di Antonella Loi
La politologa Nathalie Tocci spiega a TiscaliNews
che "davanti a noi c'è un mondo fatto di imperi:
con Trump anche Putin e Xi Jinping con le
loro colonie.
Indietro non si torna”, dice. La video-intervista
“L’ordine mondiale credo che sia già cambiato. Radicalmente”. Nathalie Tocci, docente, politologa e direttrice dell’Istituto Affari internazionali con sede a Roma, non ha dubbi: la strada imboccata dagli Stati Uniti di Donald Trump è una strada di non ritorno.
Ospite della rubrica “10 minuti con…” di Tiscali News, l’analista sostiene che “sarebbe inverosimile pensare che tra quattro anni (allo scadere del mandato del presidente Usa ndr) si possa tornare al sistema precedente”. Perché quello che sta facendo il tycoon non è semplicemente “ignorare il sistema internazionale”, ma in lui c’è una volontà chiara di “distruzione”.
Insomma, quello che era chiamato “sistema liberale internazionale o della globalizzazione” oggi viene distrutto, paradossalmente, “da chi lo aveva creato”. Impossibile peraltro capire quale “sistema alternativo stia emergendo perché noi siamo in mezzo al guado, tra la fine del vecchio sistema e l’inizio del nuovo”, sostiene Tocci.
Professoressa, che visione ha il presidente Trump?
“Quello che è abbastanza evidente è che la visione di Donald Trump si sposa anche piuttosto bene con quella di un Vladimir Putin, oltre che con quella di un Xi Jinping: un mondo fatto di imperi. Tre imperi con le loro colonie. Nel caso della Cina la colonia è Taiwan, nel caso dell’India è l’Ucraina e il resto dell’est Europa. E nel caso degli Stati Uniti, che si considerano naturalmente il primo di questi imperi – non l’unico ma il primo – c’è il Canada, il Messico, Panama, la Groenlandia, ma anche tutti noi europei. Un sistema radicalmente diverso da quello del passato dove contavano le relazioni di forza insieme ai valori condivisi, le istituzioni, le regole, il diritto. Ecco, tutto questo sta andando all’aria”.
Una redistribuzione degli equilibri, dove spicca l’inedito asse USA-Russia e dove l’Europa sta in mezzo, apparentemente inerme: qual è secondo lei la debolezza dell’Europa e che ruolo può giocare invece in relazione alla questione ucraina?
“La debolezza sta nel fatto che abbiamo un sistema immunitario molto debole, particolarmente nell’Europa sud-occidentale, nella misura in cui non abbiamo grande percezione della minaccia che viene da Est, della minaccia della Russia. Ma c’è un sistema immunitario altrettanto debole a Nord-Est proprio perché hanno quella minaccia ben chiara nella loro testa. Hanno sempre visto negli Stati Uniti il cavaliere bianco che viene a salvarli e non riescono a vedere e capire che effettivamente quell’America lì non c’è più. Questo che cosa genera? Il nostro è stato un film in cui hanno sempre vinto i buoni e abbiamo un’enorme difficoltà ad accettare il fatto che forse nei film possono vincere i cattivi. E lo switch mentale che va fatto adesso piano piano sta avvenendo. Ma la traversata del desrto è ancora molto lunga”.
Una sensazione molto forte è che sia finito anche il multilateralismo.
“Sì, è finito così com’era. E questo è un male per l’Europa. Però c’è anche, se la sappiamo sfruttare, un’opportunità. Noi viviamo questa America che fuoriesce dal sistema da lei creato. Penso ad esempio al taglio totale degli aiuti allo sviluppo. Questo mette noi europei dentro il sistema multilaterale, nelle relazioni con i Paesi del Sud del mondo. Cioè se lo sappiamo sfruttare possiamo occupare quei vuoti creati dalla fuoriuscita degli Stati Uniti. Se noi oggi raddoppiassimo la finanza climatica, implementassimo l’accordo commerciale con i paesi del Mercosur, firmato ma ancora non ratificato e implementato, se noi aumentassimo i finanziamenti per l’aiuto allo sviluppo, cioè se riempissimo quei vuoti all’interno di quel sistema, multilaterale, beh insomma noi potremmo uscirne addirittura più rafforzati”.
Arriviamo in maniera quasi naturale alla politica dei dazi di Trump, perché è uno degli strumenti da lui utilizzati per affermare la centralità mondiale degli Stati Uniti. Dazi che vengono distribuiti fra tutti i Paesi competitor. Qualcuno qualche giorno fa, efficacemente secondo me, ha ricordato una frase di Kissinger che diceva: “Gli Usa non hanno alleati ma interessi”. L’Europa per il momento non sembra abbia ricette concrete o magari ci sta ancora pensando, gioca d’attesa. Però le Borse già soffrono: come si difenderà l’Unione Europea?
“L’Unione Europea sul tema dei dazi e più in generale sulle politiche commerciali è messa relativamente bene molto meglio rispetto a quanto non sia messa sulla difesa. La politica commerciale è una politica comunitaria, cioè centralizzata. Non è un caso che Trump definisca l’Ue ‘creata per essere una fregatura’ per gli Stati Uniti. Per il suo modo di vedere, se c’è un’Europa che sul tema commerciale è unita perché sovranazionalizzata, è evidente che naturalmente cercherà di fare la transazione. I dazi usati come ritorsione e quant’altro. Però, inevitabilmente, deve fare delle concessioni. Un conto è quando ci sono due attori che se la giocano, l’Europa unita e gli Usa, un’altra è se sei di fronte a uno spezzatino di Paesi europei. In questo caso riesci a essere non transattivo ma predatorio. L’Europa unita è una fregatura per Trump e non è un caso che l’obiettivo di questi Stati Uniti sia quello di dividere i Paesi europei in una sorta di divide et impera”.
Anche la questione degli armamenti fa parte di questo gioco, cioè la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, ha presentato un piano da 800 miliardi in quattro anni, soldi che in qualche modo vengono sottratti dai fondi di coesione, dal PNRR e scorporati dai vincoli di bilancio, un dato non secondario. È proprio necessario quindi prendere parte di questa corsa al riarmo?
“Beh, mettiamola così. Noi siamo di fronte da un lato a una minaccia della Russia che non è limitata all’Ucraina, cioè oggi la Russia in armamenti spende essenzialmente quanto tutti i Paesi europei messi insieme. Allora è evidente che se l’obiettivo fosse soltanto il Donbass non ci sarebbe alcun bisogno di una mobilitazione militare di questo genere. Ma se la minaccia militare russa dovesse andare oltre, e a mio avviso potrebbe riguardare i Paesi Baltici… insomma staremo a vedere”.
Ma per evitare questo non può bastare la deterrenza?
“La deterrenza esiste nella misura in cui c’è fiducia che l’articolo 5 della Nato effettivamente valga ancora qualcosa. C’è chi pensa veramente oggi che qualora la Russia dovesse attaccare la Lituania gli Stati Uniti entrerebbero in guerra? È abbastanza evidente che la risposta sia no. E allora tutto il concetto della deterrenza alla base della Nato è come se ci stia crollando davanti. Quindi da un lato abbiamo la minaccia russa che dobbiamo affrontare nella migliore delle ipotesi senza gli Stati Uniti, non con gli Stati Uniti contro, ma senza gli Stati Uniti. È evidente che ci serve il riarmo”.
L’opinione pubblica non è detto che sia a favore.
“E’ chiaro che è un punto difficile e delicato da far passare a un’opinione pubblica che non è stata accompagnata nella percezione di una minaccia che aumenta. Penso soprattutto a quella italiana. Perché se lo vai a chiedere, non ti dico un lituano onesto o un polacco, ma anche un tedesco ha un’idea molto più chiara della minaccia di quanto non ce l’abbia un italiano. Quindi è difficile, ma è evidente che se quella percezione della minaccia c’è e sì: vale molto di più dei fondi di coesione”.
Senta, lei ha detto che comunque Trump mira a destabilizzare in qualche modo l’Europa, a dividerla. Qui la domanda riguarda l’Italia: che gioco sta giocando e che gioco giocherà? Perché per ora non si è capito molto. Cioè, Meloni farà davvero da “ponte” così come lei vorrebbe oppure sarà, come dice qualcuno, quel “cavallo di Troia” utile a dividere l’Europa?
“Il tentativo di fare da ponte per carità è assolutamente giusto e legittimo. Peraltro esplorato non soltanto dall’Italia ma anche dal primo ministro inglese Starmer. Perché è evidente che si tratta di un’America che fa un passo di lato e di fronte c’è una Russia contro. E’ tosta. Va bene esplorare ogni possibilità, ma su questo dobbiamo essere molto onesti: il ponte lo si riesce a costruire se c’è una qualsivoglia volontà dall’altra parte. Ovviamente non posso sapere che cosa sta nella testa della nostra presidente del Consiglio, però posso dire una cosa”.
Dica.
“A livello delle affinità politiche ideologiche, e magari dove batte il cuore, mettiamola così, so anche che l’Italia è in Europa e la geografia non si cambia. So anche che l’economia italiana è intrecciata indissolubilmente con quella europea, in particolar modo con quella tedesca. So anche che abbiamo una Costituzione, con un garante che fa il suo mestiere in maniera eccellente. Insomma ci sono tutta una serie di motivi per cui, a prescindere da dove può portare il cuore del governo, io penso che prevalga la testa e temo che a un certo punto la scelta diventerà obbligata”.