblicano un’altra porzione di elettorato complottista, pro-Putin e antiamericana
Il ritiro di Robert F. Kennedy jr. dalla corsa presidenziale, e il conseguente appoggio a Donald Trump, hanno portato i giornali a interessarsi a questa figura marginale della politica statunitense. Buona parte del pubblico, soprattutto in Italia, ignorava la sua stessa candidatura alle elezioni, ma non c’è da biasimarli: i candidati indipendenti lasciano il tempo che trovano, attirando l’attenzione esclusivamente delle bolle di riferimento.
Ma quello di Kennedy jr. è un caso a parte. Il figlio di Bob si è ritagliato un suo spazio nel dibattito americano prima come affermato avvocato ambientalista (negli anni Novanta ha impedito la costruzione di dighe in Québec e in Cile oltre a far condannare la multinazionale della chimica DuPont) poi come complottista noto per le sue posizioni radicali contro le vaccinazioni, esasperate dopo la pandemia di Covid-19.
L’attivismo antiscientifico di Rfk jr. così come le più assurde storie sul suo conto, dal verme nel cervello all’episodio dell’orso morto, lo hanno reso una macchietta. Ma sappiamo bene quanto le macchiette possano essere pericolose e che per questo non vanno sottovalutate.
L’endorsement a Trump ha spinto la famiglia Kennedy a dissociarsi, ancora una volta, dal nipote di Jfk, che fino a quest’anno ha sempre rivendicato la sua appartenenza al Partito democratico (ha anche tentato di partecipare alle ultime primarie). Ma la convergenza con i repubblicani era scontata, ci sono troppi punti in comune tra la piattaforma indipendente dell’avvocato di Washington e il movimento “Make America Great Again”.
Se da una parte c’è chi minimizza riducendo Rfk jr. e i suoi sostenitori a un freakshow che può solo rendere più ridicolo il ticket di destra, dall’altra c’è chi sottolinea il pericolo di un suo possibile ruolo in un’ipotetica amministrazione Trump e il grado di influenza che i suoi possano esercitare su questa.
Perché oltre ai novax e gli avanzi dello star system hollywoodiano (Zachary Levi, Rob Schneider e altri soggetti caduti in disgrazia), Kennedy jr. porta in dote a Donald Trump una rete di accaniti filorussi, desiderosi di sabotare la politica di sostegno a Kyjiv della Casa Bianca.
Oltre i vaccini, infatti, Rfk jr. è un nemico dichiarato dell’Ucraina e della sua lotta contro la Russia e le sue sparate sono state riportate con una certa autorevolezza anche in Italia – come nel caso di Antimafia duemila che da mesi riporta le dichiarazioni dell’ex candidato indipendente sulla guerra e le presunte responsabilità del governo statunitense.
La posizione di Kennedy jr. non è dissimile da quella dei cosiddetti “pacifisti” nostrani: prima e dopo il 2022 ha sempre evitato di schierarsi apertamente con il Cremlino (in passato ha definito Vladimir Putin come un «gangster»), ma allo stesso tempo ha ripetuto tutti i cavalli di battaglia della propaganda di Sergey Lavrov, sostenendo l’idea dell’espansione a Est della Nato, la «guerra per procura» e la cessione delle regioni ucraine alla Federazione russa al fine di raggiungere una tregua che soddisfi le richieste di quest’ultima.
Al di là delle posizioni personali, è il network che ruota attorno all’ex candidato a dover preoccupare. Un esempio degno è quello di Scott Ritter. Ex ispettore Onu con un passato da ufficiale dei marines, Ritter ha costruito la propria carriera di opinionista cavalcando il sentimento antiamericano del dibattito post guerra in Iraq, presentandosi come sostenitore delle posizioni contro l’interventismo statunitense e in generale contro l’apparato militare degli Stati Uniti.
La presunta buonafede del suo attivismo viene smontata dal rapporto organico tra Ritter e il Cremlino: il commentatore, già condannato per reati su minori, ha collaborato con Russia Today e Sputnik (i principali organi della disinformazione russa, banditi in Europa dopo l’invasione dell’Ucraina) e ha visitato la Russia più volte dopo il 2022, portando il suo sostegno alla cosiddetta “operazione speciale” nel corso di numerosi incontri istituzionali con le autorità del regime, almeno fino al giugno scorso quando ha dichiarato (senza prove) che il governo statunitense avrebbe «sequestrato» il suo passaporto per impedirgli di tornare a Mosca.
Ritter è più di un utile idiota, è una quinta colonna in Occidente, una delle più attive nel tentativo di inquinare il dibattito sulla questione. Due anni fa il Centro per la contro disinformazione del governo ucraino lo ha inserito nella lista dei propagandisti al soldo di Putin.
Ritter sostiene da due anni che la Russia stia «vincendo la guerra» (un memento mori che ripete con cadenza quasi mensile) e ha dimostrato la sua malafede quando all’inizio del 2024 è volato in Cecenia per arringare i soldati di Ramzan Kadyrov radunati nella piazza principale di Grozny.
Proprio questo mese, Scott Ritter ha pubblicato una foto in compagnia di Robert F. Kennedy jr. al bancone di un pub. Un appoggio informale esplicitato dalla descrizione – «Burgers with Bobby!» – che però sta a esplicitare una convergenza sul tema chiave del rapporto con la Russia.
Questo filone che riunisce complottisti e autoproclamatisi liberi pensatori al soldo del regime di Mosca è stato accolto a braccia aperte dal Gop a trazione trumpiana, sempre più irriconoscibile dal partito di Ronald Reagan, John McCain e Mitt Romney – l’appello del repubblicano Geoff Duncan alla convention democratica in favore di Kamala Harris è stato il più recente esempio di resistenza interna all’egemonia Maga – abbandonati in favore della peggiore classe dirigente mai espressa dalla destra statunitense.
In tanti hanno definito quest’alleanza come l’ennesimo, ridicolo, tentativo di Donald Trump di risalire nei sondaggi corteggiando l’elettorato antisistema, ma il pericolo è più grande di quanto si possa immaginare. Rfk jr. sapeva che quei pochi punti percentuale avrebbero potuto fare la differenza nello scontro a due con i democratici e il favore fatto al candidato repubblicano verrà ripagato con gli interessi.
I russi hanno capito che i partiti minori possono rivelarsi decisivi per portare alla vittoria il proprio uomo di fiducia: dopo aver fatto rientrare Kennedy jr. all’ovile, fermando la potenziale emorragia di voti dell’ala filorussa, coincidenza vuole che questo mese i bot che popolano il fu Twitter stiano spingendo la leader dei Verdi, Jill Stein, per convincere l’elettorato di sinistra a votarla in chiave anti Harris, rea di non rappresentare la vera sinistra.
Manca sempre meno al voto e la macchina di Mosca sta lavorando incessantemente per ottenere ciò che vuole.