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L’altra faccia dei poteri (e dello scrittore): Luca Rastello giornalista (labalenabianca.com)

di Andrea Brondino

È stata da poco pubblicata da Chiarelettere una 
raccolta urticante,

sapientemente curata da Giorgio Morbello: si chiama Uno sguardo tagliente: articoli e reportage 1986-2015 e vi si trova il meglio della scrittura giornalistica di Luca Rastello. Sbandierarlo come libro ‘necessario’ sarebbe poco più di un truismo, in particolare in una recensione. Eppure, le pagine di Uno sguardo tagliente suonano necessarie per chiunque senta la mancanza della voce di Rastello.

Per chiunque fantastichi su che cosa avrebbe espresso oggi, con la sua spietata esattezza, sull’America di Trump e post-Trump, o sul governo Draghi e l’epidemia, o sul ritiro dell’Occidente dall’Afghanistan, la raccolta offre indizi significativi. Per chiunque sia interessato, d’altra parte, alla scrittura letteraria rastelliana (fenomeno non ancora del tutto decifrato, in cui il lavoro sul linguaggio assume senza dubbio un ruolo dirimente), Uno sguardo tagliente offre un riferimento ineludibile, anche per differentiam. Ci arriveremo alla fine.

Molti conoscono Rastello per i suoi due romanzi più noti (il celebrato Piove all’insù, il controverso I Buoni), ma alcuni potrebbero ignorare che Rastello è stato anche, o forse soprattutto, giornalista. Certo, l’interesse per letteratura e dintorni connotava esplicitamente il suo lavoro fin dagli esordi su «L’Indice dei Libri del Mese». Le bocciature delle antologie giovanilistiche curate da Pier Vittorio Tondelli, un autore «da troppo tempo giovane» (p. 15), oltre che dell’ideologia guerrafondaia del Peter Handke commentatore della guerra in Serbia, testimoniano dell’inclinazione costante di Rastello per la polemica fondata e per la letteratura come metodo non ingenuo d’intervento nel mondo.

In questo senso, Rastello è per complessità e assenza di moralismo tanto lontano dai cantori dell’impegno in favor di telecamera quanto lo è dalle sirene omeriche che ancora tessono le lodi della letteratura come torre d’avorio.

Dall’opera giornalistica, Rastello traeva molti spunti per l’opera letteraria. Si sa che è proprio da un reportage per «Diario della settimana» sui bambini delle fogne di Bucarest (Il clown del sottosuolo, per fortuna presente tra gli articoli antologizzati in Uno sguardo tagliente) che nascerà lo spunto per la realizzazione, molti anni dopo, de I Buoni.

Prima nel «Diario» diretto da Enrico Deaglio, poi nel gruppo de «La Repubblica», Rastello si occupa degli argomenti e delle zone del mondo più disparate: dai primi squilli del movimento No Tav in Val di Susa alle vie afghane e tagike dell’eroina; dal digiuno forzato dei nordcoreani alle meraviglie di una vacanza famigliare in Amazzonia. I luoghi sono, non a caso, tra i protagonisti più evidenti del libro.

Una figura dalla difficile definizione, l’ipotiposi, contraddistingue la descrizione di luoghi e contesti in Uno sguardo tagliente … leggi tutto

Bossi: la solitudine del vitellone (doppiozero.com)

di Marco Belpoliti

Nel 1991 Umberto Bossi è stato eletto da quattro 
anni senatore della Repubblica quando oltre Manica, 

forse memori dell’indipendentismo irlandese, s’accorgono di questo cinquantenne che si è già fatto notare per i suoi modi inusuali e per le sue espressioni verbali accese in comizi vari. Così un giornale inglese chiede al fotografo della Magnum Ferdinando Scianna di realizzare un servizio sul Senatùr di Varese. Scianna va nella città lombarda per incontrarlo nella sede del movimento autonomista.

È nato a Bagheria e da anni vive in Lombardia, a Milano. Niente di più lontano dalla sua cultura di questo esagitato politico dai toni irriguardosi e provocatori: “Roma ladrona”, “Forza Etna” scrivono i militanti leghisti sui viadotti e sui piloni delle autostrade e superstrade.

Allora la Lega, che poi cambierà più volte nome, ma non pelle, non è ancora ricca come diventerà in seguito e si fa pubblicità con pennelli intinti di vernice bianca e manifesti dalla grafica inconsueta, che ricorda quella degli anni Quaranta e Cinquanta della Democrazia Cristiana anticomunista. Bossi si dichiara all’epoca un antifascista; non è ancora nata l’alleanza governativa con gli ex-fascisti del Movimento sociale trasformato in Alleanza Nazionale.

La prima cosa che Bossi chiede al fotografo è: da dove viene? E aggiunge: per caso lei è calabrese? Scianna gli risponde che è siciliano del Nord, perché, aggiunge con una battuta, da lui ci sono anche i siciliani del Sud, reputati degli scansafatiche.

Il Senatùr sorride e gli dice che sua moglie è di origine siciliana. Un po’ di Sud anche a casa sua. Scianna ha confessato a distanza di tempo che Bossi non gli era piaciuto e che provava a metterlo in cattiva luce, forse cercando tratti negativi nel suo volto mentre lo guardava in macchina. Scatta molti primi piani con una luce che mostra ombre sinistre sul viso del Senatùr.

Poi gli chiede di uscire per strada, per fare degli scatti in città. Bossi passeggia; si ferma da un mendicante e gli fa l’elemosina; molte persone lo fermano e chiedono al fotografo di ritrarle con lui: una foto ricordo con il loro idolo. Prende anche un fiore da una fioraia e si fa ritrarre col fiore in mano. Ma la foto più bella, e probabilmente emblematica, è quella che Scianna gli scatta in un bar.

Prima seduto al tavolino: Bossi si mette in posa in modo naturale, prende in mano un giornale. Quindi si alza e va al banco per bere un caffè … leggi tutto

Il libraio di Kabul che vuole restare aperto nonostante i talebani (rivistastudio.com)

«Non mi fermerò, perché il mio lavoro non è contro 
nessun governo. 

Ho lavorato sotto i talebani prima e obbedirò ancora una volta, ma continuerò a lavorare, sono pronto ad accettare i rischi, anche il carcere o la tortura.

Questo negozio è cresciuto e fiorito nel corso dei decenni: è una raccolta di storia». Shah Muhammad Rais è un famoso libraio afghano, proprietario di un negozio che raccoglie quella che è considerata una delle più grandi collezioni private di libri sull’Afghanistan, e già divenuto celebre in tutto il mondo con la pubblicazione del bestseller internazionale del 2002 The Bookseller of Kabul di Åsne Seierstad, che ritrae proprio Rais e la vita a Kabul.

Aperto dal 1974, anno della fondazione della prima Repubblica del Paese, la libreria offre 20 mila titoli dedicati alla storia dell’Afghanistan, frutto del duro lavoro di Rais negli anni sotto vari regimi, ai quali dice di «essere abituato», motivo per cui è determinato a proseguire il suo lavoro.

«Anche i sovietici erano intransigenti», ha raccontato a The National «Hanno censurato i miei libri e mi hanno messo in prigione per un anno per aver raccolto i decreti del Mullah Omar e di altri giornali jihadisti che ho acquistato in Pakistan. Quando sono stato rilasciato, ho levato la polvere dalla mia biblioteca e ho continuato il mio lavoro».

A preoccuparsi sono soprattutto i membri più giovani dello staff della libreria che, a differenza di Rais, non ricordano il precedente regime talebano e sono nervosi, considerando che per molti di loro la libreria, oltre che essere fonte di sostentamento, è stata parte integrante della propria formazione … leggi tutto

UN DRAMMATICO E GLORIOSO AFFRESCO NIGERIANO. PRUDENTI COME SERPENTI DI LOLA SHONEYIN (minimaetmoralia.it)

di

Quando uscì per la prima volta in Italia Prudenti 
come serpenti, edito da 66thand2nd con la 
traduzione di Ilaria Tarasconi,

l’autrice Lola Shoneyin intervenne al festival romano Letterature per parlare della situazione della Nigeria anche attraverso la storia della sua famiglia. Suo nonno era un re yoruba, abbracciò la poligamia, ebbe cinque mogli. I genitori di Lola appartenevano a estrazioni sociali diverse, si sposarono a Londra negli anni Sessanta e le permisero di formarsi nel Regno Unito. Shoneyin sceglierà di tornare nei luoghi dei suoi avi per studiare Letteratura inglese e dare una forma narrativa all’esperienza.

Le tensioni domestiche del quotidiano forgiarono la sua visione delle relazioni sin da tenera età, portandola negli anni a definire una voce anzitutto poetica per descrivere le crepe della società nigeriana.

Ben presto la poesia si impone in Shoneyin come strumento primario di denuncia e al contempo di esplorazione sensibile. I suoi versi immortalano le contraddizioni insite nell’impostazione di stampo cristiano, che influiscono nell’accentuare gravi disparità di genere e definiscono il significato dell’emancipazione nell’incapacità condivisa di rivendicare diritti non assimilati.

Poco più che ventenne si scaglia contro le storture generate da alcune istituzioni tradizionali, indaga il significato della violenza, le sue degenerazioni in una società patriarcale, la concezione della donna e la sua definizione in base alla possibilità o meno di procreare.

Sin dall’uscita di So All The Time I was Sitting on an Egg sino a For the Love of Flight, le sue pagine furenti si rivelano un potente catalizzatore della sua ira: l’urgenza diventa ben presto quella di cristallizzare quel presente di soprusi e abulia.

La poesia è il manifesto del pensiero di Shoneyin, la misura di un dolore che preme e che invoca un’esplosione per smuovere le coscienze e innescare, anzitutto nelle donne, una presa d’atto della necessità di contribuire con maggior coraggio a un reale cambiamento.

Che si tratti del verso, della narrazione o dell’intervento critico, l’impegno di Shoneyin come intellettuale non si riduce alla mera raffigurazione della violenza, ma intende travalicare l’indignazione. Il modo in cui affronta i grandi temi della contemporaneità e indugia, ad esempio, sulle efferatezze compiute da Boko Haram, ha lo scopo di imporre immagini che devono essere osservate nella loro durezza per non relegarle all’ambito continentale.

In tale prospettiva l’indagine sociale di Shoneyin si sofferma sul modo strumentale di usare un radicamento ai principi cristiani per fomentare pregiudizi e disuguaglianze … leggi tutto