L’angolo fascista
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di Juanne Pili
I danneggiati da vaccino Covid o presunti tali non vengono sottoposti a eutanasia in Canada.
Analisi
Ecco un esempio di come queste narrazioni sui danneggiati dal vaccino vengono tradotte in italiano e diffuse nei Social network:
IL CANADA INIZIA A PRATICARE L’EUTANASIA AI CITTADINI DANNEGGIATI DAL VACCINO COVID.
Il governo di Justin Trudeau ha lanciato un piano agghiacciante: l’eutanasia dei canadesi che hanno subito gravi lesioni da vaccino COVID – gli stessi vaccini che Trudeau ha imposto alla nazione. Costretti, obbligati e ora scartati, questi individui si trovano in un sistema che non li protegge.
Con l’aumento dei casi di lesioni da vaccino e l’impennata dei costi sanitari, l’amministrazione Trudeau si trova ad affrontare una crisi crescente. Servono miliardi per curare i feriti da vaccino, ma al posto delle cure c’è l’eutanasia! Si profilano cause legali che potrebbero distruggere finanziariamente sia Big Pharma che il governo canadese, così il regime sceglie di mettere a tacere ed eliminare chi soffre.
Il Canada, un tempo simbolo di libertà, ora mette a tacere coloro che hanno bassi punteggi di credito sociale, una realtà terrificante nascosta dal silenzio dei media. Ma la verità sta venendo fuori.
L’amministratore delegato della Pfizer, Albert Bourla, rischierebbe l’ergastolo per aver presumibilmente mentito a miliardi di persone sulla sicurezza del vaccino COVID. Bambini danneggiati, famiglie devastate – tutto per profitto. Ora un tribunale olandese ha preso in mano la situazione, con l’obiettivo di rendere giustizia alle vittime di questo inganno globale.
Bourla ha promesso al mondo un vaccino “sicuro ed efficace”, esortando miliardi di persone a prenderlo senza fare domande. Vite sono state distrutte, bambini lasciati con problemi cardiaci, famiglie distrutte, tutto per i guadagni di Pfizer….
Versioni distorte allo stesso modo hanno raggiunto anche i canali Threads italiani. Spiccano anche personaggi già noti alla sezione Open Fact-checking, come Cesare Sacchetti, diffusore di numerose bufale e teorie del complotto da lui riportate in svariati episodi:
In Canada intanto hanno iniziato a dare l’eutanasia ai vaccinati. L’unica cosa che sanno fare i sistemi liberali è uccidere. Prima con i sieri, poi se stai male per causa di questi, non ti curano: ti aiutano a morire più in fretta.
Le origini della narrazione
Riguardo ai presunti danneggiati dal vaccino che verrebbero eutanizzati abbiamo trovato solo un articolo del National Post che tratta di un uomo dell’Ontario, il quale avrebbe ottenuto «l’eutanasia per la controversa “sindrome post vaccinazione COVID-19″».
Mentre la narrazione sul fantomatico complotto del governo canadese, volto a “eliminare” questa tipologia di pazienti, proviene da tabloid come The People Voice, oppure da altri canali social che millantano di fare tali affermazioni a nome di Julian Assange.
Adrian Wong si era già occupato del caso nella sua analisi su TecHarp. Innanzitutto è molto improbabile che una eutanizzazione di questi presunti danneggiati dal vaccino non risultino al MAiD Death Review Committee (MDRC), organizzazione che segue la pratica del suicidio assistito in Canada.
Come accennato, tutto parte dalla distorsione di un caso: quello di un certo Mr. A dell’Ontario, che secondo la narrazione sarebbe stato affetto da «”sofferenza e declino funzionale” dopo due vaccinazioni anti-COVID-19 e una dose di richiamo», per cui avrebbe deciso alla fine di sottoporsi a suicidio assistito.
Tuttavia, tale narrazione non risulta dai report del MDRC (potete consultarli qui e qui), secondo i quali «l’uomo è stato sottoposto a “test clinici approfonditi” senza alcun risultato diagnostico. Infatti, più specialisti non sono stati in grado di formulare una diagnosi univoca per ciò che stava vivendo».
«Quindi – riporta Wong nella sua analisi (il grassetto è nostro, Ndr) -, i valutatori del MAiD “hanno ritenuto” che, poiché non c’era una diagnosi effettiva da parte di nessuno degli specialisti da lui visitati, l’uomo doveva aver sofferto di “una sindrome post-vaccino”, anche se l’uomo aveva una storia di salute mentale significativa nota di depressione ed esperienze traumatiche. In effetti, gli psichiatri hanno notato che potrebbe avere avuto ansia da malattia/disturbo da sintomi somatici, in cui una persona si concentra eccessivamente sui sintomi fisici, tanto da causare un forte disagio emotivo. In altre parole, i suoi sintomi potrebbero essere stati lievi ma sono sembrati esagerati a causa di “ansia da malattia/disturbo da sintomi somatici“».
Conclusioni
Abbiamo visto che l’anonimo signore dell’Ontario non è stato eutanizzato. Sicuramente non ha ottenuto il suicidio assistito per effetti collaterali dovuti a vaccinazioni Covid. Sappiamo solo che chiese di porre fine alla sua vita perché viveva un estremo disagio emotivo dovuto a una grave forma di depressione. Infine, non esistono danneggiati da vaccino che stanno subendo il medesimo trattamento in Canada.
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di
Sulle pagine di alcuni giornali online nelle scorse settimane sono state riportate le parole di un ematologo, il dottor Corrado Perricone, che parla di vaccino anti-COVID e cancro.
Titolava la testata Il Roma, il primo novembre:
Perché il vaccino anticovid 19 ad mRNA può causare il cancro
Sulla testata l’intervento dell’ematologo è descritto come opinione, visto che mancano i fatti che dimostrino quanto sostenuto da Perricone. Ad oggi, come più volte abbiamo ripetuto su queste pagine, non esistono dati che dimostrino un aumento significativo dei casi di cancro attribuibili ai vaccini mRNA.
Le associazioni che si occupano di studi sulla diffusione dei tumori in Italia, come AIOM e AIRC, hanno difatti evidenziato come l’aumento delle diagnosi (e non dei casi) sia legato a miglioramenti nello screening e nei metodi diagnostici, non all’uso dei vaccini.
L’aumento degli anticorpi IgG4 è una risposta immunitaria normale e non indica un danno al sistema immunitario o un aumento del rischio di cancro. L’idea che ci sia un collegamento tra IgG4 e malattie viene da uno studio tedesco che però non riporta quei risultati come verificati, e come diciamo spesso in questi casi dare a intendere diversamente è sbagliato.
Come anche la teoria secondo cui la proteina Spike presente nei vaccini mRNA sopprimerebbe il meccanismo di riparazione del DNA NHEJ (Non-Homologous End-Joining) non è supportata da studi scientifici riconosciuti. Purtroppo ci si annoia a ripeterlo, ma a oggi le autorità sanitarie internazionali – che non sono le case farmaceutiche, anche se molti sembrano non rendersene conto – confermano la sicurezza dei vaccini mRNA.
Le affermazioni dell’ematologo italiano sono le sue opinioni personali, che una testata giornalistica seria non dovrebbe riportare se non spiegando chiaramente quanto vi abbiamo riassunto qui sopra.
In conclusione ci tengo a riportare una cosa che a molti non è chiarissima. BUTAC si occupa di fact-checking, ovvero verifica dei fatti, e quanto riportato qui sopra è appunto un fatto, supportato da studi e pareri autorevoli. A volte nelle mail di critica che riceviamo ci scrivete che “tanto noi andiamo dietro al mainstream e difendiamo sempre i potenti”, ecco, questa è una balla. Di quelle grosse, e che chiunque dotato di spirito critico e capacità di analisi saprebbe smontare in poco.
Basterebbe vedere quante volte abbiamo attaccato i “giornaloni” e i giornalisti, e vedere come funzionano gli articoli di fact-checking per rendersene conto.
Ma ormai abbiamo fatto il callo a questi attacchi, e siamo consci della poca utilità di articoli come questo: i nostri lettori abituali non ne hanno bisogno, i nostri detrattori non andranno più in là del titolo e del meme.
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“Destra e sinistra? Superate”.
Campagna elettorale a mezzo servizio, perché deve tenere aperto il negozio La profezia: “L’onda americana arriverà anche qui, l’attuale classe politica sarà travolta”
Ultimo viaggio con i candidati alla presidenza della Regione. Il Carlino ha passato una giornata insieme con Luca Teodori, sostenuto da ’Lealtà, Coerenza, Verità.
L’outsider di queste elezioni Regionali si presenta come il candidato della porta accanto, ma basta parlarci qualche minuto che si lascia andare a idee con forti accenti anti-sistema.
“Non sono un politico di professione, come tutti devo portare a scuola i figli, aprire il mio negozio, tornare a casa da mia moglie la sera. L’attività politica la faccio, ma dopo (o durante) le mie faccende quotidiane. O in pausa pranzo e nei weekend. La mia vita è quella di un qualsiasi normale cittadino anche in campagna elettorale”, dice Luca Teodori, aspirante governatore di ’Lealtà, Coerenza, Verità’.
Una lista civica che mette insieme le esperienze di Italexit, Isp, Udcl e Vita contro gli obblighi vaccinali, contro il ‘dominio’ dell’Unione Europea e della Nato, a favore della sovranità monetaria rispetto alla finanza, con idee come quella di creare una moneta regionale.
Teodori, attivista no-vax nel periodo del Covid (“l’obbligo vaccinale di massa durante la pandemia è stata una truffa”, ripete) e già segretario politico del movimento ’Vaccini Vogliamo Verità’, è ferrarese, ha 56 anni e come segno zodiacale è “scorpione ascendente scorpione”, come ci tiene a sottolineare.
La sua giornata elettorale inizia nella sua Ferrara come sempre attorno alle 7.30, quando va a prendere la colazione per le due bambine, dopo una breve passeggiata. Poi, accompagna la figlia alle elementari, e nel tragitto inizia a dettagliare i capisaldi del suo programma: “Quando diciamo no alla propaganda gender e Lgbt nelle scuole e no agli obblighi vaccinali pediatrici sappiamo di che cosa parliamo…”
Un’oretta dopo, si sposta a Copparo per aprire alle 8.30 il suo negozio del settore auto, un’attività che porta avanti da circa vent’anni. In pausa pranzo si dedica agli impegni politici. E, così, alle 12.30 Teodori raggiunge il corteo dei sindacati a favore della Berco, l’azienda metalmeccanica di Copparo, nel Ferrarese, che vede 480 dipendenti a rischio licenziamento.
L’aspirante presidente anti-sistema, però, sta in disparte. “Non mi piace speculare sulle persone, non sono qui per fare comizi”, taglia corto. E si presenta una mezz’ora dopo davanti ai cancelli della fabbrica per portare la sua solidarietà ai lavoratori. Poi fa la sua analisi personale della crisi: “Tutto nasce dall’ingresso nell’euro, basta guardare la curva della diminuzione dei salari…”.
La pausa pranzo è quasi terminata, sono le 14 e Teodori deve riaprire il negozio. Nel frattempo, però, “devo studiare un documento recapitato da alcuni agricoltori”, e fissare un incontro con “un comitato di cittadini di Bologna sul tema della sicurezza. Ci sono sempre più persone e commercianti che si sentono insicuri in tutto il nostro territorio. Questo è un problema concreto, ma che la classe politica sottovaluta.
La sinistra a livello ideologico fa fatica a parlarne, la destra si concentra solo sull’immigrazione”. Mentre è al lavoro, spiega, quindi, il suo pensiero oltre la destra e la sinistra: “Sono categorie superate. Magari posso essere d’accordo con l’uno o con l’altro su certe questioni, ma ciò che manca loro è la coerenza. Cosa che, invece, riguarda noi che siamo la vera novità di queste elezioni”.
Nessuna vicinanza al ’centro’: “Vorrebbe dire essere come Antonio Tajani o Matteo Renzi, per carità”. Alle 18.30 Teodori esce dal lavoro, un breve passaggio a Ferrara, per poi ripartire verso Reggio-Emilia per un incontro sulla scuola assieme a candidati e candidate della lista ’Lealtà, Coerenza, Verità’.
Prima di uscire, si lascia andare a una sua personale analisi delle elezioni Usa: “Trump ha vinto le elezioni grazie al voto dei No Vax. E quest’onda arriverà anche in Italia. Credo, anzi, che questa classe politica verrà travolta ancora di più che durante Tangentopoli”.
di Marzio Galeotti, Alessandro Lanza e Valeria Zanini
Il secondo mandato di Trump avrà conseguenze sulle politiche del clima a livello internazionale.
Molto probabilmente gli Usa usciranno dall’Accordo di Parigi e forse abbandoneranno anche l’Unfccc. L’Europa deve tornare a esercitare un ruolo di leadership.
I riflessi delle presidenziali Usa sulla Cop29
Le conseguenze per l’azione climatica internazionale del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca si potrebbero vedere già presto. Lunedì 11 novembre si aprirà infatti a Baku la 29esima Conferenza delle parti (Cop29) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), trattato firmato a Rio de Janeiro nel 1992, in cui per la prima volta i governi hanno riconosciuto la necessità di ridurre le emissioni di gas serra.
Se la storia del coinvolgimento degli Stati Uniti nel processo delle Cop non è mai stata lineare, con la mancata ratifica del Protocollo di Kyoto – al contrario ad esempio di quella dell’Unione europea, che ha guidato la leadership climatica internazionale sin dalla firma dei primi trattati -, il punto in cui gli Usa si sono più distaccati dal processo multilaterale per l’azione climatica è stato sotto la presidenza Trump, quando, nel 2017, si sono ritirati dall’Accordo di Parigi, il trattato su cui si fondano tutt’oggi gli sforzi di mitigazione e adattamento di tutti gli stati del mondo.
L’offensiva contro Accordo di Parigi e Unfccc
Il presidente Trump uscirà quindi di nuovo dall’Accordo di Parigi? Le probabilità sono alte (nonostante i target di Parigi siano già stati sorpassati nei fatti l’anno scorso), aumentate dalla facilità di ritirarsi dal trattato, che non è stato ratificato dal Senato.
È molto probabile però che si spinga addirittura oltre: tra le bozze di ordini esecutivi che potrebbe firmare nei suoi primissimi giorni nello Studio Ovale ce n’è uno che prevede la decisione degli Stati Uniti di uscire dalla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc).
Dal punto di vista legale, potrebbe essere più difficile, perché gli Stati Uniti hanno aderito all’Unfccc attraverso il processo di ratifica del Senato e, secondo molti, potrebbe essere necessaria una nuova votazione per l’uscita. Questa volta però, al contrario del primo tentativo nel 2017, Trump potrebbe avere il tempo di trovare una solida maggioranza a favore.
Durante la campagna elettorale, infatti, Trump ha più volte promesso di invertire la rotta dell’amministrazione Biden che negli ultimi quattro anni ha cercato di ripristinare la credibilità e la leadership degli Stati Uniti negli sforzi globali per il clima.
Nell’ambito dell’Accordo di Parigi, quasi 200 paesi si sono impegnati a limitare l’aumento della temperatura globale a lungo termine a 2°C sopra i livelli preindustriali e, idealmente, a 1,5°C. Gli Stati Uniti però sono la più grande economia del mondo, con un Pil annuo di oltre 27mila miliardi nel 2023 (contro i circa 18mila dell’Unione europea e della Cina), ma sono anche il secondo emettitore di gas a effetto serra, responsabili del 13 per cento delle emissioni globali, preceduti solo dalla Cina (con più del 30 per cento).
Il ritiro dall’Accordo di Parigi e forse anche dall’Unfccc non solo implicherebbe un aumento delle emissioni stimato di 4 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2030, ma anche un freno all’efficacia delle negoziazioni della Cop29, in cui andrà ridiscussa l’ambizione dei piani climatici nazionali (le Nationally Determined Contributions, Ndc) e un nuovo obiettivo per la finanza per il clima nei paesi in via di sviluppo.
Infatti, prima ancora del possibile ritiro dai trattati sul clima (di cui comunque, eventualmente, si discuterà a gennaio dopo che il nuovo presidente sarà entrato in carica, con molta probabilità già durante la Cop29 assisteremo al ritorno di una diplomazia incentrata su una retorica aggressiva, al motto di “America first”, che punta il dito contro le altre potenze globali, in primo luogo la Cina.
Alla Conferenza parteciperanno rappresentanti statunitensi ancora legati all’amministrazione Biden, ma sarà complicato per loro mantenere un clima cooperativo. Inoltre, la consapevolezza di un’inaffidabilità dell’amministrazione Trump in ambito climatico rischia di minare la credibilità della posizione che i negoziatori statunitensi difenderanno.
Allo stesso tempo, c’è chi sostiene che il risultato potrebbe in realtà essere opposto: il ritiro degli Stati Uniti da una posizione di leadership climatica lascerebbe libero lo spazio per altri paesi, in particolare la Cina, per affermarsi come leader nell’arena climatica internazionale, con vantaggi in un periodo di forti tensioni sulle catene del valore delle tecnologie verdi.
Le negoziazioni della Cop29
Memori dello shock che l’elezione di Trump provocò durante la Cop22 di Marrakesh nel 2016, alcuni negoziatori hanno già lavorato negli ultimi mesi per creare le premesse per un’azione climatica immune al cambio della guardia alla Casa Bianca, attraverso canali di diplomazia climatica che non passino da Washington: alcuni funzionari del Maryland e della California, ad esempio, hanno incontrato degli omologhi cinesi per discutere della prosecuzione della collaborazione sul clima a livello subnazionale; il capo negoziatore statunitense per il clima, John Podesta, ha avuto colloqui con la sua controparte cinese.
Rimane comunque alta la probabilità che l’elezione di Trump crei maggiori difficoltà nell’avanzamento dei negoziati alla Cop29, specialmente se il nuovo presidente deciderà di sfruttare questa finestra di visibilità per riaffermare la propria posizione in ambito climatico ed energetico, o, peggio, se annuncerà impegni di uscita dai negoziati dopo il suo insediamento a gennaio.
Se l’uscita dall’Accordo di Parigi minerebbe già sensibilmente l’ambizione dell’azione climatica internazionale, con la revoca dall’Unfccc gli Stati Uniti non parteciperebbero più ai negoziati delle Cop tout court, logorandone alla radice l’efficacia, già da molti contestata, e compromettendo il multilateralismo in ambito climatico.
Secondo l’analisi di Carbon Brief la presidenza Trump potrebbe aggiungere 4 miliardi di tonnellate di gas-serra, in CO2 equivalente, entro il 2030 (figura 1) rendendo impossibile anche solo intravedere l’obiettivo di zero emissioni nette al 2050. Un target che invece l’Unione europea ha messo al centro della sua strategia climatica.
Con la rielezione di Trump, l’Unione europea dovrà svolgere un ruolo di leadership e di mediazione con il blocco di paesi non industrializzati all’interno della Cop, a partire dalla Cina, spingendo su una maggior cooperazione sul clima e sulle catene di valore relative alle tecnologie verdi.
A livello europeo, infatti, un declino della rilevanza della diplomazia climatica avrebbe implicazioni problematiche non solo per l’indebolimento della strategia economica del blocco portata avanti dalla prima Commissione von der Leyen, orientata verso le zero emissioni nette, ma anche per l’integrazione europea. Infatti, è nel dossier ambientale e climatico che l’Unione ha storicamente trovato un ambito in cui parlare con una sola voce e per una causa ritenuta giusta, forgiando un “soft power” sia a livello internazionale che domestico.
L’assenza alla COP29 della Presidente Von der Leyen, però, accanto a quella di Macron, Putin, Biden e Lula, non è un segnale positivo. Il rischio è che si perda di vista l’obiettivo più urgente e importante di questo secolo: agire velocemente per frenare la crescita delle emissioni e investire per adattarsi ai cambiamenti climatici inevitabili già in atto.
(Figura 1 – Emissioni di gas a effetto serra, miliardi di tonnellate di CO2e)