La sfida di Radio Gardenya (ilmanifesto.it)

di Gianluca Diana

Il libro Francesco Diasio, «Etere. Storie di 
radio antenne e frequenze dal mondo»

La sfida di Radio Gardenya

È un atto di pura poesia chiamare Radio Gardenya un’emittente all’interno di un campo profughi: «È una storia alla quale sono affezionato.

Parliamo del Kurdistan iracheno. In quella situazione di post conflitto abbiamo messo in piedi due radio. La prima nella capitale Erbil, la seconda nel campo profughi di Arbat, che conta circa duecentomila persone, nei pressi di Sulaymaniyah vicino al confine con l’Iran.

Radio Gardenya è stata un’esperienza eccezionale, in quanto siamo riusciti a installarla in un luogo che includeva culture diversissime e con tanti giovani che avevano veramente voglia di fare pur non avendo gli strumenti necessari».

Lui è Francesco Diasio, di mestiere specialista internazionale di comunicazione per lo sviluppo per conto della FAO. Prima di questo è stato segretario generale dell’Associazione Mondiale delle Radio Comunitarie, ha fondato e portato avanti Amisnet a cui si è dedicato dopo l’esordio presso l’emittente romana Radio Città Futura. Una vita dedicata alla diffusione del mezzo radiofonico e alle istanze libertarie che questo può portare con sé.

Quanto accaduto negli ultimi venticinque anni, Diasio lo ha raccontato nel libro Etere. Storie di radio, antenne e frequenze dal mondo che include anche la prefazione di Marino Sinibaldi, la postfazione di Francesca Paci e le illustrazioni di Gianluca Costantini.

Il progetto ha un carattere multimediale in quanto implementa qrcode che rimandano a inserti audio e visuali provenienti direttamente dalle missioni svolte da Diasio in giro per il mondo. Le narrazioni incluse nel testo sono il racconto dei progetti da lui seguiti in vari continenti, a cui si aggiunge volta dopo volta una descrizione storico-politica per aiutare il lettore a contestualizzare al meglio.

Sempre su Radio Gardenya: «Si è trattato di un momento particolare. Di fatto, una radio pirata. Mentre per la radio ad Erbil abbiamo svolto ogni procedura necessaria per avere la licenza ufficiale, dentro il campo dei rifugiati questo era impossibile. Nei fatti, abbiamo acceso una frequenza tenendo la potenza di trasmissione bassa di modo che il segnale rimanesse all’interno del campo.

Al cui interno va ricordato che si trovano anche rifugiati iracheni, siriani ed altri ancora. Ognuno con la sua lingua e il proprio credo religioso: mettersi attorno a un tavolo per avere una sorta di politica editoriale comune è stata una sfida. Riuscita».

Sfogliando il libro, ci si rende conto di come il lavoro di Diasio e di chi con lui ha collaborato, equivale per certi versi ad una missione. Raggiungere territori mai agevoli e dove prosperano difficoltà di vario genere per impiantare trasmettitori e antenne, costruire studi e redazioni, ha indubbiamente con sé l’aura di un mestiere quasi ottocentesco.

Detratte le considerazioni romantiche, rimane l’importanza dell’accensione di un megafono che permette di diffondere notizie, insegnamenti, confronti e critiche politiche e sociali al potente di zona del momento. L’accessibilità al messaggio on air, ha un valore politico nei contesti geografici in cui viene irradiato.

Significativa in tale direzione è la presenza reiterata da Diasio in Tunisia: «È stata per certi versi l’emblema delle primavere arabe, con quella luce di speranza che in tempi recenti purtoppo non brilla più come prima. Da quelle parti è stato fatto un doppio lavoro: prima della caduta di Ben Ali sostenendo in maniera clandestina gli attivisti per i diritti umani che volevano un proprio strumento di comunicazione, supportandoli sia dall’Italia che facendo formazione in loco, così permettendogli di metter su delle strutture che aggirassero la censura in Tunisia.

Dopo la caduta di Ben Ali, in quanto si sono aperte praterie di possibilità, agevolandoli nella scrittura di regolamenti e leggi di settore e allo stesso momento aiutando le radio clandestine che uscendo allo scoperto hanno pian piano ottenuto l’accesso alle licenze di trasmissione e conseguentemente, necessitavano di strumentazione e formazione per l’utilizzo delle stesse, orientamento al lavoro e messa in rete fra di loro per far si che non lavorassero in maniera isolata».

Il racconto scivola agile e privo di tecnicismi, zeppo invece di aneddoti in cui la Tunisia di Diasio è anche quella delle giornate in cui incontra attivisti, si da il via a Radio Kalima, si cerca di far entrare trasmettitori in incognito divisi in vari pezzi, si incontra chi sta facendo nascere un’altra radio dal nome meraviglioso, Radio 3R, dove la consonante sta per Regueb, Révolution, Renouveau.

Capitolo dopo capitolo ci si ritrova in Mauritania, dove gli viene chiesto di favorire lo sviluppo del settore radiofonico indipendente giungendo fino nel meridione del paese a Kiffa distante circa ottocento chilometri da Nouakchott, dalle parti di Pristina, Kosovo, per cercare di supportare Radio 21 mentre attorno si respira ancora l’atmosfera funerea lasciata dalle Tigri di Arkan, ed ancora ad Islamabad in Pakistan nel 2010 per raggiungere Power 99 FM tra aree interdette alla telefonia e green zone di sicurezza.

Oltre ogni memoria, quello che emerge dalle pagine con veemenza è l’importanza del senso di responsabilità di un lavoro che ha numerosi punti di contatto con quelle che sono le regole auree del giornalismo di frontiera.

In primis, il rispetto per il fixer e relative figure che sul campo sono d’aiuto durante i progetti svolti: «Questo pericolo esiste. Una delle cose che bisogna sempre tener presente, soprattutto quando si parla di sostegno ai giornalisti in caso di pericolo, è che spesso si compie l’errore di tirar su progetti con strumenti fantastici per poi non curarsi delle conseguenze del proprio operato una volta tornati a casa nel nostro mondo sicuro, mentre le persone che restano in quei territori sono quelle che rischiano davvero.

Non bisogna mai spingersi troppo in là, non bisogna mai pensare che il nostro mondo ideale di libertà di espressione sia quello che vogliamo installare. Il meglio è nemico del buono, per cui cercare la migliore soluzione spesso e volentieri è nemico del trovare la soluzione buona, accettabile in quel contesto. Questa è una cosa da non dimenticare mai. Il pericolo è che quando finiscono le attività sul campo, i progetti si afflosciano o muoiono.

In tale senso, uno degli elementi su cui ho sempre cercato di lavorare assieme a colleghe e colleghi sul posto, è stato quello di garantire una sostenibilità. Ovvero come riuscire a far si che una volta finiti i soldi di un progetto, le strutture possano continuare ad andare avanti. Con una sostenibilità che deve essere prima sociale e poi finanziaria: solo con quella sociale la rete che lavora sul territorio attorno a te, può trovare una sostenibilità reale e quindi economica.

Tutto ciò, può trasformarsi in una politica editoriale della radio, aperta a nuove esperienze e gruppi sociali. Dobbiamo pensare che tutte queste cose debbano continuare a lavorare quando noi andremo via. E chi vi è dentro, che possa farlo in sicurezza».

Vietare la propaganda del rifiuto consapevole di avere figli: è l’obiettivo della legge in discussione alla Duma russa

Vietare la propaganda del rifiuto consapevole di 
avere figli: 
è l’obiettivo della legge in discussione alla Duma russa.
Questo è l’argomento affrontato nell’ultima puntata di “Postsovietika”, rubrica
In Russia ci si appresta a dichiarare ‘estremista’ il movimento ‘childfree’, proibendo a media, Internet, film o pubblicità, di dare spazio a chi difende la propria scelta di una vita senza figli.
Esattamente come avvenuto con la messa al bando del ‘movimento internazionale Lgbt’: non è reato l’omosessualità, ma lo è la propaganda di un movimento che pure non ha personalità giuridica.
La direttiva inequivocabile del putinismo: dare figli alla Patria, scoraggiare l’aborto, ma anche la carriera professionale delle donne poiché – come ha detto il Ministro della Salute- le laureate fanno meno figli. Un’altra legge in discussione alla Duma prevede il divieto di adottare bambini da Paesi che consentono la transizione di genere.
Intanto scendono fino ad azzerarsi i numeri dei bimbi russi adottati all’estero: un trend che ha avuto una svolta con il divieto all’adozione negli Usa, imposto come ritorsione per l’adozione del ‘Magnitsky Act’. I bambini russi sono quindi condananti all’orfanotrofio.
Puoi ascoltare la puntata integrale di “Postsovietika” on demand sul sito di Radio Radicale:

I dialetti sono un grosso problema per i tribunali (ilpost.it)

di Isaia Invernizzi

A causa di scarse competenze e trascuratezza spesso 
si generano errori nel trascrivere le 
intercettazioni, che possono portare persino a 
condanne ingiuste

La trascrizione di una conversazione in dialetto intercettata tra un uomo accusato di omicidio e sua madre sembrava una faccenda veloce, che in poco tempo avrebbe permesso di arrivare a una sentenza.

Invece un anno fa il tribunale di Udine si trovò con un problema inaspettato: quando l’interprete del dialetto foggiano scelto dal tribunale iniziò ad ascoltare le conversazioni si rese conto di non capire quasi nulla. L’uomo accusato di omicidio e la madre erano di San Severo, una cittadina della provincia di Foggia, in Puglia, e per questo parlavano in dialetto sanseverese, più peculiare e diverso dal foggiano. L’interprete fu costretto a rinunciare all’incarico e il tribunale dovette cercare un nuovo interprete esperto di sanseverese, perdendo molto tempo.

Quando nei processi c’è di mezzo il dialetto, tuttavia, i ritardi sono la conseguenza più trascurabile. Ce ne sono alcune più gravi, tra cui la più grave di tutte: il dialetto trattato con superficialità può portare a condanne ingiuste, a volte clamorose.

Il dialetto è parte di un problema più generale che riguarda l’utilizzo delle intercettazioni, su cui negli ultimi anni si sono basate moltissime inchieste e che sono servite a motivare molte sentenze di condanna. Il rischio più significativo e trascurato nell’uso delle intercettazioni riguarda la fedeltà della trascrizione delle conversazioni registrate, perché in Italia non ci sono criteri condivisi o prassi ufficiali da seguire.
Ogni persona incaricata fa un po’ come vuole: c’è chi trascrive tutto parola per parola, chi si limita ai dialoghi più interessanti, chi sottolinea alcuni passaggi. Non è prevista nemmeno una professione specifica. Le trascrizioni vengono fatte talvolta dalla polizia giudiziaria, a volte dai trascrittori forensi che però hanno formazioni molto diverse, in altri casi da periti incaricati dalle parti.
Da anni esperti di linguistica forense lamentano queste approssimazioni, che i tribunali invece tollerano e giustificano forti di una sentenza della Cassazione che nel 2018 minimizzò questi problemi, definendo le trascrizioni una «mera trasposizione grafica» delle intercettazioni. In realtà molti studi italiani e internazionali hanno dimostrato che la trascrizione di un’intercettazione è un’operazione molto più complessa di una semplice trasposizione grafica, esattamente come è complesso il parlato.

Oltre al contenuto sono importanti la forma, le pause, il contesto e il non detto, i rapporti tra le persone intercettate. Uno dei motti di chi si occupa di linguistica forense dice che una trascrizione troppo “pulita” non è mai una buona trascrizione. A tutto questo il dialetto aggiunge un ulteriore livello di complessità e di difficoltà, anche in questo caso trascurato dal sistema giudiziario italiano.

Chi trascrive una conversazione in dialetto non può far altro che utilizzare una tastiera da PC e quindi adattare le regole della lingua italiana al dialetto che sta sentendo. A dispetto della sua trascrizione, tuttavia, il dialetto può essere pronunciato in diversi modi non riproducibili precisamente in forma scritta. «Una parola scritta può essere pronunciata in due modi completamente diversi: vale per tutti i dialetti», dice Luciano Romito, professore di glottologia e linguistica, oltre che direttore del laboratorio di fonetica dell’università della Calabria.

«Come si può trascrivere questa differenza? E siamo certi che il magistrato o il giudice capisca questa differenza? Inoltre il nostro parlato è “multi-modale” [cioè avviene in modi diversi che riguardano anche la postura e il tono di voce, ndr] e moltissimo dipende dall’intenzione con cui pronunciamo una parola. Tutto questo è ancora più complicato nei dialetti».

Nelle indagini possono essere commessi molti errori di trascrizione, che spesso si trascinano durante i processi fino alla sentenza definitiva. In alcuni casi gli stessi errori sono la causa di condanne ingiuste. La storia di Angelo Massaro è esemplare in questo senso. Massaro fu arrestato il 15 maggio del 1996 con l’accusa di avere ucciso un uomo, Lorenzo Fersurella, in provincia di Taranto. La procura chiese il suo arresto grazie a un’intercettazione fatta nel 1995 durante un’indagine per spaccio di stupefacenti, in cui Massaro era stato coinvolto e per il quale era stato poi condannato a 10 anni di carcere.

Dalle intercettazioni ambientali per le indagini sui reati di spaccio, venne estratta una frase in particolare. Parlando con la moglie al telefono una settimana dopo che Lorenzo Fersurella era scomparso, Massaro aveva pronunciato una frase che venne fraintesa. Massaro disse, in dialetto: «Sto portando stu muers». Muers, in dialetto pugliese, è una parola che si usa per indicare qualcosa di pesante e che è d’impaccio, come lo slittino da neve che Massaro stava trasportando sulla sua auto. Nei verbali “muers” diventò “muert”, morto. Nel 2017 Massaro venne assolto dopo aver trascorso più di vent’anni in carcere per colpa di quella consonante mal trascritta.

Un altro rischio dovuto al dialetto riguarda l’identificazione della persona intercettata, un lavoro che come nel caso delle trascrizioni viene assegnato a persone senza una formazione specifica. «Quando le voci usano il dialetto la comparazione è più complicata e incerta, anche perché non esiste una banca dati che comprende i dialetti», dice Milko Grimaldi, direttore del centro di ricerca interdisciplinare sul linguaggio dell’università del Salento.

«Servono studi approfonditi sulle peculiarità dialettali di una determinata area geografica, a volte molto piccola. Va analizzato l’uso delle vocali, l’esclusione di alcune precise parole. Insomma, non è affatto semplice».

Nel 2017 Grimaldi realizzò la perizia fonica che portò alla liberazione di Medhanie Tesfamariam Berhe, un uomo eritreo all’epoca 29enne, detenuto per un anno e mezzo in carcere perché accusato di essere Medhanie Yehdego Mered, uomo di 35 anni originario dell’Eritrea, uno dei capi di una grande organizzazione con base in Libia che gestiva il traffico di migranti verso l’Europa.

Le prove presentate dalla procura si basavano sull’uso di un software per l’analisi della voce non in grado di riconoscere la lingua eritrea parlata da Medhanie Yehdego Mered nell’intercettazione, il Tigrinya, e per questo erano poco attendibili. La perizia fonica di Grimaldi confermò che la procura aveva commesso un errore.

Sia Grimaldi che Romito vengono chiamati spesso dagli avvocati per realizzare perizie di parte, o dai giudici per le perizie chieste dai tribunali per risolvere problemi simili che interessano intercettazioni in dialetto. Quando – quasi sempre – vengono fatti errori in fase di trascrizione, i processi durano molto di più e in molti casi non arrivano nemmeno a conclusione: le udienze si trascinano tra i conflitti di difesa e accusa.

«Si affidano a noi periti pensando di trovare una soluzione definitiva, ma se i danni sono stati fatti alla base è tutto più difficile», dice Grimaldi. «L’uso delle intercettazioni è cresciuto moltissimo come fonte di prova, mentre non è cresciuta la sensibilità nel valutare questo materiale. Molti processi che potevano essere risolti in primo grado arrivano perfino alla revisione».

Secondo Romito c’è anche una sorta di dipendenza di magistrati e giudici nei confronti delle trascrizioni, che vengono considerate quasi sempre certe e inconfutabili. «Quando vengo chiamato come perito, se quello che dico non rispetta la linea del pubblico ministero sostenuta dalle trascrizioni il problema divento io e non più la trascrizione», dice. «I giudici potrebbero “tornare sulla bobina”, come si dice in gergo, cioè ascoltare le intercettazioni e magari rendersi conto che si sente poco, che c’è troppo rumore e che quindi le intercettazioni sono inutilizzabili, eppure non lo fanno quasi mai».

Questa generale approssimazione nel trattare le intercettazioni, in particolare quelle in dialetto, dipende molto dal fatto che i trascrittori non sono professionisti certificati: vengono pagati pochissimo per trascrivere ore e ore di intercettazioni e sono tutti precari. Lo scorso 19 marzo i sindacati hanno organizzato uno sciopero nazionale proprio per chiedere condizioni di lavoro migliori.

Oltre a non esserci un albo professionale dei trascrittori, in Italia non esiste un protocollo ufficiale per le buone prassi o un percorso formativo obbligatorio e unico. Una proposta di linee guida per i trascrittori è stata fatta dall’Osservatorio sulla linguistica (OLF) forense, costituito da un gruppo di professionisti e professioniste che lavorano anche nel sistema giudiziario italiano, e che da tempo chiedono maggior attenzione su questo tema.

Sulla base di quel documento, finora soltanto Toscana, Lazio, Marche, Abruzzo, Basilicata e Calabria hanno riconosciuto ufficialmente le figure di “tecnico di analisi e trascrizione di segnali fonici” e “tecnico di gestione della perizia di trascrizione in ambito forense”.

SCRITTE PRO PUTIN SULLA CHIESA, IL SINDACO: «NO AI FANATISMI» (medianordest.it)

di Lina Paronetto

SUSEGANA

A Susegana profondo sdegno per la comparsa di scritte inneggianti a Vladimir Putin sulla facciata di una storica chiesa e altri muri del paese. «No ai fanatismi», ammonisce il sindaco.

A distanza di poche ore dall’annuncio della morte, in un carcere siberiano, di Aleksej Navalny, principale oppositore di Vladimir Putin, sulla facciata della chiesa dell’Annunciata, a Collato, all’ex concessionaria Brinobet e su un muro vicino a un supermercato sono apparse delle scritte inneggianti proprio al presidente russo.

Parole con la vernice rossa, probabilmente nella notte. Duro il commento del sindaco Gianni Montesel, che condanna l’atto in sé, ma anche quella che considera una profanazione di una chiesa. – Intervistati GIANNI MONTESEL – SINDACO DI SUSEGANA (Al telefono)

Il surreale fronte draghiano con gli antidraghiani e senza l’unico che voleva Draghi (linkiesta.it)

di

Campato in aria

Il Pd sta costruendo un polo con tutti tranne Renzi, a conferma che l’unica cosa che gli interessa è cancellare il suo ex segretario. Calenda va a vedere, ma come fa Azione a stare con Di Maio e con quelli contrari ai rigassificatori e alla concorrenza (i quali, peraltro, parlano anche di alleanza tecnico-tattica con Conte)?

Le quattro notizie politiche rilevanti di giornata sono che il Pd vuole fare un raggruppamento con tutti tranne che con Matteo Renzi; che i cespugli di sinistra immaginano di allargare il campo a Conte con fantomatiche alleanze tecniche o tattiche o non politiche (insomma, un imbroglio); che Renzi non si alleerà con il Partito democratico e i suoi satelliti radical populisti, anche perché non lo vogliono; e che Carlo Calenda ed Emma Bonino hanno offerto alle forze politiche draghiane, quindi a Pd e a Renzi ma non agli antidraghiani di sinistra, un elenco di principi di governo su cui costruire un’offerta elettorale in vista del voto del 25 settembre.

Il Pd potrebbe serenamente sottoscrivere i punti calendiani, ma i suoi cespugli no. Renzi è più d’accordo di Calenda sull’agenda Draghi. Calenda ha sempre detto che non si può alleare con i cespugli antidraghiani. Renzi e Calenda non si sopportano per ragioni ignote ai loro elettori.

Far quadrare i conti è pressoché impossibile, ma in questa surreale stagione politica italiana, stravagante anche negli ambienti non populisti, due più due non fa quattro. Fa un risultato senza senso.

Senza senso perché il Pd vuole fare un fronte larghissimo contro il pericolo sovranista, con dentro Fratoianni, Bonelli, Di Maio, Calenda e Gelmini, quindi con metà dei Cinquestelle e con gli ex berlusconiani, ma non con il suo ex segretario che lo aveva portato a Palazzo Chigi e addirittura al 40 per cento. È senza senso anche l’alleanza di Calenda e Bonino con i cespugli populisti a sinistra del Pd.

Se le cose dette avessero un senso, infatti, Azione e Più Europa non potrebbero coalizzarsi col Pd allargato agli antidraghiani e ai populisti redenti in zona Cesarini perché i loro voti contribuirebbero all’elezione di Di Maio, di Fratoianni e di Bonelli, di quelli che non hanno votato la fiducia a Draghi e di quelli che non vogliono i rigassificatori e i termovalorizzatori (per tacere dell’ala collaborazionista contiana dentro il Pd).

Tra l’altro, in questo modo, il bel progetto repubblicano presentato ieri da Calenda e Bonino perderebbe credibilità nel provare ad attrarre i voti in libera uscita da Forza Italia, specie se ci sarà – come ci sarà – anche un’offerta renziana autonoma dai due poli.

L’unico senso politico di questo scenario grottesco è quello che ha attraversato trasversalmente da sinistra a destra, ma con particolare irragionevolezza a sinistra, tutta l’ultima legislatura: non importa chi vincerà le elezioni, non importa quale governo si farà, l’importante è cancellare ogni traccia di Renzi e questa è la priorità più urgente che ci sia.

A rendere lo scenario ancora più bizzarro è che l’alleanza centrata sull’agenda Draghi escluderebbe proprio il leader politico cui dobbiamo Draghi a Palazzo Chigi, per un veto del Pd che a suo tempo fece di tutto per tenere Conte al governo («abbiamo un solo nome: Giuseppe Conte») e per dirla tutta anche Calenda, al momento della nomina di Draghi, rimase spiazzato dalla mossa di Renzi.

Quindi nascerebbe un fronte repubblicano pro Draghi ma senza il leader che ha preparato, da solo, l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi ma con quelli che non volevano defenestrare Conte per niente al mondo. Un capolavoro della commedia all’italiana.

Se il dio della ragione decidesse di tornare nella nostra landa disperata ci sarebbero soltanto due sole scelte sensate a disposizione dei partiti costituzionali e repubblicani: un ampio fronte repubblicano dal Pd agli ex di Forza Italia, ovviamente con Renzi e senza quelli che non vogliono i rigassificatori e la concorrenza (cioè quelli che non vogliono il Pnrr e l’indipendenza da Putin).

Oppure una più tradizionale offerta socialdemocratica guidata dal Pd di fianco a una nuova formazione liberal-democratica indipendente dai due poli di sinistra e di destra.

La prima opzione pare che non sia più possibile, per le ragioni di cui sopra (Renzi deve morire). La seconda, a questo punto, è affidata alla coerenza di Calenda, il quale fin qui ha sempre detto che con Di Maio e con quelli del No non vuole avere niente a che fare, e anche una maggiore umiltà di Renzi (e dei renziani).

I due dovrebbero mettere da parte diffidenze e risentimenti e – sulla base dei principi ideali della famiglia politica di Renew Europe, dove stanno già comodamente insieme, e dei punti programmatici presentati ieri da Azione e Più Europa – e costruire un soggetto politico nuovo, comune, liberaldemocratico, aperto ai riformisti e agli elettori di Forza Italia, indicando Mario Draghi come prossimo presidente del Consiglio.

Sarebbe l’unica vera novità politica italiana di questa sfortunata stagione, un rifugio per quelli che non si rassegnano al destino bipopulista o al fuoco incrociato tra neo, ex, post fascisti e neo, ex, post comunisti. Basterebbe volere questa novità, come diceva Mario Draghi, «whatever it takes», a ogni costo.

Lessico vaccinale (podcast)

"Lessico vaccinale" di Silvia Bencivelli - 
Volete capire com'è fatto e come funziona 
un vaccino? 

Come si raggiunge l’immunità di gruppo? O come si fa una sperimentazione di nuovi vaccini? Ecco dieci lemmi – da eradicazione a effetti collaterali, passando per antìgene e no vax – per conoscere meglio uno degli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione per la lotta a molte malattie, e non solo covid19, mentre parte la più estesa campagna di immunizzazione mai realizzata nella storia.

01 Vaccino

02 Eradicazione

03 Copertura vaccinale

04 Antigene

05 Adiuvante

06 No Vax

07 Sperimentazione

08 Efficacia

09 Effetti collaterali

10 Calendario vaccinale