Il lockdown infinito delle Rsa, la vita murati in stanza degli anziani: ancora vietati gli abbracci con i parenti o un caffè da soli al bar (open.online)

di Fabio Giuffrida

C’è Anna che non può più abbracciare suo 
marito Rino, c’è Antonio costretto a 
rivedere sua madre Eugenia solo dopo aver 
fatto il tampone. Le Rsa, 

terrorizzate dalle morti degli anziani e dalle inchieste, hanno messo paletti rigidissimi: niente giardino, niente uscite (se non essenziali), niente contatto coi familiari e con gli altri ospiti delle strutture

Dopo aver contato migliaia di morti nelle residenze per anziani a causa del Coronavirus, dopo il caso Pio Albergo Trivulzio e dopo aver messo nero su bianco che i più vulnerabili sono gli anziani, le Rsa hanno attivato protocolli di sicurezza rigidissimi. Altro che visite ricominciate, altro che ritorno alla normalità. Gli ospiti delle Rsa non possono più andare nemmeno in giardino, non possono più uscire da soli dalle strutture (se autosufficienti), non possono più abbracciare i loro familiari.

Non possono nemmeno avvicinarsi ai figli. Tutto per il loro bene. Eppure queste restrizioni rischiano di trasformarsi in una prigione, in una gabbia che, se da un lato li protegge dal rischio di Covid, dall’altro li uccide psicologicamente. Con danni irreversibili.

«Situazione indecente, disumana e angosciante»

Anna, ad esempio, ha il marito, Rino, ospite all’istituto geriatrico Piero Redaelli a Vimodrone (Milano). Prima andava a trovarlo ogni giorno, adesso lo vede, a distanza, ogni tanto. «Il 6 luglio l’ho rivisto per 15 minuti con tanto di persona che ci guardava per controllare che rispettassimo il distanziamento sociale. Un modo indecente di vedersi dopo tempo.

Meglio non vederlo, è stato doloroso. Sono stata malissimo, non gli posso nemmeno stringere la mano. Una situazione disumana, angosciante, orribile. Altro che hanno riaperto, se va bene li intravediamo da lontano ogni 20 giorni» … leggi tutto

La provocazione di Sgarbi: a Sutri multa a chi porta la mascherina senza necessità (globalist.it)

Il parlamentare è anche sindaco della 
cittadina del viterbese. 

La motivazione si rifà al testo sull’ordine pubblico che vieta caschi protettivi o cose che rendano difficoltoso il riconoscimento della persona

Una provocazione della quale non se ne sentiva il bisogno perché la pandemia non è un reality show ma una tragedia mondiale.

A Sutri verrà multato chi indossa la mascherina senza necessità. Lo ha deciso Vittorio Sgarbi, che della cittadina del Viterbese è il sindaco. Nell’ordinanza emessa si proibisce l’uso della mascherina all’aperto e al chiuso, salvo che in casi di assembramento, dalle 18 alle 6. Secondo Sgarbi “solo ladri e terroristi si mascherano il volto”.

In una nota si spiega che l’obbligo imposto dal Dpcm del 16 agosto per la fascia che va dalle 18 alle 6 del mattino, “tutela dal rischio discoteche e non dalla convivialità, che impone di stare a tavola e mangiare senza mascherina”.
In tutti gli altri casi, chi sarà visto portare la mascherina sarà multato in ordine alla legge 533/1977 in materia di Ordine Pubblico che all’articolo 2 prevede che non ci si possa mascherare in volto:

‘È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino…” … leggi tutto

Le tribù inconciliabili (corriere.it)

di Antonio Polito

La carica virale del Covid-19 sarà anche 
scemata, ma l’infezione di furore e di 
odio che divampa tra le opposte fazioni 
e le rispettive concezioni del mondo 
cresce ogni giorno di più

Si sono divise, dal 1789 in poi, sul suffragio universale, sulla sovranità popolare, sul capitalismo e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, su Keynes e von Hayek. Ma mai prima d’ora su una prostatite. Che cosa è diventata la destra, che cosa la sinistra? Forse solo Giorgio Gaber riuscirebbe a spiegarci perché un virus sia stato capace di riaccendere, su feroci basi antropologiche, il conflitto antico tra seguaci del destino e fautori dell’uguaglianza. La carica virale del Covid-19 sarà anche scemata, ma l’infezione di furore e di odio che divampa tra le opposte fazioni e le rispettive concezioni del mondo cresce ogni giorno di più.

Il virus viene denunciato come complotto per rubare il potere a chi merita di gestirlo (Trump contro Biden, Salvini contro Conte), o invocato come Nemesi, in una selvaggia vendetta contro chi l’ha sfidato (Briatore, Bolsonaro, Johnson, quelli che «se la sono cercata»). Per chi ha vissuto epoche in cui destra e sinistra avevano un contenuto ideologico, questa deriva biologica della politica ha qualcosa di ripugnante, e di incomprensibile.

Molte spiegazioni di una tale radicalizzazione sono state avanzate. Una possibile è che la sinistra abbia più timore del virus perché crede di più alla comunità e al principio di precauzione; mentre la destra fa mostra di non piegarsi perché mette davanti a ogni cosa la libertà, l’individualismo, la vita come sfida. Insomma, razionalismo scientista contro Sturm und Drang.

Oppure si può sostenere, più «marxianamente», che l’epidemia abbia scavato lungo una linea divisoria già esistente: da una parte l’ansia di interventismo sociale, e dall’altra la voglia di «lasseiz faire», dunque conflitto tra diritto alla salute e libertà d’impresa. Oppure ancora, e questa tesi forse si avvicina più di altre a cogliere il segno, si può ricordare che la sinistra ha bisogno dello Stato per realizzare i suoi programmi ugualitari, di soldi pubblici e norme giuridiche, e niente come uno stato di emergenza funziona per giustificare lo statalismo.

Mentre la destra, almeno quella liberale, teme lo Stato e i moralismi, e pensa che sia piuttosto la soddisfazione dei vizi privati, anche al Billionaire, a generare pubbliche virtù e prosperità della nazione … leggi tutto