Il governo succube del bullismo della Coldiretti (ilfoglio.it)

di LUCIANO CAPONE

Aggredisce gli oppositori, minaccia le istituzioni, 
diffama i concorrenti e l'industria.

Il delirio di onnipotenza di Gesmundo e Prandini, legittimato dal rapporto privilegiato con Lollobrigida, ha mandato in pezzi l’agroalimentare italiano

Si fa presto a dire “lavoro per l’armonia”come ha dichiarato al Foglio Francesco Lollobrigida. La realtà è di un “sistema Italia” a brandelli, che il ministro dell’Agricoltura farà molta fatica a ricucire. Anche perché la situazione gli è un po’ sfuggita di mano. Se il settore agroalimentare, vanto economico e culturale del made in Italy, è a pezzi è soprattutto per responsabilità dell’organizzazione a cui questo governo si è indissolubilmente legato: la Coldiretti.

L’associazione degli agricoltori guidata da decenni da Vincenzo Gesmundo si sente talmente coperta dal governo di Giorgia Meloni, che ormai spadroneggia nell’arena pubblica aggredendo qualsiasi altro operatore del settore agroalimentare – privato, associato o istituzionale – con una veemenza mai vista prima.

Da qualche mese, l’obiettivo della campagna di Coldiretti è diventata “Mediterranea”, l’alleanza per sviluppare protocolli di filiera siglata tra la rivale Confagricoltura e UnionFood, che rappresenta la gran parte dell’industria agroalimentare italiana (oltre 500 aziende e 900 marchi). È naturale che il progetto non piaccia alla Coldiretti, dato che Mediterranea non è solo un competitor ma anche un modello diverso rispetto alla coldirettista Filiera Italia.

Ciò che invece non è normale è la violenza verbale usata dai vertici della Coldiretti contro UnionFood e Confagricoltura, e i rispettivi presidenti Paolo Barilla e Massimiliano Giansanti, che sfocia nella diffamazione. Mediterranea, infatti, viene descritta come un complotto per svendere il cibo italiano alle “multinazionali straniere” che vogliono imporre il “cibo omologato” e il “Nutri-score”, distruggendo la “dieta mediterranea” per sostituirla con “i cibi prodotti in laboratorio”. Ma la cosa sconcertante è che questi attacchi pubblici a pezzi importanti del made in Italy vanno avanti, ormai da mesi, in eventi a cui partecipano ministri del governo Meloni.

Lo scorso maggio a Cibus, la manifestazione di riferimento per il settore agroalimentare che si tiene a Parma, proprio dove veniva presentata al pubblico Mediterranea, alla presenza di Lollobrigida, Coldiretti ha proiettato una slide che accusava Confagricoltura di aver stretto un accordo con le “multinazionali globali” che “stanno affamando gli agricoltori europei”; mentre Gesmundo rivolgendosi a Lollobrigida definiva le imprese italiane di UnionFood “non patriottiche e non sovraniste, caro ministro”.

Pochi giorni fa, all’assemblea di Coldiretti, davanti ai ministri Lollobrigida, Fitto (Pnrr e sud) e Tajani (Esteri), Gesmundo ha definito Mediterranea “un problema nazionale e comunitario”. Una sorta di colpo di stato: “Si passa dal Mulino Bianco al golpe bianco” ha detto Gesmundo, arrivando direttamente alle minacce: “Chi va piegato, si piegherà”.

Ma prima ancora, all’assemblea della World Farmers Markets Coalition di metà luglio, davanti a Tajani Gesmundo ha accusato l’associazione degli agricoltori guidata da Giansanti di essersi prostituita “alle multinazionali del food”: “Confagricoltura gli ha aperto la strada per svendere la propria verginità”.

Pochi giorni prima, a un evento organizzato dal ministero della Salute, davanti al ministro Orazio Schillaci, il presidente di Coldiretti Ettore Prandini si è espresso in termini analoghi. Confagricoltura “arriva a rinnegare la storia del paese nel quale vive per piegarsi agli interessi delle multinazionali”, ha detto Prandini a un convegno su cibo e salute nella sede del ministero della Salute.

Coldiretti ha anche annunciato una manifestazione a Parma, capitale della Food Valley, con lo scopo di “piegare” Barilla. Ha minacciato di marciare a Bruxelles, qualora il Copa-Cogeca – l’organizzazione delle associazioni agricole europee – dovesse eleggere Giansanti come presidente (sarebbe la prima volta di un italiano). Ha addirittura proclamato una manifestazione contro l’Efsa, l’Autorità scientifica europea per la sicurezza alimentare, accusata da Gesmundo addirittura di “mettere sempre il cappello sulle cose che fanno più male alla salute dei cittadini europei”.

L’escalation coldirettista è ormai la manifestazione di un delirio di onnipotenza, legittimato e alimentato dai silenzi del governo Meloni, che rischia di passare dalla violenza verbale a quella fisica. Anzi no, è già accaduto. Lo scorso novembre, sotto Palazzo Chigi, dopo l’approvazione della legge sulla “carne sintetica” fortemente voluta dalla Coldiretti, il presidente  Prandini si scagliò contro un deputato dell’opposizione come Benedetto Della Vedova.

Ormai siamo fuori dalla dialettica politica ed economica, quello della Coldiretti è bullismo. Per diventare il “ministro dell’armonia”, com’era Pinuccio Tatarella, Lollobrigida dovrà lavorare molto. Ma, soprattutto, dovrà cambiare metodo per recuperare la terzietà che ha perso.

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Il potere di Coldiretti

I soldi dell’Onu a Gaza: pochi per bisognosi, tanti per la rete di tunnel di Hamas, più vasta della metro di Londra (ilriformista.it)

di Iuri Maria Prado

Perché non è colpa della grinfia giudaica

I soldi dell’Onu a Gaza: pochi per bisognosi, tanti per la rete di tunnel di Hamas, più vasta della metro di Londra

L’altro giorno l’Unrwa (l’”Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente”) ha scritto che saranno necessari anni di lavoro per rimuovere le macerie di Gaza, e che l’operazione costerebbe più di 500 milioni di dollari.

Una cifra notevole, in effetti. Ma insignificante rispetto a quanto è costata la costruzione – sotto gli occhi dell’Unrwa e con i soldi della cooperazione internazionale – di una rete di tunnel più vasta della metropolitana di Londra.

C’è da domandarselo. Chi deplora le distruzioni di Gaza che cosa ha fatto, in diciassette anni, per evitare che i soldi della cooperazione internazionale finissero lì, nei tunnel, e nelle camere di albergo in cui dimorano a tremila dollari a notte i capi del terrorismo? Che cosa ha fatto la cooperazione internazionale per proteggere la popolazione di Gaza dai miliziani aguzzini, dai fustigatori delle adultere e dai decapitatori di omosessuali?

La cooperazione internazionale e la causa palestinese

Che cosa ha fatto la cooperazione internazionale per la “causa palestinese”, se per causa palestinese intendiamo far avere a quel popolo un livello accettabile di libertà e almeno un accenno di ordinamento democratico?

Si tratta di due acquisizioni – un pizzico di libertà, la prospettiva di un governo sottratto al dominio di bande sanguinarie – che la compiacenza “pro pal” vuole impedite in modo esclusivo dalla sopraffazione sionista, senza neppure l’ipotesi che magari, forse, chissà, il degrado civile e umano in cui sono costretti a vivere i palestinesi dipenda dalle angherie delle loro classi dirigenti e dal regime corrotto e parassitario che proprio la cooperazione internazionale continua a garantire laggiù.

Perché non è colpa della grinfia giudaica

Non è colpa della grinfia giudaica se quell’orlo di Medio Oriente è un latifondo di miseria, violenza e disperazione galleggiante su un sottosuolo traforato di orrore.
E se pure fosse vero che Bibi Netanyahu ha irresponsabilmente preferito vedere l’ingrossamento dei ranghi più fondamentalisti a spese di quelli sempre più sguarniti dell’Autorità Nazionale Palestinese, ebbene si tratterebbe di un contributo assai poco cospicuo rispetto a quello fatto avere ai macellai da parte della cooperazione internazionale che non parla, non vede e non sente quando passa in rassegna la realtà inconfessabile.

E cioè che quei denari servono molto poco a investire su un futuro di sviluppo e di pace per i palestinesi: e molto, invece, a tenerli avvinghiati al sogno di una palingenesi irredentista da costruire sulle macerie del nemico smantellato.

La scrittrice che “odia gli ebrei” ospite del Pd: la Schlein non ha nulla da dire?

di

Cecilia Parodi è diventata tristemente famosa per 
un video ricco di esternazioni antisemite. 

Ma c’è di più: pochi giorni fa è intervenuta a un evento promosso da Culture Rome…

“Odio tutti gli ebrei, odio tutti gli israeliani, dal primo all’ultimo, odio tutti quelli che li difendono, tutti tutti, tutti i giornalisti, tutti i politici, tutti i paraculi. Vi odio perché mi avete rovinato la vita, la fiducia, la speranza”. E ancora: “Spero di vederli tutti impiccati! Giuro che sarò la prima della fila a sputargli addosso!”.

Questo quanto affermato in dei video pubblicati su Instagram – e poi scomparsi nel nulla – dalla scrittrice Cecilia Parodi.

Nel pieno delle polemiche dell’inchiesta Fanpage in rete è scoppiato il dibattito sul classico caso di pro-Pal tendente all’antisemitismo. Parole di odio da condannare senza se e senza ma, ma c’è un altro aspetto ancora più grave. Sì, perché Cecilia Parodi è stata anche ospite delle iniziative del Partito Democratico.

Cecilia Parodi non ha mai fatto mistero delle sue posizioni, come testimoniato dai post pubblicati sui social, tra il paragone Hitler-Netanyahu e l’ampio sostegno a Gaza. Ebbene, lo scorso 15 febbraio la scrittrice ha preso parte all’evento “Colonialismo & Apartheid in Palestina – Una lunga storia di occupazione illegale e Resistenza” in programma al Circolo Nilde Iotti dei Giovani Democratici a Milano.

In altri termini, la Parodi insieme ad altri volti conosciuti per le loro posizioni pro-Pal come Francesca Albanese e Moni Ovadia. Sempre attenta ai fenomeni antisemiti Elly Schlein non ha niente da dire su quel video della scrittrice? Del resto non parliamo di una personalità estranea agli ambienti dem. Ma non è tutto.

Sì, perché Cecilia Parodi è stata protagonista anche in quel di Roma come ospite speciale. E in qualche modo torniamo sempre al Pd. La scrittrice, infatti, lo scorso 30 giugno ha preso parte a “Dialogues for Gaza”, giornata pro-Pal promossa da Culture Roma in collaborazione con Oxfam e Medici senza Frontiere.

Insieme a Michele Riondino, Marisa Laurito e Francesca Albanese, a Villa Ada il pubblico ha avuto la possibilità di ascoltare pensieri e parole di un’autrice che ha ammesso senza troppi giri di parole di odiare gli ebrei e di volergli sputare addosso una volta impiccati. Dettaglio da non sottovalutare: come recita il sito ufficiale, Culture Roma è “un sistema di canali di comunicazione che raccontano la pluralità, e allo stesso tempo l’unità, di un insieme di luoghi, attività, servizi ed eventi promossi da Roma Capitale.

La programmazione culturale cittadina è assicurata, sotto l’indirizzo dell’Assessorato alla Cultura, da una struttura a più articolazioni che comprende il Dipartimento Attività Culturali, l’Istituzione Sistema Biblioteche Centri culturali, la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali”. Insomma, anche qui si gioca in casa dem.