Solidi, archeologia dell’avvenire. Una mostra e un libro di cyop&kaf (napolimonitor.it)

Cinque anni fa, quando ho cominciato a impastare 
queste sculture di terracotta (solo poi annegate 
nel cemento) immaginavo che avrebbero di lì a 
poco invaso discretamente lo spazio urbano. 

Nel frattempo però, quegli scricchiolii che percepivo nel terreno sotto i miei piedi si sono fatti voragine, le modalità che avevo sperimentato in strada venivano mimate nella forma e svilite nel contenuto, prima dalle grandi aziende (sempre attente e voraci), poi dall’associazionismo povero di idee ma in cerca di consenso facile, infine dalla politica istituzionale (in imbarazzante ritardo su tutto).

Il risultato è un caos privo di vita a cui ho provato a sottrarmi, prima restando per quanto possibile immobile, poi provando a immaginare diverse tipologie d’intervento … leggi tutto

“Traduco, traduco, traduco”: Luciano Bianciardi traduttore tra ispirazione e ossessione (treccani.it)

di Flavio Santi

Identikit di un traduttore, ovvero traduttori 
sull’orlo di una crisi di nervi

“Traduco come un mulo”, “Ho la valigia piena del prodotto del mio diuturno battonaggio, carte su carte di ribaltatura”, “devo […] tradurre la solita valanga di roba”, “nel mio lavoro quotidiano di sterro traduttorio”, “lavorare è diventata una specie di intossicazione”, “Non tutti forse pensano sempre alla fatica del traduttore”, “Traducevo a ritmo infernale decine e decine di libri”, “Traduco, traduco, traduco”.

Probabilmente in tutta la storia della letteratura non esiste un altro scrittore che come Luciano Bianciardi abbia dedicato tanta e tale attenzione a quella che, di fatto, è l’operazione più simile alla scrittura in proprio, la traduzione – fino a scrivere un romanzo in cui la traduzione svolge un ruolo cruciale, La vita agra, con l’incipit del capitolo VIII che è addirittura un breve ma densissimo trattato di traduttologia.

Una vera e propria ossessione (sul cui quadro psicologico torneremo dopo), dettata da indubbie ragioni pratiche (Bianciardi viveva di traduzioni), di cui – grazie soprattutto al giornalista Pino Corrias (Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano (link) e alla compagna Maria Jatosti – possiamo seguire i vari sviluppi. I difficili inizi: “Fu una fatica pazzesca … leggi tutto

Perché i sogni nei romanzi ci annoiano (internazionale.it)

di

Gentile bibliopatologo,
quando in un romanzo trovo il racconto di un sogno, 
lo salto a piè pari. Che noia quelle digressioni 
inutili che nulla aggiungono alla narrazione! 
E quando scopro di aver dedicato tempo a un sogno, 
perché l’arguto scrittore lo svela solo alla fine, 
mi prende una rabbia…

– Giulia

Cara Giulia,
ti confesso che ho fatto di peggio: ho letto l’Interpretazione dei sogni di Freud aggirando il più possibile le descrizioni dei sogni dei pazienti. Temerario, vero? Il fatto è che i sogni altrui sono noiosissimi. Ma per capire cosa ci rende allergici ai sogni narrati nei libri, partiamo dal chiederci perché siano così frustranti nella vita cosiddetta reale, quando a raccontarceli è un amico.

Al mattino viene da noi tutto raggiante, gli occhi ancora smarriti nella luce esitante del dormiveglia, come se avesse appena visitato un paese meraviglioso … leggi tutto

OK, BOOMER! Per una vecchiaia meno seria (doppiozero.com)

di Mauro Portello

Fermo restando che “rendere la vita meno seria è 
una fatica immane e una grande arte”, come dice 
John Irving, vale comunque la pena insistere 
nella riflessione sulla vecchiaia per la semplice 
ragione che solo facendolo possiamo pensare di 
riuscire a escogitare qualcosa di meglio che ce 
ne possa difendere. 

Chissà, magari proprio nella vaghezza del qualcosa sta il “meno serio” di cui abbiamo bisogno.

“Ok, boomer!” si è sentito rispondere sarcasticamente un anziano deputato neozelandese qualche settimana fa dalla sua giovane collega venticinquenne Chlöe Swarbrick che intendeva dire “Adesso tocca a noi”. E così il baby-boomer diventa il nuovo soggetto sulle spalle del quale dovrà compiersi il salto evolutivo della concezione della vecchiaia, piaccia o no. Con la cultura disinvolta, spregiudicata e ribelle della sua umanità rock dovrà affrontare la sfida.

E, per questo in particolare, sono convinto che François Jullien abbia ragione quando dice che “quel che viene prima è la dimensione culturale”, che ciò che si pensa, oggi, può essere più determinante di ciò che si fa, più di quanto si creda. Personalmente sono convinto che la nuova vecchiaia ne sia un’importante verifica … leggi tutto

La religione, l’Africa e l’Europa (confronti.net)

di John Mbiti. Filosofo della religione, scrittore, prete anglicano.

(intervista a cura di Mauro Belcastro)

Nella società occidentale, sono molte le persone a 
provare diffidenza e disagio quando si tratta di 
parlare di Dio e della religione. Queste parole 
sembrano provocare una reazione negativa nella 
società europea. Il che è completamente l’opposto 
di ciò che succede tra le popolazioni africane, 
dove le persone parlano di Dio ampiamente e sovente.

John Mbiti è stato un filosofo della religione, scrittore, prete anglicano. Nato in Kenya, ha insegnato in diverse università, diretto istituti ecumenici, ed è stato professore emerito all’Università di Berna in Svizzera.

Le sue pubblicazioni trattano di cristianesimo, religioni africane, teologia africana, asiatica, ed ecumenismo. Lo abbiamo incontrato poco prima della sua scomparsa, avvenuta lo scorso 5 ottobre all’età di 87 anni.

Caro Professor Mbiti, secondo lei, che immagine hanno oggi gli europei della religione? C’è un’immagine comune di religione in Europa?
No, in Europa non c’è un’immagine comune di religione. Per lo meno io non la vedo. Nella società occidentale, sono molte le persone a provare diffidenza e disagio quando si tratta di parlare di Dio e della religione.

Queste due parole sembrano provocare una reazione negativa nella società europea. Il che è completamente l’opposto di ciò che succede tra le popolazioni africane, dove le persone parlano di Dio ampiamente e sovente. In tutte le lingue e le popolazioni d’Africa ci sono parole africane per riferirsi a Dio … leggi tutto

«Letteratura come forma di vita, e in fin dei conti come destino» (labalenabianca.com)

di Giacomo Micheletti

Su Gianni Celati (Riga40) e “Narrative in fuga”

«Lui lascia andare le frasi per vedere cosa si inventano»

(dalla Presentazione di Henri Michaux)

Nella fotografia che campeggia sulla copertina del nuovo numero di «Riga» a lui dedicato (il 40°, nuova edizione accresciuta del volume n. 28 uscito nel 2008 per la storica collana di Marcos y Marcos, di recente rilevata da Quodlibet) un Gianni Celati poco più che quarantenne è intento a prendere appunti seduto a un tavolaccio di legno, tra l’erba alta.

Di sbieco, la gamba destra issata sulla panca, qualcosa – forse una formica di passaggio, forse il polsino sbottonato della camicia – sembra aver momentaneamente catturato la sua attenzione, il suo sguardo: la mano sinistra poggia sul quaderno aperto, tagliato a metà dall’inquadratura; la destra impugna sicura la penna blu, come un’antenna in attesa di una qualche fantasia portata dal ventoleggi tutto

IRRITABILE (medusa)

di Matteo De Giuli

Nel 1974, nove anni dopo il premio Strega vinto 
con La macchina mondiale, Paolo Volponi pubblicò 
Corporale, un anti-romanzo caotico e frammentario 
che insegue le paranoie del protagonista, 
Gerolamo Aspri, ex dirigente industriale con 
l'ossessione della bomba atomica. 

Come scrive Emanuele Zinato: “in realtà la bomba è simbolo della nuova insopportabile società tecnocratica, a cui il protagonista cerca di sottrarsi”.

La metafora della catastrofe imminente di Corporale diventa piena apocalisse due anni più tardi, con Il pianeta irritabile, una favola fantascientifica che racconta del viaggio impossibile di una scimmia, un’oca, un elefante e un nano che, nel 2293, investiti da un’esplosione atomica colpevole di avere spazzato il circo dove lavorano e vivono, si mettono in marcia alla ricerca di un nuovo mondo … leggi tutto