Emanuele Dattilo ha scritto un grande libro.
Si intitola Il dio sensibile, e come dice senza giri di parole il sottotitolo è un Saggio sul panteismo.
La prima scoperta che si fa, man mano che si avanza nella lettura, è che il panteismo è il tema dei temi, uno dei sentieri filosofici sui quali gran parte dei contemporanei si sta avventurando, specialmente negli ultimi anni. Solo che in tanti lo imboccano senza saperlo, senza dominare la materia, prendendo strade secondarie, andando in palestra o coltivando fiori esotici, cambiando idea a metà percorso, usando splendide parole di tradizioni altre, ma ignorando quelle studiate a scuola – va detto che in tanti casi sono impronunciabili e geniali locuzioni latine altomedioevali.
Il panteismo, dunque, è pienamente in linea con lo spirito del tempo: è di moda, ed è persino utile per appassionarsi agli algoritmi di ricerca e alla questione ecologica, peccato che lo sanno in pochi.
La seconda scoperta che si compie divorando queste pagine è che Neri Pozza non poteva scegliere una copertina migliore di Tramonto a Turners Cove. Perché, le rivelazioni che Dattilo ci accompagna a vivere con una pazienza e una cultura rare, producono in noi una sensazione simile a quella che secondo la leggenda sperimentò il pittore inglese Turner quando si fece legare all’albero maestro di una nave per osservare la tempesta come nessuno l’aveva mai vista.
Cioè intuire che la comprensione più completa del mondo – di una tempesta o di un tramonto se sei William Turner – alle volte è inconciliabile con la distinzione, con la pretesa di isolare un cielo da un mare, per esempio. Saper dominare la luce nella pittura, al più alto grado possibile, non significa usare la propria tecnica per chiarire o per individuare, ma per confondere. Significa notare che in certe ore del giorno e della notte persino il paesaggio più complicato da dipingere non è altro che una regione indefinita di luce diffusa. E che questa rappresentazione rivoluzionaria non solo non è astratta, ma è la più concreta e verosimile. È allora che diventa visibile come “tutto è in tutto”, che è uno dei pochi adagi diffusi e noti del panteismo.
«Il panteismo è una corrente che attraversa come un vento il pensiero» si legge quasi in apertura, e lo attraversa come un vento perché come un vento lo sconvolge. Nelle prime pagine Dattilo mostra che non c’è quasi filosofo panteista che non abbia suscitato antipatie illustri, che non sia stato equivocato, censurato, esiliato, o addirittura ucciso. Perciò, nonostante il suo sia un saggio senza spinte romanzesche, per le prime duecento pagine ci si trova dentro a un giallo.
La tensione narrativa, volontaria o meno, è fortissima. Non si procede nella lettura solo per abbeverarsi all’intelligenza dell’autore, ma anche per curiosità, per sapere come mai gli scritti di Davide di Dinant (1160-1217) sono sopravvissuti a stento, o perché Almarico era considerato eretico … leggi tutto