No-vax imbrattano le scuole Saltini di Carpi: i bambini coprono le scritte con i disegni (gazzettadimodena.it)

di Manuel Marinelli

La condanna del sindaco Righi: «Un vile atto 
vandalico, ma questa dei piccoli studenti è la 
risposta migliore»

No-vax imbrattano le scuole Saltini di Carpi: i bambini coprono le scritte con i disegni

I “no-vax” colpiscono ancora.

Questa volta nel mirino del gruppo “Vivi” sono finiti i muri della scuola elementare Saltini di via Magazzeno a Carpi, imbrattati nella notte tra giovedì e ieri. “Vax e 5G=morte”, “Agenda 2030=frode”, “Solo bugie su vax, Co2 e pandemie”. Questo è quello che si sono trovati davanti i bambini all’inizio delle lezioni ieri mattina: scritte a caratteri cubitali realizzate con vernice rossa che inneggiano esplicitamente al complotto.

Le folli scritte rosse
C’è anche l’immancabile sigla, quella doppia V che identifica il gruppo ViVi, già tristemente noto per gli innumerevoli precedenti a Modena aumentati esponenzialmente durante e dopo la pandemia. Recentemente era stato preso di mira anche l’ex presidente della Regione Stefano Bonaccini, sui suoi manifesti elettorali era apparsa la scritta “Bonaccini nazista”.

Anche a Carpi l’episodio fa seguito a una lunga serie di imbrattamenti avvenuti negli ultimi tempi su luoghi pubblici. Sempre il 7 novembre, ma di due anni fa, i muri del liceo Fanti erano stati cosparsi di scritte analoghe a quelle apparse ieri notte alle elementari Saltini e quindi sempre a sfondo no-vax.

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A dicembre dell’anno scorso era invece stato vandalizzato l’ospedale carpigiano, con un chiaro messaggio minatorio nei confronti dei medici, definiti “provax assassini”. Più recentemente erano invece finite nel mirino le sedi elettorali dei candidati sindaco in occasione delle scorse elezioni.

Il gesto dei bimbi
I muri sono ora tornati allo stato originario, ma prima degli operai dell’azienda incaricata dal Comune sono intervenuti gli stessi bambini, che con un gesto simbolico ma dal grande significato emotivo hanno riempito le facciate con numerosi disegni.

E così, fogli e pennarelli alla mano, i giovani studenti si sono adoperati per coprire le indecorose scritte e ridare decoro alla loro scuola. “Non disegnare sul muro”, “Il Covid fa morire” si legge su alcuni di essi.

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Il sindaco
«Un vile atto vandalico, ancora una volta a danno di studentesse e studenti, piccoli e grandi, docenti nei loro luoghi di studio e formazione», ha commentato il sindaco di Carpi Riccardo Righi, che poi ha aggiunto: «Quali parole trovare per commentare l’imbrattamento di una scuola? Un gesto privo di senso che non merita certamente visibilità, ma questa delle bambine e dei bambini è la risposta migliore. Grazie. Questa mattina, ci siamo attivati per denunciare l’accaduto e le mura saranno prontamente ripulite. La ditta incaricata è già in loco e sta procedendo con i lavori».

Christian Raimo sospeso per tre mesi dall’insegnamento. L’Usr: “Gravi offese al ministro Valditara” (romatoday.it)

Il provvedimento

Il docente subirà anche una decurtazione del 50% dello stipendio. Protestano gli studenti dell’Archimede, dove Raimo insegna

Sospeso per tre mesi dall’insegnamento con una decurtazione del 50% dello stipendio. È il provvedimento disciplinare deciso dall’Ufficio scolastico regionale nei confronti di Christian Raimo, docente dell’Archimede, ex assessore alla Cultura nel municipio III e candidato alle scorse elezioni europee con Avs.

Perché Raimo è stato sanzionato

La decisione è stata presa per le critiche espresse da Raimo nei confronti del ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, dal palco della festa annuale di Avs, in occasione di un dibattito pubblico. Il docente era già stato colpito da una sanzione di censura lo scorso agosto per “Comportamenti non conformi”, in relazione a un suo intervento televisivo in cui aveva detto che i neonazisti “vanno picchiati” e all’attacco via social al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara.

“In merito alla recente sanzione inflitta al professor Christian Raimo a seguito di dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti del ministro Valditara che definiscono quest’ultimo ‘cialtrone’ e ‘lurido’ e che ‘va colpito come la Morte Nera’ – spiega il direttore generale dell’Usr, Anna Paola Sabatini – non possono essere considerate una critica costruttiva; al contrario, si configurano come un’offesa che viola i principi fondamentali di rispetto reciproco e dialogo civile. Preme ricordare che il docente era stato già precedentemente oggetto di sanzione perché, in occasione di un suo intervento in una trasmissione televisiva, aveva affermato di incitare i giovani alla violenza. L’offensività delle dichiarazioni assume un carattere di particolare gravità quando sono indirizzate a un rappresentante delle istituzioni. La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che tali affermazioni sono state proferite da un docente. I docenti ricoprono un ruolo fondamentale nella formazione delle giovani generazioni e dovrebbero rappresentare un esempio di comportamento etico e civile per gli studenti. Incoraggiare il rispetto e la tolleranza è parte integrante della loro missione educativa”.

E ancora: “Stupisce che si difenda a oltranza – sottolinea Sabatini – chi, nonostante il proprio ruolo educativo, abbia, oltretutto, nel proprio percorso dichiarato pubblicamente che avrebbe insegnato storia militare per formare truppe volte ad assediare il ministero dell’Istruzione, quanto fosse giusto picchiare un avversario politico, che abbia definito la premier in modi indicibili, e altri episodi analoghi divulgati peraltro anche attraverso mezzi caratterizzati da una diffusività elevatissima. Il suo ruolo di docente e di educatore, soprattutto, non può non tenere in considerazione che questa dicotomia non possa essere scissa”.

La mobilitazione all’Archimede

A Raimo è arrivata la solidarietà di studenti e studentesse dell’Archimede che, questa mattina, giovedì 7 novembre, si sono mobilitati in difesa del loro professore, esponendo uno striscione con scritto “Tre mesi di sospensione per un’opinione”. I ragazzi, inoltre, hanno convocato un’assemblea per discutere di quanto accaduto. Sul caso è intervenuto anche  il segretario nazionale di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni: “Un chiaro tentativo di intimidire una persona libera – spiega -. Colpirne uno per educarne cento, si sarebbe detto. È così che la punizione a Raimo diventa esemplare ed è un messaggio agli altri docenti, a studenti e studentesse e alle famiglie: la libertà di espressione e la libertà di dissenso costano e lo paghi a caro prezzo e sulla tua pelle”.

E, a proposito degli studenti che hanno manifestato in solidarietà con il docente, Fratoianni aggiunge: “Vogliamo raccogliere il loro testimone e ripartire dalla loro iniziativa di solidarietà e mandare anche noi un messaggio a tutte e tutti coloro che hanno paura: non siete soli. Noi siamo al loro fianco, non tolleriamo le ritorsioni di questi signori e signore con l’ossessione per i bavagli e i manganelli. Non ci faremo intimidire e non faremo passi indietro”.

E Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde e deputato di Avs aggiunge: “Quello che sta accadendo in questo Paese è ormai inaccettabile: ci troviamo di fronte a esponenti di governo che si sentono autorizzati a dire tutto e il contrario di tutto, sdoganando anche offese nei confronti di avversari politici e giornalisti, tutto ciò è inaccettabile”.

Solidarietà a Raimo anche dai parlamentari Pd delle commissioni Istruzione di Camera e Senato che, in una nota, spiegano: “Il governo nella sua ansia di creare nuovi reati vuole introdurre quello di lesa maestà? Il dissenso è il cuore della democrazia e la sospensione rischia di ledere pesantemente la libertà di opinione e costituisce un precedente inquietante. Raimo ha espresso un parere legittimo peraltro a una festa di partito e non nello svolgimento della sua funzione”.

La Flc Cgil: “Impugneremo il provvedimento”

Annunciano provvedimenti sulla vicenda le sezioni Flc Cgil di Roma e Lazio e nazionale, che fanno sapere che saranno attuate “tutte le azioni di tutela legale e sindacale per impugnare il provvedimento e invita tutto il personale a partecipare alle iniziative che saranno messe in campo a difesa della libertà di espressione”. E parlano, inoltre, di una “censura politica mascherata da sanzione disciplinare e prefigura una limitazione della libertà di espressione, garantita a tutti i cittadini nel nostro paese dalla Costituzione”.

Pratelli: “Provvedimento contro Raimo è un precedente gravissimo”

L’assessora alla Scuola del Comune di Roma, Claudia Pratelli, commenta così la notizia della sospensione: “Christian Raimo è un intellettuale prezioso che sta subendo una sanzione ingiusta, figlia di un approccio punitivo che non ammette dissenso e pensiero libero.Tre mesi di sospensione dall’insegnamento e stipendio dimezzato per aver espresso la sua opinione e per aver criticato nel merito le politiche messe in campo sulla scuola dal ministro Valditara.

È un precedente gravissimo, intimidatorio, che non può passare inosservato perché palesemente rivolto a dare un messaggio non solo a lui ma a chiunque abbia una idea che si discosta da quella del governo. Colpisce la reazione di solidarietà al professor Raimo degli studenti e delle studentesse della scuola dove insegna. Mi unisco a loro esprimendo a lui stima, vicinanza e amicizia”.

Il grande equivoco delle materie non-Lep (lavoce.info)

di  e 

Quattro regioni hanno chiesto maggiore autonomia 
su materie non-Lep, quelle che secondo la legge 
non dovrebbero ledere l’eguaglianza dei diritti 
civili e sociali. 

Pur nella totale mancanza di trasparenza del processo, alcuni esempi mostrano il contrario.

La trasparenza che manca sulle richieste di autonomia

Il processo di attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, innescato dalla legge 86/2024, la cosiddetta “autonomia differenziata”, avanza nell’opacità più assoluta. Persino alcuni ministri della Repubblica appaiono stupiti quando scoprono che materie di loro competenza, ad esempio la protezione civile o il commercio con l’estero, vengono ora richieste da alcune regioni.

Eppure, era ben noto che con l’entrata in vigore il 13 luglio scorso della legge 86/2024, le regioni avrebbero avuto la possibilità di iniziare immediatamente il negoziato con il governo per arrivare a una intesa sulle nove materie non-Lep, quelle cioè per le quali non è prevista la definizione di un livello essenziale delle prestazioni (Lep) che – come vuole la Costituzione – lo stato deve garantire in tutti i territori. Sappiamo, perché lo ha dichiarato lo stesso ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, al Consiglio dei ministri, che già il 25 luglio quattro regioni – Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte – hanno presentato richieste di maggior autonomia in queste materie.

Non c’è traccia però dei documenti relativi né sui siti istituzionali delle regioni né tantomeno sul sito del ministero per gli Affari regionali e le autonomie. Solo nel caso del Veneto, e solo perché il presidente ha dovuto riferirne al suo Consiglio regionale il 15 ottobre, qualche riferimento più preciso a un documento con le richieste della regione è stato fatto.

Si viene così a sapere che, per esempio, il Veneto ha chiesto funzioni su tutte le materie non Lep, la Lombardia su otto, Liguria e Piemonte su sei. Continuiamo però a non sapere con esattezza quali funzioni all’interno di quali materie sono state richieste da quali regioni.

In attesa fiduciosa che, per una banale ragione di trasparenza democratica, le regioni o il ministro si decidano a pubblicare i documenti relativi, quello che si sa sul processo di devoluzione in corso è comunque sufficiente a sollecitare qualche riflessione su un aspetto finora poco discusso, ma cruciale nel dibattito sull’autonomia differenziata. Si tratta del rapporto tra materie Lep e non Lep e dall’assoluta indipendenza tra i due gruppi di materie ipotizzata nella legge 86/2024. Proviamo a spiegare perché si tratta di un punto importante.

Lep e non-Lep

L’intera architettura della legge 86/2024 si regge sulla suddivisione delle 23 materie enumerate nel comma 3 dell’articolo 117 della Costituzione (e che coprono quasi tutto lo spettro dell’intervento pubblico) in materie Lep e materie non-Lep. Su queste ultime, con l’entrata in vigore della legge, le regioni possono chiedere subito maggiore autonomia (come hanno fatto appunto le quattro regioni). Sulle altre, invece, la richiesta non può essere avanzata finché i Lep relativi non siano stati definiti e quantificati in termini finanziari.

Dietro la dicotomia c’è l’idea che i Lep devono proteggere i diritti essenziali dei cittadini. Le regioni non possono richiedere funzioni nelle materie Lep finché non si sa quali siano i livelli essenziali delle prestazioni e come debbano essere finanziati, perché altrimenti la devoluzione potrebbe minare l’eguaglianza che deve essere garantita in tutti i territori in tema di diritti civili e sociali. Un rischio che il legislatore ha escluso a priori per le materie non-Lep.

La classificazione tra materie Lep e non-Lep è stata svolta da un Comitato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Clep), presieduto da Sabino Cassese.

La logica adottata dal Clep per distinguere i due gruppi si fonda sull’idea che vi siano materie per le quali vi è un legame diretto con la tutela di un diritto civile e sociale e quelle per le quali il legame non è immediato. Ipotizzando che la classificazione conseguente sia stata correttamente effettuata, è chiaro che la distinzione regge sul piano concettuale solo se si può introdurre una cesura netta tra i due gruppi di materie, per cui assegnare una funzione a una regione in una materia non-Lep non influenza il godimento dei diritti sociali dei cittadini in una materia Lep.

Altrimenti, la distinzione è spuria e prima di devolvere a una regione una funzione in una materia non-Lep si dovrebbe tener conto dei possibili effetti che la devoluzione ha sulle materie Lep. Come stanno allora le cose? Un paio di esempi aiutano a chiarire la questione.

Due esempi

Una cosa che sappiamo con sicurezza (perché lo ha annunciato lo stesso ministro Roberto Calderoli è che Veneto, Lombardia, Liguria e Piemonte hanno richiesto la materia “protezione civile”, cioè personale, funzioni, materiali, risorse ma anche autonomia nella regolamentazione e negli standard di servizio. Tuttavia, la protezione civile può essere funzionale a garantire materie Lep e se la devoluzione interferisce con questo processo si crea potenzialmente un problema molto serio.

Ad esempio, durante la pandemia da Covid-19, la protezione civile ha svolto un ruolo fondamentale nell’organizzazione dei servizi in funzione anti-pandemica, con in cima alla catena di comando lo stesso presidente del Consiglio dei ministri. Sarebbe stato possibile ottenere lo stesso servizio da un insieme di protezioni civili regionali, ciascuna delle quali risponde a un diverso organo politico, quale la regione? Sarà possibile farlo in futuro, con una nuova (possibile) pandemia?

Il punto importante da sottolineare qui è che, anche se si accetta che la protezione civile sia una materia non-Lep, dunque devolvibile alle regioni, la sua regionalizzazione potrebbe influenzare la capacità di offrire in modo uniforme sul territorio nazionale i servizi relativi alla “tutela della salute”, una materia invece chiaramente Lep. Allo stesso modo, potrebbe influire sulla tutela del territorio, anch’essa una materia Lep.

Leggi anche:  Quali sono i pericoli dell’autonomia differenziata

Più in generale, se la struttura organizzativa e di incentivi della protezione civile differisce da una regione all’altra, senza che siano introdotti e rispettati standard nazionali, nel caso di una emergenza, alcune regioni potrebbero non essere in grado di garantire l’organizzazione dei soccorsi, con ovvi effetti anche sul piano sanitario o di altre materie coperte dai Lep.

Che non si tratti solo di fisime teoriche, lo dimostra l’alluvione nell’area di Valencia, dove la protezione civile è regionalizzata, e dove si sono verificati ritardi nell’organizzazione dei soccorsi e rimpalli di responsabilità tra il governo centrale e quello regionale.

Il secondo esempio fa riferimento alla materia“Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, definita non-Lep dal Comitato Cassese. Pare certo che in questa materia almeno una regione si prepari a chiedere autonomia legislativa e amministrativa sul tributo speciale in materia di rifiuti, con la facoltà di definire i soggetti passivi, l’importo del tributo, le eventuali detrazioni o deduzioni e così via.

Il diavolo sta nei dettagli ma, di nuovo, pare evidente che decisioni autonome di una regione in questo contesto potrebbero essere in contrasto con la legislazione nazionale o europea sulla materia “Valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, cioè la protezione dell’ambiente, che è invece secondo il Clep una materia Lep.

La decisione sugli importi da pagare nel caso in cui si utilizzino discariche o impianti di incenerimento obsoleti, ovviamente, influenza il livello di inquinamento del territorio, su cui il Clep ha invece richiesto che ci siano standard, uniformi a livello nazionale, da rispettare.

I due esempi (se ne potrebbero fare anche molti altri) suggeriscono che la distinzione tra materie Lep e non-Lep, su cui si regge tutto il percorso di devoluzione immaginato dalla legge 86/2024, sia nei fatti molto fragile e non regga alla prova dei fatti. Esistono ovvie complementarità tra materie definite Lep e non-Lep.

Ma se le materie non-Lep influenzano il rispetto dei Lep in altri campi, come si può separare l’attribuzione delle prime dalle seconde? Il rischio del pasticcio istituzionale, del rimpallo di responsabilità e della montagna dei ricorsi alla Corte costituzionale è dietro l’angolo.

Forse conviene ripensarci, finché si è in tempo.