NICK CAVE: IL DOLORE E L’AMORE, IL CONFLITTO E LA CONCILIAZIONE. INTERVISTA A MASSIMO PADALINO (mimesis-scenari.it)

di 

Nel recente libro di Massimo Padalino Nick Cave. 
Bad Seed. La ballata di Re Inkiostro 
(Odoya, Bologna 2020) viene raccontata la vita e 
l’opera di Nick Cave. 

All’interno del libro il celebre cantautore australiano figura sia come il protagonista individuale attorno al quale ruota un vasto e complesso universo musicale e poetico, sia come un personaggio emblematico della cultura degli ultimi decenni, il cui percorso creativo aiuta a dispiegare, narrare e comprendere molti avvenimenti importanti della nostra epoca così ricca di cambiamenti storici, talvolta di portata epocale.

Abbiamo approfittato della disponibilità di Padalino per porgli alcune domande su questi argomenti per i lettori e le lettrici di “Scenari”.

Stefano Marino. Vorrei partire da una domanda un po’ generale sul tuo libro, al fine di procedere poi eventualmente con qualche approfondimento su tematiche più particolari. Per prima cosa, quindi, vorrei proprio chiederti di illustrare ai lettori e alle lettrici di “Scenari” la genesi del tuo libro, spiegando ad esempio che cosa ti ha motivato originariamente a scrivere Nick Cave. Bad Seed.

La ballata di Re Inkiostro e magari illustrando anche in che cosa il tuo libro si differenzia da altri testi esistenti su Cave, cioè che cosa lo caratterizza in maniera specifica quanto ai contenuti, al taglio interpretativo che hai adottato o ad altro ancora.

Massimo Padalino. Il libro è nato da una mia vecchia proposta alla casa editrice, Odoya, che a un certo punto si è ricordata di quella mia richiesta e mi ha domandato se fossi ancora interessato a scrivere un saggio sui testi di Nick Cave.

E qui c’è la prima caratteristica del mio libro, che lo differenzia ad esempio dall’ottimo testo di commento alle liriche di Luca Moccafighe per Arcana, che si “limita” (divinamente, peraltro) al commento dei testi, nonché da una classica biografia dell’artista incentrata sui fatti della sua vita analizzati in parallelo alle vicende artistiche … leggi tutto

Bob Dylan. Like a Rolling Stone (doppiozero.com)

di Daniele Benati

A pagina 350 della sua autobiografia 
“non autorizzata” X-Ray (The Overlook Press, 1995), 

Ray Davies, cioè, il grande Ray Davies, ammette di averci impiegato un po’ di tempo prima di capire la grandezza di Bob Dylan e di averlo inizialmente snobbato come autore, tanto da esser stato sul punto di scartare la canzone scritta da suo fratello Dave (si sta parlando dei Kinks, naturalmente) intitolata Death of a Clown (poi divenuta un successo anche in Italia ad opera dei Nomadi col titolo di Un figlio dei fiori non pensa al domani), canzone che, a modo di vedere o di sentire del suddetto Ray, era un po’ troppo “dylanesque”.

Nella stessa pagina Davies dichiara di essersi poi ricreduto sul conto di Dylan fino a maturare su di lui l’opinione opposta, esattamente come aveva fatto con Picasso, che gli era sempre parso molto sopravvalutato, e ora considerava entrambi “due giganti dell’arte del ventesimo secolo”, non mancando di sottolineare che una particolarità della loro grandezza derivava anche dal fatto di essere stati proprio loro i primi a prendere per i fondelli i critici e gli esegeti da cui erano incensati e analizzati.

Questo è stato senz’altro vero per Bob Dylan, il quale, negli anni del suo maggior fulgore e di maggiore esplosività creativa, cioè nel biennio 1965-66, s’è divertito parecchio a scrivere testi a volte astrusi, bizzarri e insensati, certo che gli addetti ai lavori li avrebbero rivoltati in mille modi pur di arrivare a una plausibile interpretazione.

Questo non significa che quei versi fossero privi di una loro bellezza o di una loro singolare originalità, anzi era proprio in quei versi che si manifestava il grande estro della sua fantasia linguistica, come pure lo spirito della sua genialità, che andava di pari passo con la libertà espressiva che gli derivava dal semplice fatto di fregarsene altamente di qualunque giudizio venisse emesso su di lui e di rimanere fedele al proprio principio secondo cui il modo migliore per riuscire a fare qualcosa è non chiedere niente a nessuno.

Alla stessa maniera si divertiva parecchio (ma a volte anche s’inalberava) durante le interviste o le conferenze stampa, davanti a giornalisti che lo incalzavano con domande una più sciocca dell’altra o pretendevano da lui risposte a quesiti riguardanti la soluzione dei problemi del mondo … leggi tutto