Il culto del serpente (iltascabile.com)

di

Tra celebrazione della natura e paure ataviche, 
i serpenti fanno parte dell’iconografia religiosa 
da millenni.

origine del tormentato rapporto tra uomo e serpente – “la bestia più astuta fatta dal Signore Dio”, Genesi 3,1-13 –  si perde nella notte dei tempi. Molti considerano la fobia per i serpenti come una caratteristica innata della specie umana, un tratto selezionato dall’evoluzione per metterci in guardia dal fatto che molti di questi animali sono velenosi. Gli autori di uno studio pubblicato qualche anno fa sul Journal of Experimental Child Psychology, sostengono che non si tratti esattamente di una paura innata: da neonati abbiamo una forma di “attenzione” maggiore nei confronti dei serpenti, che si trasforma in paura solo successivamente, a causa di condizionamenti culturali.

Balaji Mundkur, biologo e storico dell’arte, autore di The Cult of the Serpent: An Interdisciplinary Survey of Its Manifestations and Origins, nel 1983 scriveva che “il fascino e il terrore del serpente non nascono solo dalla paura razionale del veleno, ma anche da stimoli psichici meno comprensibili, radicati nell’evoluzione biologica dei primati […] e dovuti alla mera vista dei suoi movimenti sinuosi” … leggi tutto

Chthulucene sopravvivere in un pianeta infetto (perunaltracitta.org)

di

Il gioco del ripiglino

Per parlare di un testo di Donna Haraway, occorre inizialmente parlare del suo stile. Si potrebbe dire che è immaginifico e creativo anche dal punto di vista del linguaggio che trova in Haraway una contributrice che fornisce nuovi lemmi (anche locuzioni) coniati appositamente per costruirci sopra dei dispositivi di pensiero che possono andare al di là delle potenzialità precedentemente offerte.

Oltre i luoghi comuni, dentro una nuova possibilità di narrazione, per uscire dalle contraddizioni e dai veicoli ciechi nei quali le emergenze ci cacciano. Ma fa ancora di più. Non si tratta di un semplice cambio di paradigma, non si tratta di costruirne uno che una volta per tutte sostituisca quello vecchio.

Si tratta di mettere in piedi una macchina generatrice di racconti che si rinnovano continuamente al mutare dei soggetti e delle relazioni che, più che definirli, li invischiano in ambienti sempre in divenire … leggi tutto

Cos’è tedesco? (doppiozero.com)

di Mario Farina

Nella semifinale dei mondiali di Italia ’90, 
la Germania ha sconfitto ai rigori una 
sorprendente Inghilterra e Kenneth Clarke, 
allora ministro della sanità, ha chiesto a 
Margaret Thatcher “non è terribile aver 
perso coi tedeschi nel nostro sport nazionale?”. 

“Vedi Kenneth” ha risposto il Primo Ministro “loro possono averci battuto nel nostro sport nazionale, ma nel Ventesimo secolo noi siamo riusciti a batterli due volte nel loro sport nazionale”. E sempre a quell’anno risale la freddura di un altro formidabile battutista della politica, Giulio Andreotti, che incalzato sulla sua presunta avversione per i tedeschi aveva risposto “io amo la Germania. La amo a tal punto che ne preferivo due”.

Il periodo in cui sono state pronunciate queste battute – i dintorni del 1990 – non è casuale. Dopo un quarantennio di silenzio dovuto in parte anche alla ferita di quel muro che la attraversava, la Germania, come nazione, tornava a presentarsi al mondo con una orgogliosa pretesa identitaria.

Per la prima volta dopo tanti anni, le strade tedesche avevano visto spuntare timidamente qualche bandiera nazionale e l’afflato patriottico dovuto all’unificazione aveva portato alla riscoperta di un orgoglio che per molti anni era stato sopito, vale a dire l’orgoglio di essere tedeschi. Già. Ma cosa significa essere tedeschi? … leggi tutto

I pericoli dell’ignoranza (doppiozero.com)

di Vanni Codeluppi

Molti autori hanno fatto ricorso all’etichetta “società dell’informazione” per definire il mondo in cui viviamo. 

Forse, però, non è questo il tratto più caratterizzante di tale mondo, anche se è vero che siamo sommersi in misura crescente da notizie e messaggi di ogni genere. Ed è anche vero che, paradossalmente, tutto ciò, anziché dare vita a delle persone preparate e sicure di sé, sta creando delle persone che sono disinformate e disorientate.

La questione dell’ignoranza costituisce però un problema sociale che ha una lunga storia alle spalle e può essere considerato “di sistema”, in quanto è causato da una molteplicità di fattori.

Nessuna meraviglia allora che sia stata affrontata da parte di numerosi studiosi. Si aggiunge adesso Gianni Canova con il volume Ignorantocrazia. Perché in Italia non esiste la democrazia culturale, uscito presso l’editore Bompiani nella collana Agone diretta dallo scrittore Antonio Scurati … leggi tutto

Solidi, archeologia dell’avvenire. Una mostra e un libro di cyop&kaf (napolimonitor.it)

Cinque anni fa, quando ho cominciato a impastare 
queste sculture di terracotta (solo poi annegate 
nel cemento) immaginavo che avrebbero di lì a 
poco invaso discretamente lo spazio urbano. 

Nel frattempo però, quegli scricchiolii che percepivo nel terreno sotto i miei piedi si sono fatti voragine, le modalità che avevo sperimentato in strada venivano mimate nella forma e svilite nel contenuto, prima dalle grandi aziende (sempre attente e voraci), poi dall’associazionismo povero di idee ma in cerca di consenso facile, infine dalla politica istituzionale (in imbarazzante ritardo su tutto).

Il risultato è un caos privo di vita a cui ho provato a sottrarmi, prima restando per quanto possibile immobile, poi provando a immaginare diverse tipologie d’intervento … leggi tutto

“Traduco, traduco, traduco”: Luciano Bianciardi traduttore tra ispirazione e ossessione (treccani.it)

di Flavio Santi

Identikit di un traduttore, ovvero traduttori 
sull’orlo di una crisi di nervi

“Traduco come un mulo”, “Ho la valigia piena del prodotto del mio diuturno battonaggio, carte su carte di ribaltatura”, “devo […] tradurre la solita valanga di roba”, “nel mio lavoro quotidiano di sterro traduttorio”, “lavorare è diventata una specie di intossicazione”, “Non tutti forse pensano sempre alla fatica del traduttore”, “Traducevo a ritmo infernale decine e decine di libri”, “Traduco, traduco, traduco”.

Probabilmente in tutta la storia della letteratura non esiste un altro scrittore che come Luciano Bianciardi abbia dedicato tanta e tale attenzione a quella che, di fatto, è l’operazione più simile alla scrittura in proprio, la traduzione – fino a scrivere un romanzo in cui la traduzione svolge un ruolo cruciale, La vita agra, con l’incipit del capitolo VIII che è addirittura un breve ma densissimo trattato di traduttologia.

Una vera e propria ossessione (sul cui quadro psicologico torneremo dopo), dettata da indubbie ragioni pratiche (Bianciardi viveva di traduzioni), di cui – grazie soprattutto al giornalista Pino Corrias (Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano (link) e alla compagna Maria Jatosti – possiamo seguire i vari sviluppi. I difficili inizi: “Fu una fatica pazzesca … leggi tutto

Perché i sogni nei romanzi ci annoiano (internazionale.it)

di

Gentile bibliopatologo,
quando in un romanzo trovo il racconto di un sogno, 
lo salto a piè pari. Che noia quelle digressioni 
inutili che nulla aggiungono alla narrazione! 
E quando scopro di aver dedicato tempo a un sogno, 
perché l’arguto scrittore lo svela solo alla fine, 
mi prende una rabbia…

– Giulia

Cara Giulia,
ti confesso che ho fatto di peggio: ho letto l’Interpretazione dei sogni di Freud aggirando il più possibile le descrizioni dei sogni dei pazienti. Temerario, vero? Il fatto è che i sogni altrui sono noiosissimi. Ma per capire cosa ci rende allergici ai sogni narrati nei libri, partiamo dal chiederci perché siano così frustranti nella vita cosiddetta reale, quando a raccontarceli è un amico.

Al mattino viene da noi tutto raggiante, gli occhi ancora smarriti nella luce esitante del dormiveglia, come se avesse appena visitato un paese meraviglioso … leggi tutto

OK, BOOMER! Per una vecchiaia meno seria (doppiozero.com)

di Mauro Portello

Fermo restando che “rendere la vita meno seria è 
una fatica immane e una grande arte”, come dice 
John Irving, vale comunque la pena insistere 
nella riflessione sulla vecchiaia per la semplice 
ragione che solo facendolo possiamo pensare di 
riuscire a escogitare qualcosa di meglio che ce 
ne possa difendere. 

Chissà, magari proprio nella vaghezza del qualcosa sta il “meno serio” di cui abbiamo bisogno.

“Ok, boomer!” si è sentito rispondere sarcasticamente un anziano deputato neozelandese qualche settimana fa dalla sua giovane collega venticinquenne Chlöe Swarbrick che intendeva dire “Adesso tocca a noi”. E così il baby-boomer diventa il nuovo soggetto sulle spalle del quale dovrà compiersi il salto evolutivo della concezione della vecchiaia, piaccia o no. Con la cultura disinvolta, spregiudicata e ribelle della sua umanità rock dovrà affrontare la sfida.

E, per questo in particolare, sono convinto che François Jullien abbia ragione quando dice che “quel che viene prima è la dimensione culturale”, che ciò che si pensa, oggi, può essere più determinante di ciò che si fa, più di quanto si creda. Personalmente sono convinto che la nuova vecchiaia ne sia un’importante verifica … leggi tutto