Ballerino russo critica Putin, poi “vola” dal balcone per un “tragico” incidente. Mistero sulla morte

di Leo Malaspina

Un tragico incidente sabato sera ha posto fine 
alla vita di Vladimir Shklyarov, 39 anni, 
ballerino russo di danza classica di fama mondiale, 
stella del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. 

Molti ballerini russi hanno reso omaggio a Shklyarov dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, con Irina Baranovskaya che ha definito la sua morte “uno stupido, insopportabile incidente” su Telegram. Baranovskaya ha scritto che Shklyarov “è uscito sul balcone per prendere un po’ d’aria e fumare” e “ha perso l’equilibrio” sul “balcone molto stretto”.

Una versione della tragedia confermata dalla portavoce del Teatro Mariinskij, Anna Kasatkina, che ha dichiarato ai media russi che Shklyarov è morto cadendo da un balcone mentre cercava di rientrare nel suo appartamento al quinto piano di un palazzo. Kasatkina ha detto anche che il ballerino aveva recentemente subito un infortunio alla schiena e avrebbe assunto forti antidolorifici in attesa di un intervento chirurgico alla spina dorsale.

Il ballerino russo aveva criticato Putin e la guerra in Ucraina

Non è chiaro se e in che misura l’uso di antidolorifici abbia avuto un ruolo nella caduta dal terrazzo. Mentre è stata avviata un’indagine da parte della polizia per indagare sulle cause della morte, “la causa preliminare” è stata dichiarata “un incidente”, come ha riferito l’agenzia di stampa russa Ria Novosti. Vladimir Shklyarov era sposato dal 2013 con Maria Shirinkina, ballerina solista della compagnia del Teatro Mariinskij, ed era padre di due figli.

Era contro la guerra in Ucraina, fortemente critico nei confronti di Putin“.

E’ il modo in cui sul New Post viene descritto il  Vladimir Shklyarov, precipitato sabato scorso da un edificio per circa 20 metri. Shklyarov “è andato incontro ad una fine prematura come altre persone che hanno giudicato l’operato del presidente russo, anche loro morte cadendo da palazzi.

Nel 2022 la stella del Mariinsky si era scagliata su Facebook, nonostante la repressione del Cremlino, contro il conflitto in corso”, aggiunge il sito statunitense citando il media russo Fontanka. E ricorda nel suo articolo un post nel quale il danzatore, sposato con la ballerina Maria Shirinkina, si dichiarava “contrario alla guerra, sono per la gente, per un cielo sereno sopra le nostre teste”

La morte del ballerino russo che aveva criticato Putin

Per più di vent’anni ha lavorato al Teatro Mariinskij: Vladimir Shklyarov era entrato a far parte del corpo di ballo nel 2003, subito dopo essersi diplomato all’Accademia del Balletto Russo, e nel 2011 era diventato primo ballerino. “Le sue illimitate capacità creative sono state riconosciute da molti premi”, ma ha ricevuto il titolo principale nel 2020, diventando un “Artista onorario della Russia”, ha scritto il Teatro Mariinskij in un messaggio di cordoglio.

“Un interprete espressivo, assolutamente inimitabile e un ballerino virtuoso, accademicamente impeccabile, che è soggetto a tutti gli stili: è così che Vladimir Shklyarov sarà ricordato dal pubblico – afferma il Teatro Mariinskij – Per due decenni della sua carriera teatrale, il suo repertorio è diventato davvero immenso.

Era ugualmente brillante nella parte del nobile e maestoso principe Desiderio nella ‘Bella addormentata’, e nella parte dell’impudente e vivace Hooligan in ‘La giovane signora e l’Hooligan’; altrettanto magnifici nei balletti classici e drammatici, capolavori della coreografia del Novecento e produzioni moderne.

Ha iscritto per sempre il suo nome nella storia dell’arte del balletto mondiale”.

Vladimir Shklyarov era nato il 9 febbraio del 1985 nell’allora Leningrado (oggi San Pietroburgo) e aveva frequentato l’Accademia di danza Vaganova, un’istituzione famosa con quasi 300 anni di storia, che annovera tra i suoi allievi Natalia Makarova e Mikhail Baryshnikov.

Con la compagnia del Balletto Mariinskij ha danzato molti dei grandi ruoli maschili del repertorio classico, tra cui James ne ‘La Sylphide’, Albrecht in ‘Giselle’, Solor ne ‘La Bayadère’, il Principe Desiderio ne ‘La bella addormentata’, Siegfried ne ‘Il lago dei Cigni’, il principe ne ‘Lo schiaccianoci’, Jean de Brienne in ‘Rajmonda’, Basilio in ‘Don Quixote’ e ruoli principali in ‘Paquita’, ‘Le Spectre de la rose’, ‘Les Sylphides’ e ‘Jewels’. Dal 2016 al 2017 è stato ballerino principale per la compagnia dell’Opera di Stato della Baviera su invito di Igor Zelenskij.

Nel corso di due decenni di carriera, Shklyarov ha ottenuto il plauso internazionale, esibendosi al Metropolitan Opera di New York, alla Royal Opera House di Londra e in altri prestigiosi teatri del mondo.

The Cure. Guarda i due concerti per la BBC per il lancio di “Songs Of A Lost World” (sentireascoltare.com)

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Due set molto diversi che riflettono l'anima pop 
e quella più “dark” della band

In occasione del lancio mondiale di Songs Of A Lost World, i Cure hanno suonato due concerti per la BBC, registrati il 30 ottobre, trasmessi il giorno successivo ed entrambi diffusi integralmente su Youtube. In una modalità che ricorda molto da vicino i live storici Show e Paris, si tratta di due set molto diversi, che riflettono le due diverse anime della band, quella pop e quella più “dark”.

Il concerto registrato per la BBC Radio 2 è a colori e offre una carrellata di greatest hits, dalle immancabili Just Like Heaven e In Between Days, passando per The Walk e Lovesong fino a Pictures Of You e High; in apertura e chiusura scaletta, come su disco, i due monoliti Alone e Endsong, oltre al singolo A Fragile Thing.

Altre canzoni del nuovo album (I Can Never Say GoodbyeAll I Ever AmAnd Nothing Is Forever) sono presenti nel secondo concerto per BBC 6 Music, filmato rigorosamente in bianco e nero e significativamente incentrato su Disintegration, di cui vengono suonati ben quattro brani (PlainsongLast DancePrayers For Rain e Disintegration), oltre a pietre miliari come A Forest e At Night e chicche come Burn (dalla soundtrack de Il Corvo originale, 1994).

Accanto a Robert Smith, la formazione attuale dei Cure prevede Simon Gallup (basso), Roger O’Donnell (tastiere), Jason Cooper (batteria), Reeves Gabrels (chitarra; subentrato a Porl/Pearl Thompson e già alla corte di David Bowie per tutti gli anni ‘90), Perry Bamonte (chitarra, tastiere); com’è da aspettarsi, esecuzioni ineccepibili, emozionanti e sentite per una band in grandissima forma e con un sound immortale.

In aggiunta a questi due concerti, questa sera i Cure suoneranno in diretta su Youtube dal Troxy di Londra Songs Of A Lost World nella sua interezza. Su SA l’approfondimento sull’album è di Tommaso Iannini.

Tracklist
  • 1Alone
  • 2And Nothing Is Forever
  • 3A Fragile Thing
  • 4Warsong
  • 5Drone:NoDrone
  • 6I Can Never Say Goodbye
  • 7All I Ever Am
  • 8Endsong

Minacciano i politici e glorificano le Brigate Rosse: chi sono i cantanti dell’estrema sinistra

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Minacce a Mario Draghi, a Matteo Piantedosi e 
a Matteo Salvini. 

Minacce anche ai poliziotti e “l’intifada”: cosa cantano i gruppi rock dell’estrema sinistra

L’estrema sinistra extra-parlamentare del nostro Paese è sempre più spregiudicata e sempre più convinta della propria impunibilità. Le scene del 5 ottobre, hanno avvisato, saranno la norma nel nostro Paese quando loro saranno in piazza.

Vogliono che le manifestazioni siano “sempre più un problema d’ordine pubblico e quindi un problema politico“, come hanno scritto i Carc. Il partito Leninista-Marxista Italiano, invece, sostiene che “prima dell’insurrezione il Partito deve saggiare la forza, la preparazione, la compattezza, la disciplina, il coraggio e la determinazione delle masse rivoluzionarie mediante manifestazioni e scioperi politici e il largo uso dei vari metodi di lotta fra cui la lotta di strada, i blocchi stradali, delle ferrovie, dei porti e degli aeroporti, l’occupazione di edifici pubblici e l’erezione di barricate“.

Poi ci sono i “menestrelli”, che queste idee le mettono in musica, insieme alla glorificazione delle Brigate Rosse, e non solo. Autodifesa Proletaria è un gruppo punk-rock che si muove sulla scena da qualche anno e nel suo ultimo album “Autunno caldo” ha inserito testi che meriterebbero una profonda riflessione in merito al clima che si respira in Italia. Di seguito, gli estratti dei testi di alcune delle canzoni contenute nell’album pubblicato nel 2024.

Dottrina del focolaio

Rinnega il lavoro, Rinnega la paga, Vogliamo le armi/Vogliamo le droghe/Non cerco il compromesso, non contrattare niente, dentro al bagagliaio/Un altro presidente“, “Rimani senza fiato/procrastina il reato/ma spara a bruciapelo sulla Polizia di Stato“.

In un video che è stato pubblicato su YouTube relativo a questa canzone, si sente la chiamata effettuata il 16 aprile 1988 al quotidiano la Repubblica: “Abbiamo giustiziato il senatore Dc Roberto Ruffilli a Forlì. Attacco al cuore dello Stato, Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente“.

La stessa arma usata per uccidere il senatore, fatto inginocchiare nel salotto della sua abitazione, venne impiegata contro i due militanti missini Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati il 7 gennaio 1978 nella cosiddetta strage di Acca Larentia. Ma venne usata anche contro l’ex sindaco di Firenze Lando Conti nel 1986 e contro l’economista Ezio Tarantelli, ucciso a Roma nel 1985.

Benvenuti in Via Schievano

Da quando ho coscienza ti dichiaro guerra/Mercenario di Stato e mafia/Vorrei pisciare sulla bara di tuo padre, merda/Il giorno che hai deciso di fare la guardia/Ti senti pulito, ti senti protetto/Senza numero identificativo“, “La linea di condotta obbliga vendetta/Facciamo un’ecatombe, spariamogli alle gambe“.

Via Schievano è stata una strage compiuta l’8 gennaio 1980 a Milano. La colonna delle Brigate Rosse “Walter Alasia” rivendicò l’attentato. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa era appena stato trasferito a Milano, in quelli che erano gli anni bui del terrorismo armato, sia rosso che nero.

Il commando delle Brigate Rosse, armato di mitra, arrivò in via Schievano a bordo di una Fiat 128 seguendo un’auto civetta della Polizia di Stato e, approfittando del traffico del mattino, aprirono il fuoco, uccidendo il vice Brigadiere Rocco Santoro, l’appuntato Antonio Cestari e l’agente Michele Tatulli.

Renault 4 (Con Astore, del gruppo P38)

Ho incontrato Bruno Vespa, gli ho sparato alle gambe/Mi diceva ‘Buonasera’ ma in un lago di sangue“, “Ho un fucile puntato sulla famiglia del premier/Signor Draghi, siamo a casa, avanti, venga a vedere“, “Cago sopra la Lega, sparo in testa a Matteo/Se poi muore mi sego, apro il vino e festeggio“, “Ti metto dentro una Renault 4/Brigate Rosse scritto sul contratto/Presidente non mi sembra stanco“, “Piantedosi vuoi il decoro/Fai la fine di Aldo Moro/P38 e Autodifesa/From the river, to the Sea“.

Questo è un brano cover del gruppo P38, già al centro delle polemiche. La Renault4 è l’auto all’interno della quale venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro. È qui dentro che i brigatisti gli spararono 12 colpi, uccidendolo, prima di far ritrovare la vettura in via Caetani.

I compagni che sparano non sono criminali

Volto coperto in mezzo alla strada/Onora i martiri dell’Intifada“, “Accendi la miccia della tua passione/Il tuo pensiero è una mano armata/Coscienza proletaria, Autonomia Operaia“, “Tsunami di proiettili/Da sopra una barricata/Le piazze chiamano sangue, le fabbriche vendetta/E una camionetta in fiamme/E nelle tasche una Beretta”.

Il brano sembra riferirsi alle piazze che dal 2023 sono animate dai manifestanti pro-Palestina, che molto spesso si concludono con disordini che causano feriti sia tra le forze dell’ordine che tra i manifestanti.

Copertina dell'album

Kris Kristofferson, ritratto breve di un attivista analogico (rollingstone.it)

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L’alternativo è il tuo papà

 (Kris Kristofferson e Martin Sheen in una manifestazione del 1987 contro un test nucleare Foto: Steve Northup/Getty Images)

Ha pagato per le sue scelte, ma ha tirato dritto per la sua strada. «Venderei di più se fossi un redneck di destra, ma faccio questo mestiere per dire la verità». Elogio di uno spirito libero

Kris Kristofferson doveva sentirsi a casa in quel contesto. Era il 1995 e apriva un concerto di Johnny Cash sponsorizzato da una radio country in un posto fuori Philadelphia. È cambiato tutto quando ha dedicato un pezzo a Mumia Abu-Jamal, il giornalista e attivista ed ex membro delle Pantere Nere condannato a morte nel 1981 per l’omicidio di un poliziotto proprio a Philadelphia.

La gente ha iniziato a fischiare pungolata dai paragoni fatti da Kristofferson: Abu-Jamal come Martin Luther King Jr., come John F. Kennedy, come Malcolm X, come Gandhi. Il Philadelphia Daily News lo definì «un altro idiota hollywoodiano male informato» e la radio country che sponsorizzava il concerto smise di passare la sua musica (non che prima lo suonassero granché).

Non era né la prima, né l’ultima volta che Kristofferson esponeva con chiarezza le sue idee sulla politica o su altre questioni. Dopo la sua morte, avvenuta lo scorso 28 settembre a 88 anni d’età, è stato ricordato per lo più come autore di canzoni e come attore, ma è stato anche un attivista in prima linea e spesso coinvolto in cause controverse, e questo per oltre mezzo secolo. Questo lato lo rendeva diverso dai colleghi che bazzicavano e bazzicano ancora il country e il pop.

Cresciuto a Brownsville, Texas, aveva un legame diciamo così innato coi lavoratori ispanici per via della sua tata Juanita Cantu. «Parlavo spagnolo prima ancora di parlare inglese», ha detto nel 1982. «Sentivo vicini i lavoratori agricoli e i loro problemi».

Tutto questo ha portato anni dopo alle prime prese di posizione pubbliche, come quando ha sostenuto il sindacato United Farm Workers, il cui co-fondatore Cesar Chavez s’è battuto per migliorare le condizioni di lavoro e l’assistenza sanitaria dei lavoratori del settore agricolo. Per Kristofferson era «una delle persone più ispirate del pianeta».

Lavorare al suo fianco, ad esempio per spingere la Proposition 14 volta a garantire l’accesso dei sindacalisti ai lavoratori agricoli sul posto di lavoro, gli fece capire quant’era dura la lotta che c’era da affrontare. «I ragazzi del college di oggi mi riportano indietro agli anni ’50», diceva nel 1978. «Dicono: “Non permetterò che tolgano il cibo dalla bocca del mio bambino”. Ma sono loro che ti mettono quel cibo in tavola… Che delusione, non sapevo ci fossero così tanti piccoli repubblicani in circolazione».

Sono poi arrivate lotte ben più controverse. Ha appoggiato la causa di Leonard Peltier, il nativo americano condannato per l’omicidio di due agenti dell’FBI che cercavano l’autore di una rapina, che non era Peltier, il quale si è sempre detto innocente. Kristofferson c’era al concerto per Peltier del 1987 al fianco di Jackson Browne, Willie Nelson e Joni Mitchell. Salito sul palco, disse che l’uomo era stato preso di mira per il suo attivismo, beccandosi una ramanzina dal procuratore federale che seguiva il caso.

Due radio della California meridionale vietarono le canzoni sue e di Nelson. «Passare i suoi dischi significherebbe mettere in dubbio la reputazione degli agenti e non sarebbe giusto», disse il direttore di una delle stazioni. Secondo Kristofferson, la sua amicizia con Vanessa Redgrave e le controverse prese di posizione pro Palestina gli sono costate degli ingaggi negli anni ’70.

Tutto ciò non ha avuto alcun impatto su Kristofferson. Anzi, lo ha spinto a battersi per altre cause. A fine anni ’80 ha partecipato a una manifestazione pro Irlanda e anti Inghilterra a San Francisco. Nel 1987 ha protestato con Martin Sheen contro un test nucleare condotto dal governo degli Stati Uniti.

Nel 1990 ha pubblicato Third World Warrior, un album politico che ha tolto il sonno ai pr della casa discografica. Durante il concerto che aprì per Cash gli dissero che i poliziotti che erano tra il pubblico erano infuriati per via dei commenti su Abu-Jamal. Non fece una piega. Chiese a Cash che ne pensasse, ricevendo come risposta un «non devi scusarti di niente» e un invito a cantare con lui.

E chi può scordare le immagini di Kristofferson che consola Sinéad O’Connor, rischiando di diventare a sua volta oggetto dell’ira dei fan, quando la cantante venne fischiata al concerto per il 30esimo anniversario di Bob Dylan nel 1992? «Non farti abbattere da quei bastardi», le ha sussurrato all’orecchio. «Fischiare quella ragazza così coraggiosa m’è sembrato sbagliato», ha detto poi.

Negli anni ’10 è rimasto fedele alla linea, si è esibito a favore dell’United Farm Workers con Los Lobos e Ozomatli e per altre cause care ai lavoratori agricoli. «Sono stato un radicale per un sacco di tempo», ha detto a Esquire. «Venderei di più se fossi un redneck di destra, ma faccio questo mestiere per dire la verità».

Quanti sono oggi i musicisti country che si schierano fermamente e pubblicamente a sostegno di cause che potrebbero costare loro metà del pubblico che hanno? A Kristofferson battagliare per le sue convinzioni non dispiaceva, anzi, tutt’altro. “Combatterò e morirò per la libertà”, cantava in Third World Warrior, “contro un’aquila o un orso”.

Da Rolling Stone US.

Bruce Springsteen: “Voterò per Kamala Harris, Trump è pericoloso” (rockol.it)

di Gianni Sibilla

Il Boss con un video spiega le ragioni del 
suo endorsement

Con un video diffuso attraverso i suoi social, è arrivato l’endorsement di Bruce Springsteen per Kamala Harris e Tim Walz alle elezioni presidenziali di novembre.

Seduto in un diner, ambientazione americana se ce n’è una, il Boss spiega le ragioni della sua scelta con un articolato discorso, basato su ciò rappresenta l’America, paese “mai politicamente, spiritualmente ed emotivamente diviso dai tempi della guerra civile”:

Non deve essere per forza così. I valori comuni, le storie condivise che ci rendono una nazione grande e unita, la nostra attesa di essere riscoperti e raccontati ancora una volta. Ora, ci vorrà tempo. Duro lavoro, intelligenza, fede e donne e uomini con il bene nazionale a guidare i loro cuori. 

“Siamo la nazione più grande non per il nostro potere militare o per la nostra economia ma per i nostri valori”, continua Springsteen. I valori come la giustizia sociale, la libertà individuale e la possibilità di amare chi si vuole sono che rappresentati da Harris . Mentre Trump “È il candidato più pericoloso che abbia mai visto nella mia vita”, dice Springsteen, democratico da sempre e spesso impegnato nel sostenere i candidati del partito “liberal” anche con concerti e rally.

“Il disprezzo di Trump per la sacralità della nostra costituzione, la sacralità della democrazia, la sacralità dello stato di diritto e la sacralità del pacifico trasferimento del potere dovrebbero impedirgli di aspirare alla carica di presidente per sempre. Non capisce il significato di questo paese, la sua storia o cosa significhi essere profondamente americani. Harris e Walz vogliono far crescere la nostra economia in un modo che vada a beneficio di tutti, non solo di pochi come me per primi.
Questa è la visione dell’America di cui scrivo costantemente da 55 anni.”

Sama’ Abdulhadi, la DJ palestinese che sfida il silenzio (lespresso.it)

di Emanuele Coen

Musica

Sama’ Abdulhadi è la deejay di Ramallah più famosa al mondo. E un’attivista: i suoi concerti e canali social promuovono esperienze di emarginazione e di speranza.

Noi palestinesi abbiamo sempre speranza. Nessun colonialismo o ingiustizia durano all’infinito. Combatteremo per sempre per la nostra libertà». Il tono della voce è duro ma pacato: Sama’ Abdulhadi, capelli neri e sguardo intenso, è un’attivista ma anche la deejay palestinese più nota nel mondo, tanto che in molti la chiamano la regina della techno palestinese («berlinese, ma la percepisco alla libanese», precisa lei) per il ritmo trascinante della sua musica, i battiti profondi che inducono a ballare, i suoni elettronici ipnotici e liquidi che l’hanno resa famosa, soprattutto in Gran Bretagna.

A Roma si è esibita lo scorso 14 settembre all’ultima edizione dello Spring Attitude Festival. «Da palestinese, la prima cosa che impari è che probabilmente morirai. Devi impegnarti perché la tua vita potrebbe finire tra dieci minuti», ha dichiarato qualche tempo fa al quotidiano britannico The Guardian.

La deejay è nata in Giordania da una famiglia costretta dall’esercito israeliano a lasciare la propria terra dopo che sua nonna, Issam Abdulhadi, una delle principali attiviste per i diritti delle donne palestinesi, aveva organizzato un sit-in e uno sciopero della fame. Poi è tornata a Ramallah, in Cisgiordania, e in seguito ha vissuto in diverse città del Medio Oriente.

Ma da bambina com’era? «Con la guerra e tutto il resto non era così facile esserlo ma mi davo da fare, ero molto attiva e sempre in giro», racconta la dj: «Soprattutto, facevo un sacco di sport e appena possibile ballavo, con gruppi di musica “dabka” (musica popolare folkloristica diffusa e ballata in Medio Oriente, ndr) e mi dilettavo di danza hip-hop e breakdance».

E perché da adolescente si è avvicinata alla musica techno? «All’inizio ascoltavo tutt’altro, rap e rock. Quando poi ho ascoltato la techno e i sintetizzatori tutto è cambiato. La musica techno mi ha affascinato, non capivo i suoni ma questo mi è piaciuto molto e mi sono immersa fino in fondo. Non avrei mai immaginato che sarebbe diventata la mia professione».

Difficile pensare alla carriera di una dj in Palestina, del resto, ora come allora. «Non era una carriera, neanche per sogno. Lo facevo per conto mio insieme a un gruppo di amici, non per soldi. Suonavamo in bar e spazi improvvisati», aggiunge. Dopo aver cambiato spesso città, oggi abita a Parigi.

«È famosa per i rave che durano all’infinito», prosegue Abdulhadi: «Prima vivevo al Cairo: l’Egitto, come molti sanno, è la culla delle arti nel mondo arabo e forse nel mondo intero. Una città che non dorme mai, mi fa quest’effetto ma è la sua vera essenza e mi piace anche per questo. Lì ho imparato i trucchi per non dormire mai». Ha vissuto anche a Londra, centro nevralgico della musica internazionale.

«È stato un periodo fantastico, inciso per sempre nella mia memoria. Lì ho potuto ascoltare tutte le musiche del mondo e tutti i dj che ho potuto. Peccato che a Londra hai bisogno del visto anche per andare in bagno», ironizza la dj, alludendo alle norme sempre più restrittive per entrare nel Regno Unito.

«Prima ancora, nel 2009, mi trovavo ad Amman, in Giordania, ma purtroppo da quelle parti all’epoca la musica elettronica non era molto conosciuta», aggiunge: «Ora invece per fortuna le cose sono cambiate, devo dire in fretta, e oggi esiste una buona scena di dj locali. Ma trovo che il posto più interessante per un dj sia il Libano e in particolare Beirut, che ospita la migliore scena del mondo e alcuni tra i dj più talentuosi che abbia mai ascoltato».

La vera chiave di volta però risale al 2018. A Ramallah, in Cisgiordania, realizza davanti a una telecamera fissa il suo Boiler Room, dj set lungo quasi un’ora trasmesso gratuitamente in streaming, che con oltre dieci milioni di visualizzazioni la fa salire ai piani alti dell’elettronica.

Partecipa a decine di festival tra cui Coachella, Glastonbury e Phonox, che le aprono la strada a importanti collaborazioni, tra cui quella con Tom Morello, storico chitarrista dei Rage Against the Machine. Con la notorietà arriva anche qualche guaio.

Nel 2020, mentre registra in un bazar vicino a una moschea, la star della console viene arrestata dalla polizia palestinese e detenuta illegalmente in carcere per otto giorni con l’accusa di “profanazione di un luogo sacro”, nonostante avesse un permesso del ministero del Turismo. Viene rilasciata grazie a una petizione su Change.org che raccoglie oltre 101.000 firme.

La sua è tuttora una vita divisa in due, perché continua a difendere i diritti del suo popolo, a maggior ragione ora che a Gaza oltre 40mila persone sono state uccise dalle forze armate israeliane. Una strage di civili senza precedenti nella regione, cominciata all’indomani del 7 ottobre 2023, quando i terroristi di Hamas hanno attaccato il Festival Supernova di musica trance, a circa cinque chilometri dal confine con la Striscia di Gaza, compiendo un atroce massacro: 364 persone uccise sul posto, circa 200 rapite, moltissime donne stuprate e poi uccise. Un rave party affollato di giovani, come tanti a cui ha partecipato la dj nella sua carriera. Una strage, tuttavia, che Abdulhadi preferisce non commentare.

Adesso la dj, attraverso i suoi concerti e i suoi canali social, raccoglie fondi, promuove campagne di sensibilizzazione, lancia progetti come “Resilience”, piattaforma globale per artisti e creativi per condividere le loro storie e opere d’arte che testimoniano esperienze di emarginazione, sfollamento e oppressione.

«Dopo il 7 ottobre purtroppo tutto si è fermato, ma ora sento il bisogno e l’urgenza di far ripartire le cose tutti insieme», conclude Abdulhadi: «Purtroppo il numero di artisti che aderiscono al progetto si riduce di giorno in giorno e il supporto alla causa palestinese è troppo debole. Ma andiamo avanti».