di Sara De Carlo
[Riceviamo e pubblichiamo questo intervento
di Sara De Carlo, insegnante di storia e
filosofia in un liceo di Napoli, sulla
situazione attuale della scuola].
È il lontano 1951 quando Isaac Asimov scrive il racconto breve The fun they had in cui immagina la scoperta, a opera di un ragazzino di nome Tommy, di un vecchio libro sul quale viene descritto il sistema scolastico del XX secolo. Tutto si srotola attraverso la sorpresa che Tommy e la sua amica Margie provano nel rendersi conto che nel passato l’istruzione non era affidata a un insegnante elettronico ma a esseri in carne e ossa, che esistevano luoghi comunitari chiamate scuole in cui ci si incontrava e si imparavano cose. E così, a chiosa del racconto, Margie pensa a quanto i bambini potessero aver amato la scuola e chiude: “Chissà come si divertivano!”.
Non è stato necessario arrivare al 2157 – anno in cui Asimov colloca la propria storia –, poiché dall’oggi al domani ci siamo trovati sprofondati nella distopia di quell’ipotesi narrativa. A dire il vero, come tutti i nodi che stanno venendo al pettine in questi giorni di sospensione, è solo una falsa percezione quella che ci fa credere che tutto sia arrivato senza preavviso, che il nuovo si sia disposto davanti ai nostri occhi con forma d’irruzione.
Se è vero che il presente era nell’ordine della barbarie del neoliberismo, del suo violento rifiuto per un pensiero che sia ecosistemico, della sua perversa necessità di procedere arricchendo esiguità e affamando moltitudini, se è vero che la pandemia era stata predetta da virologi, sociologi, antropologi etc. e che oggi i governi, senza nessuna dialettica possibile, decidono di spostare su tutti noi le responsabilità della propria sordità, della propria crisi, è ugualmente vero che la stessa identica dinamica si riproduce nell’ambito della scuola … leggi tutto