Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
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Tutte le condanne di Travaglio
di Domenico Affinito e Milena Gabanelli
L’impatto di internet sul riscaldamento globale ù non è in agenda.
Eppure i cloud, ovvero i giganteschi data center dentro ai quali stanno migrando i dati di tutto il mondo, oggi assorbono l’1% della domanda globale di energia (qui la mappa dei data center mondiali). E i consumi si traducono in emissioni. Un solo server produce in un anno da 1 a 5 tonnellate di CO2 equivalente, e ogni gigabyte scambiato su internet emette da 28 a 63 g di CO2 equivalente.
Quasi il 20% dell’energia utilizzata da un data center è impiegata nel suo raffreddamento. Da una parte ci aiuta la tecnologia perché l’efficienza energetica raddoppia ogni due anni, dall’altra si stanno sperimentando diverse allocazioni: nel 2015 Microsoft ha inserito 864 server in un cilindro di acciaio riempito di azoto secco e lo ha depositato nel Mare del Nord.
Non a caso le società che gestiscono dati cercano luoghi con basse temperature e dove la produzione di elettricità da fonti rinnovabili è più sviluppata. In Islanda, per esempio, hanno trasferito i loro data center Advania, Exit Everywhere Borealis, Verne. Ma un utente, un’azienda o un ente pubblico per sapere quanto impatta il suo servizio deve conoscere due cose: quanto consuma, e da quale fonte si approvvigiona chi gestisce i suoi dati.
Le normative «volontarie»
Queste informazioni Google, Amazon, Apple, Ibm e Microsoft non le danno. Nei loro report di sostenibilità, infatti, non indicano mai l’impatto del singolo servizio. Le normative di riferimento ci sono: la ISO14064-1 e la ISO14067, che certificano in maniera obiettiva l’impronta di carbonio di un’azienda o di un prodotto, però non sono obbligatorie, e i giganti del cloud non le usano. Le emissioni preferiscono «autocertificarsele».
Fa eccezione Microsoft per Azure, ma solo per i clienti commerciali; e la piccola italiana Aruba, che dal 2011 usa al 100% energia rinnovabile con certificazione di Garanzia di Origine (GO). Il suo approvvigionamento per il data center proviene dall’acquisto della società idroelettrica Veneta, dalla installazione di parchi fotovoltaici, e utilizzo di geotermico, ma poi non dichiara qual è la sua impronta totale di carbonio.
Dunque, un grande ente pubblico, come il comune di Milano, per esempio, come fa a scegliere il fornitore più sostenibile per la gestione dei suoi dati, visto che nessuno produce la certificazione Iso? La strada alternativa è quella di farsi il proprio Data center, acquistando sul mercato energia rinnovabile … leggi tutto
(Leon Seibert)
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