La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti”, scrive Trevi.
“Consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne”. Il motivo è semplice. Quando scriviamo di un morto, il suo spettro si manifesta con una presenza ingombrante, quasi tangibile, e non in un debole miraggio, come può succedere invece in un sogno, o nel pensiero. In Due vite Trevi evoca così gli amici scrittori Rocco Carbone, scomparso in un lampo, sbattendo con il motorino contro una macchina parcheggiata in doppia fila, e Pia Pera, morta invece lentamente di SLA.
Trevi ricorda le serate e i viaggi passati tutti e tre insieme. Ripercorre le carriere dei due amici, le loro qualità umane e letterarie, le rispettive storie d’amore, i litigi e i lenti riavvicinamenti. Rocco Carbone ne emerge come una persona eternamente insoddisfatta, con un carattere “per niente facile”, ostinato; uno che, da autore, cerca un ordine razionale che nella vita gli sfugge: usa la scrittura come una cesoia per tagliare e levigare la realtà nell’allegoria.
Il suo ultimo libro, L’apparizione, (“quello che per comune consenso si può definire il suo capolavoro”) sarà un romanzo simbolico sul disturbo mentale, la psicosi, la mania bipolare di cui soffriva … leggi tutto