Elogio del romanzo anti-borghese (jacobinitalia.it)

di Meagan Day Rachel Kushner

La scrittrice Rachel Kushner, finalista al 
Booker Prize, su Nanni Balestrini, gli anni 
Settanta italiani, 

il superamento della separazione tra attivismo controculturale e politico, le rivolte antirazziste negli Usa e Sanders, questione palestinese

The Hard Crowd di Rachel Kushner raccoglie vent’anni di saggi su argomenti che vanno dalle corse motociclistiche a Marguerite Duras, dai poeti itineranti che popolavano il mondo dei suoi genitori bohémien alla scena sociale spigolosa in cui viveva da giovane a San Francisco.

Mentre Kushner evita consapevolmente l’approccio didattico, il suo lavoro si basa ripetutamente su temi politici, sia che si tratti della sinistra rivoluzionaria italiana nei turbolenti anni Settanta, come nel suo romanzo I lanciafiamme; di incarcerazione di massa in California, come in Mars Room; o della vita dei palestinesi in un campo profughi a Gerusalemme, come in The Hard Crowd.

Meagan Day di Jacobin discute con Kushner della scrittura borghese e del suo malcontento, degli intrecci dell’Autonomia italiana, dell’umiliazione israeliana inflitta ai palestinesi, dei successi e dei fallimenti della campagna di Bernie Sanders e dello spirito rivoluzionario della rivolta per George Floyd.

L’intervista si svolge mentre Israele continua la sua violenta offensiva contro i civili palestinesi. «La logica dell’occupazione militare, che interrompe la libertà di movimento e l’obiettivo militare dichiarato di far sentire ogni palestinese braccato e inseguito, è stata totalmente travolgente – dice Kushner a proposito delle condizioni di vita dei profughi palestinesi a Gerusalemme – Sono convinta che chiunque abbia visto quello che ho visto io non sarebbe in grado di continuare a credere in Israele in quanto stato etnico».

Cominciamo con il tuo amico Nanni Balestrini. Nel tuo saggio su di lui in The Hard Crowd, scrivi che il suo stile «sovverte il fantomatico romanzo borghese». Che cosa vuoi dire?

Il romanzo è un esito della letteratura del diciannovesimo secolo che serve a fare luce sulle vite private e individuali della borghesia e a intrattenere la borghesia stessa. La sua linea di orizzonte di lotta tende a essere un ostacolo all’accumulazione della piccola borghesia, a seguito del crollo della monarchia. Come nel lavoro di [Honoré de] Balzac, i cui romanzi sono incredibilmente viziosi e divertenti nei confronti della morale sempre più sordida dei diversi personaggi che cercano di farsi strada nella nuova Francia post-rivoluzionaria.

Nel ventesimo secolo, ovviamente, il romanzo borghese è andato in frantumi ed è arrivato il modernismo. Tuttavia, sintetizzando molto, c’è una certa logica formale conservatrice che ha ancora una presa sulla forma del romanzo.

Ciò probabilmente ha a che fare con la natura totalizzante del capitalismo, dove l’accumulazione non è più vista come qualcosa di nuovo e volgare, come ai tempi di Balzac, ma piuttosto come l’unica prospettiva … leggi tutto

Jean Ziegler morde ancora (carmillaonline.com)

di Alessandro Barile

Jean Ziegler è autore fin troppo noto, 
anche in Italia.

Il suo ruolo politico all’Onu e la sua attività di divulgatore al confine tra sociologia e politica, ne fanno uno dei più apprezzati narratori dei guasti della globalizzazione. Molti dei suoi libri si prestano infatti ad un immediato uso militante, alimentando le ragioni degli sconfitti del liberismo, accomunando la sua fortunata verve polemica a quella di altri autori-simbolo della stagione no-global: Naomi Klein, Edoardo Galeano, gli scritti politici di Noam Chomsky. Almeno con gli altri due autori anglosassoni Ziegler condivide anche l’orizzonte utopico di fondo, di matrice libertaria, vagamente terzomondista, sospettosa verso le esperienze socialiste di ieri e di oggi.

Il tramonto della stagione dei controvertici dei primi anni Duemila ha ridimensionato la fortuna pubblica di molti di questi autori. Ziegler, invece di cedere al pessimismo della ragione, in ogni sua pubblicazione trasuda ottimismo verso l’avvenire, le giovani generazioni, i nostri figli, che riusciranno – sembra continuamente dirci – laddove abbiamo fallito noi e i nostri padri. Anche questo spiega il suo ultimo lavoro tradotto in italiano, questo Capitalismo spiegato a mia nipote che si inserisce in un suo filone di pubblicazioni dal taglio simile e dagli obiettivi invariati: spiegare nella forma più semplificata possibile perché è giusto abbattere il capitalismo.

L’autore non può essere certo accusato di ambiguità. Alla soglia dei novant’anni non ha remore nel dichiarare che «il capitalismo non può essere ridefinito. Deve essere distrutto. Totalmente, radicalmente, affinché si possa concepire un’organizzazione sociale ed economica del mondo del tutto inedita».

E ancora: «ciò che ci viene richiesto, quel che ci si aspetta dalla tua generazione, è la distruzione del capitalismo, il suo superamento» (p. 107) … leggi tutto

Jean Ziegler, Il capitalismo spiegato a mia nipote (nella speranza che ne vedrà la fine), Meltemi, 2021, pp. 124, € 12,00.

(Markus Spiske)

Come stanno gli adolescenti? (doppiozero.com)

di Anna Stefi

Una conversazione con Gustavo Pietropolli Charmet

Incontro Gustavo Pietropolli Charmet rigorosamente a distanza, come in dad, dietro a uno schermo. Non ha bisogno di grandi presentazioni: è noto il suo lavoro con gli adolescenti e i suoi libri credo siano lettura cui non possa sottrarsi chiunque lavori – insegnante, formatore, psicologo, educatore – con i ragazzi. Ho letto il suo Il motore del mondo, uscito ad agosto e già recensito su queste pagine, ma la ragione per cui gli domando un appuntamento è che, come ho raccontato, sono in un vuoto di senso che rende difficile il mio tempo in classe e mi fa pensare urgente la necessità di interrogare la scuola, quanto accaduto, dove siamo e cosa questo tempo ci ha mostrato in modo più evidente di prima.

AS: Professore, come stanno gli adolescenti? Come è stato questo tempo di restrizioni, di frequenza con i coetanei ridottissima, a stretto contatto con la famiglia: cosa ha determinato?

GPC: Come stanno? La pandemia ha fatto due vittime: gli anziani li ha fatti fuori, e gli adolescenti li ha malmenati. Non lei direttamente, ovviamente, perché gli adolescenti non hanno nemmeno visto la morte e la malattia atroce; in primo piano hanno visto le misure preventive, le restrizioni, le rinunce, tutte apparentemente rivolte a loro: calcio, concerti, sport. Ogni cosa. Chiusi in casa. Tutto questo, in una famiglia, generalmente si definisce “castigo”: impedire di uscire, impedire l’allenamento di calcio, il vedere gli amici, sono dei castighi. Castigo, dunque? E per che motivo?

Non si trattava di un castigo, sono state date delle regole, apparentemente insensate, che dovevano essere seguite. Certo è che queste regole hanno comportato deprivazioni importanti e significative. In famiglia non mi sembra che ci siano stati problemi, globalmente, la famiglia contemporanea è una famiglia a scarso contenuto etico, prevale più l’attenzione alla relazione che la regola, l’occasione di conflitto è stata dunque tollerabile.

Certo, c’è stato un lungo tempo nella cameretta e un riflusso verso attività di marca regressiva: cucina, recupero della gastronomia, giochi in scatole, repertorio di cose dismesse tornate di moda per il maggior tempo a disposizione.

Il gruppo è rimasto accessibile – per loro un amico virtuale è un amico reale – e con la famiglia è stata una sorta di tempo di vacanza prolungato, con genitori a casa tutto il giorno. Socialmente invece le privazioni sono state molte, gli è stato impedito il movimento, il divertimento, il ballo, ma anche cose importanti, iniziatiche: il concerto in centomila a San Siro è un’occasione importante, che reimmerge nel clima della propria generazione. La colonna sonora diventa un’esperienza reale, con la sua ritualità … leggi tutto

(Cookie the Pom)

1984 DI ORWELL: CROCE, TOGLIATTI E l’ANTITOTALITARISMO IN ITALIA (unacitta.it)

di Massimo Teodori

Con la scadenza dei diritti d’autore, a 
settant’anni dalla scomparsa di George Orwell 
il 21 gennaio 1950, 

la stampa e l’editoria italiane (Sellerio, Einaudi, Bompiani, Feltrinelli, Garzanti, Fanucci, Newton Compton, Marsilio e Ferrogallico, a fumetti) si sono precipitate a pubblicare articoli, traduzioni e nuove edizioni delle sue opere, con una particolare attenzione per Animal Farm (1945) e Ninenteen Eighty-Four (1949) che anche da noi, quest’anno, hanno avuto un buon successo (secondo “Post-libri” 78.000 copie vendute nel 2020), tuttavia non confrontabili con le diffusioni negli altri grandi paesi europei. è perciò opportuno interrogarsi su cosa significhi il nostro recente interesse per i libri del polemista inglese, paragonato alla timida accoglienza che in passato ebbero in Italia le stesse opere di intenso sapore anticomunista.

Negli anni Trenta era già nota la storia di Orwell (nato nel 1903), la cui fama letteraria e politica si diffuse ancor più nel dopoguerra. Giovane funzionario di polizia dell’impero britannico in Birmania, ne uscì ben presto per dedicarsi alla scrittura orientata sul proletariato e le classi diseredate dell’asse Londra-Parigi, nella stagione in cui si precisavano le sue idee eretiche di socialista umanitario. L’esperienza che più ne aveva segnato l’orientamento politico era stata la guerra civile spagnola dove combatté nelle file dei libertari del partito trotzkista Poum, in contrasto con l’altra ala dell’antifranchismo, le brigate comuniste pilotate da Mosca. Il saggio Homage to Catalonia (London, 1938) scritto durante la guerra civile, conteneva la critica allo stalinismo osservato sul campo di battaglia, dove combattevano anche altri intellettuali non comunisti come André Malraux, Arthur Koestler, Randolfo Pacciardi, Simone Weil e Nicola Chiaromonte.

Avevano tutti capito che l’antifascismo si presentava con due facce tra loro in conflitto, quella democratica socialista e libertaria e quella comunista autoritaria.
In una nota autobiografica del 1946, “Perché scrivo”, Orwell, guidato da una empirica visione della realtà fuori da ogni schema ideologico, rese espliciti i principi ispiratori della sua attività di saggista dichiarando: “Io comunque, non sono un vero romanziere”:

La Guerra civile spagnola e altri avvenimenti del 1936-37 hanno contribuito a farmi prendere una decisione, e da allora ho capito da che parte stavo. Ogni riga del lavoro serio che ho prodotto dal 1936 l’ho scritta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e per il socialismo democratico così come lo intendo io … leggi tutto