L’angolo fascista
Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
Tutte le condanne di Marco Travaglio
Maurizio Belpietro, La Verità e le condanne – Diario
Procedimenti giudiziari per Pietro Senaldi
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di Chiara Lalli
Lo scontro
Il rapporto sui costi e gli effetti dell’interruzione di gravidanza sulla salute? Falso è antiscientifico: l’IGV è sicuro
Embrioni alti come Napoleone, la contraccezione che è abortiva, i numeri dati a caso, il dolore inestinguibile di ogni aborto perché sei donna e quindi madre anche se non lo sei (ancora) e abortire è contro natura.
Sono un po’ sempre gli stessi i protagonisti della letteratura e della iconografia dei conservatori che sono così furbi che si sono fregati la parola “vita” (sono pro vita, appunto) costringendoci a spiegare che non siamo d’accordo ma no, non siamo contro la vita (cosa significa, poi, essere contro la vita?).
Ieri una costola pro vita ha presentato “Il terzo rapporto sui costi dell’aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne”. Si chiamano – anche loro un po’ napoleonicamente – Osservatorio permanente sull’aborto e di permanente mi pare abbiano solo l’ostinazione di non dirne una giusta.
Il rapporto ha però qualche guizzo geniale come il dominio dei criptoaborti, in cui vanno inclusi i contraccettivi d’emergenza che secondo loro sono abortivi e mi chiedo perché non la castità, l’asessualità e tutto il cucuzzaro.
Tra i fondatori dell’Opa ci sono quattro ginecologi tra cui Giuseppe Noia, che si avvicina al capolavoro chiedendoci ma lo sapete quanto avremmo risparmiato senza la legge 194? E io penso: e non sai quanto senza il cancro! E lo so che il paragone è impreciso e se volete faccio un elenco più serio.
Io penso anche che a certe persone non si dovrebbe rispondere: ai novax complottisti, a quelli che salgono sulla cassetta di frutta e cominciano a blaterare o a chi usa l’oroscopo per decidere se uscire oppure no. Però Noia sta al Gemelli e insegna e quello che dice non fa abbastanza ridere.
Nelle conclusioni di quel rapporto scrive che “tutti dicono l’aborto è un grande dramma” e non lo scegli mai davvero, che “l’embrione è medico della madre” e che tra loro due c’è un “dialogo nascosto, il cross-talk” (che pare una cosa BDSM ma comunque). Le cose più gravi non sono i tortuosi giudizi morali ma le pretese di scientificità.
«Rispetto all’aborto chirurgico quello farmacologico è 4 volte più rischioso e 10 volte più mortale e aggiunge solitudine a solitudine, accompagnata da eventi imprevisti e cifre importanti di complicazioni a breve e lungo termine». È falso. Insiste sui soldi che spendiamo per garantire un servizio medico – lo dimentichiamo spesso che l’aborto è un servizio medico e che più o meno tutti i servizi medici sono economicamente svantaggiosi. Quanto risparmieremmo se stessimo tutti sempre bene? O se smettessimo di curare le persone? Tantissimi soldi. Vogliamo provare?
Continuo a pensarlo che a certe persone non si dovrebbe rispondere. Ma mi piacerebbe che il Ministero della salute rispondesse almeno a un paio di questioni: la sicurezza dell’aborto, sia chirurgico sia farmacologico, e l’effetto contraccettivo e non abortivo della contraccezione (appunto) d’emergenza. Mi piacerebbe perché va bene condannare moralmente l’aborto ma barare un po’ meno.
Si può dire che l’aborto è brutto e cattivo perché equivale a un omicidio (secondo voi un po’ ossessionati) ma non si dovrebbe dire che ci fa venire il cancro, ci fa diventare sterili e pazze. Mi piacerebbe perché il Ministero non è Paolo Fox (lo so, quanto ottimismo oggi) e quindi sarebbe il caso che decidesse di credere all’Organizzazione mondiale della sanità e non a Noia o al primo che passa. L’aborto è sicuro, sicurissimo. Ostacolarlo no e dire bugie nemmeno.
Altre cose da ricordare: la relazione ministeriale di attuazione della legge 194 che dovrebbe essere pubblicata ogni anno chissà dov’è (l’ultima è del 2023 con i dati del 2021, chiusi in un pdf e aggregati per media regionale, utilissimi); i consultori che sono sempre meno e meno finanziati; l’aborto farmacologico che non è sempre davvero garantito e mille altri acciacchi.
Per ricordare tutte queste cose la deputata del M5S Gilda Sportiello ha ospitato una conferenza stampa, “L’aborto è un diritto, non un’opinione”, alla Camera dei deputati sempre due giorni fa. Non tanto o non solo come risposta al fantasioso rapporto dell’Opa ma nel lodevole sforzo di informare e per «rivendicare tutto quello che ci spetta». Eravamo in tanti (a parlare Angela Spinelli, Bianca Monteleone, Marte Manca, Leone Orvieto, Mirella Parachini, Marina Toschi, Gabriella Marando, Vaga Bee, Elisa Visconti, Tullia Todros), c’ero anche io.
Ricordo anche che Sportiello alcuni mesi fa ha fatto una cosa lunare: ha detto in aula di aver abortito, di aver scelto di abortire. Non ha abbassato la voce, non si è scusata. Ha detto di aver abortito e ha spiegato: lo dico qui perché vorrei che nessuna donna si sentisse attaccata. E poi una proposta per delle magliette: “Non concessioni ma diritti”.
di Mario Macis
Il 5 novembre l’America vota per eleggere il nuovo presidente.
Nonostante tutto, l’andamento dell’economia continua a essere uno dei fattori che determinano le scelte dei cittadini. Vale allora la pena analizzare i programmi economici dei due candidati.
Quanto conta l’economia nel voto americano
Dopo un’estate ricca di colpi di scena, primo fra tutti il ritiro di Joe Biden sostituito da Kamala Harris, i candidati alla presidenza Usa hanno avuto l’opportunità di presentare i propri programmi economici durante il dibattito del 10 settembre, così come nei comizi e nelle interviste.
Nonostante persista la sensazione che il risultato delle elezioni, estremamente incerto, sarà influenzato più dalle “vibes” che dai dettagli dei programmi economici, l’economia è considerata la questione più importante per gli elettori americani.
Nei progetti dei due candidati sull’economia ci sono differenze notevoli, ma forse proprio per la vicinanza nei sondaggi, emergono alcune somiglianze. Prima su tutte la guerra commerciale alla Cina e l’aumento significativo del deficit, un tema di cui né Kamala Harris né Donald Trump sembrano preoccuparsi.
Tuttavia, per entrambi, la realizzazione della maggior parte delle promesse dipenderà dalla composizione del Congresso, ovvero se il partito del futuro presidente avrà o meno il controllo di Camera dei rappresentanti e Senato, che si rinnovano anch’essi il 5 novembre, totalmente la prima, in parte il secondo.
In ogni caso, il programma di Harris si può riassumere nella sua visione di promuovere una “Economia delle opportunità”, volta a garantire una crescita economica inclusiva e accessibile a tutti gli americani. Quello di Trump si rifà ai suoi slogan più conosciuti “Make America Great Again” e “Take America Back”, concentrandosi sulla protezione del paese sia da nemici interni (come tasse e regolamentazioni eccessive) sia da minacce esterne, principalmente gli immigrati e la Cina, attraverso dazi elevati e politiche commerciali aggressive.
I temi principali includono: tasse, dazi sulle importazioni, politica industriale, politiche anti-inflazione, regolamentazioni e ruolo delle agenzie federali, welfare e immigrazione. Li approfondiamo attraverso due articoli. Ci occupiamo qui delle proposte sui primi tre capitoli, per lasciare al secondo intervento l’analisi degli altri.
Le proposte sulle tasse
Kamala Harris: la vicepresidente ha delineato un approccio focalizzato sul sostegno alla classe media e ai lavoratori a basso reddito attraverso una serie di modifiche fiscali. Intende espandere i crediti d’imposta per i redditi da lavoro e offrire crediti fiscali generosi per le famiglie.
Per esempio, ne ha proposto uno di 25mila dollari per chi acquista la prima casa: è una misura controversa perché, se non accompagnata da un aumento delle costruzioni, potrebbe causare un aumento dei prezzi delle abitazioni. Sul fronte delle imposte sui più ricchi, Harris ha abbracciato il piano di Joe Biden di imporre una tassa del 25 per cento sulle plusvalenze non realizzate per i patrimoni netti superiori ai 100 milioni di dollari: è un provvedimento che mira a tassare l’incremento di valore degli asset prima che questi siano venduti.
La misura è stata criticata per la sua complessità, i problemi di liquidità e i potenziali effetti negativi sul comportamento degli investitori.
Come Trump, Harris vuole eliminare le imposte sui guadagni derivanti dalle mance, ma il suo piano prevede che questi introiti rimangano soggetti ai contributi previdenziali. Allo stesso tempo, Harris punta ad aumentare l’aliquota fiscale sulle società dal 21 al 28 per cento e ad alzare l’aliquota minima alternativa dal 15 al 21 per cento per le aziende che fatturano oltre un miliardo di dollari. Harris non prevede aumenti di tasse per chi guadagna meno di 400mila dollari all’anno.
Donald Trump: propone tagli fiscali per i redditi alti e le grandi imprese. Ha parlato di ridurre ulteriormente l’aliquota fiscale societaria, portandola dal 21 al 15 per cento per le aziende che producono negli Stati Uniti, una continuazione delle politiche della sua precedente amministrazione che includeva la legge fiscale del 2017, nota per aver introdotto tagli significativi alle imposte per le aziende e per i contribuenti più ricchi.
Trump vorrebbe anche eliminare la doppia imposizione fiscale per i cittadini americani che vivono all’estero e non tassare i benefici della social security (le pensioni). Come Harris, Trump ha proposto di eliminare le tasse sui guadagni che derivano dalle mance.
Nel programma è prevista pure la deducibilità fiscale dei pagamenti dei prestiti auto e l’eliminazione delle imposte sui guadagni da straordinari. Nelle intenzioni del candidato repubblicano, queste misure dovrebbero aumentare gli incentivi a investire e produrre.
Dazi sui beni importati
Donald Trump: sostiene l’introduzione di elevati dazi doganali che, nelle sue intenzioni, dovrebbero proteggere le industrie americane e incrementare le entrate fiscali.
Il suo piano prevede una tariffa del 10 per cento su tutti i beni importati e una del 60 per cento specifica per i prodotti provenienti dalla Cina. Trump afferma che queste misure costringeranno le altre nazioni a ricompensare gli Stati Uniti per il loro ruolo storico globale e prevede che i dazi generati possano ammontare a centinaia di miliardi di dollari.
Kamala Harris: critica l’approccio di Trump, descrivendolo come una tassa indiretta che pesa sulle famiglie americane. Ed è corretto perché le tariffe sui beni importati sono equivalenti a tasse, perché spesso si traducono in prezzi più alti pagati dai consumatori.
Eppure, Harris non ne ha escluso l’uso. Anche perché l’amministrazione Biden ha di recente imposto nuovi dazi (su acciaio e alluminio, così come su semiconduttori, veicoli elettrici, batterie e parti di pannelli solari), prolungandone alcuni già in vigore dalla precedente amministrazione Trump.
In particolare, i nuovi dazi su prodotti cinesi includono un’imposta del 100 per cento sui veicoli elettrici, del 25 per cento sulle batterie agli ioni di litio per veicoli elettrici e del 50 per cento sulle celle fotovoltaiche utilizzate nei pannelli solari. Harris ha confermato l’impegno a promuovere l’industria americana nei settori tecnologici avanzati, come i semiconduttori e l’energia pulita, combattendo le pratiche commerciali definite “ingiuste”, in particolare quelle provenienti dalla Cina, per proteggere i lavoratori statunitensi.
Politiche anti-inflazione
Kamala Harris: nonostante l’inflazione sia tornata intorno al 2 per cento e alcuni prezzi cruciali, come quello della benzina, siano a livelli pre-pandemia, resta tra gli americani la percezione che il costo della vita sia troppo elevato.
Lo riconosce la stessa Kamala Harris e per affrontare il problema, ha proposto una serie di misure a sostegno della classe media e delle piccole imprese, come crediti fiscali per le famiglie e gli acquirenti di prima casa, insieme all’asilo nido universale e al congedo familiare retribuito. Una parte rilevante (e controversa) della sua agenda riguarda il contrasto agli aumenti ingiustificati dei prezzi da parte delle aziende.
Inizialmente, Harris sembrava avere accennato a un controllo diretto sui prezzi, ma la misura è stata poi ridimensionata, trasformandosi in un divieto federale contro pratiche di “speculazione”, con l’obiettivo di proteggere i consumatori e le famiglie americane da rincari arbitrari, soprattutto durante le emergenze.
Donald Trump: la sua campagna si concentra sulle difficoltà economiche affrontate dagli americani sotto l’amministrazione Biden, con particolare enfasi sull’elevato costo della vita e sugli effetti dell’inflazione. Trump cita spesso l’aumento dei prezzi dei generi alimentari come prova dei fallimenti della gestione economica dell’attuale amministrazione.
La sua retorica mira a convincere gli elettori che un ritorno alle sue politiche economiche possa alleviare queste pressioni sui bilanci familiari. Eppure, molte delle proposte di Trump non contribuirebbero a mantenere bassi i prezzi, anzi rischierebbero di essere inflazionistiche. Prime fra tutte, le promesse di imporre pesanti dazi sulle importazioni, poiché le aziende importatrici trasferirebbero almeno in parte i rincari sui prezzi di vendita.
Anche le severe restrizioni sull’immigrazione proposte dal candidato repubblicano potrebbero accentuare l’inflazione, riducendo la disponibilità di manodopera in settori essenziali come l’agricoltura, l’edilizia e la sanità, spingendo così i datori di lavoro ad aumentare i salari per attrarre lavoratori.
Trump ha dichiarato che, se rieletto, vuole avere maggiore controllo sulla politica monetaria della Federal Reserve, riducendone l’indipendenza. Ha criticato in passato le decisioni del presidente della Fed, Jerome Powell, e ritiene che il presidente degli Stati Uniti dovrebbe avere voce in capitolo sulle scelte della banca centrale, per esempio l’impostazione dei tassi di interesse.
Questa posizione minerebbe il tradizionale assetto indipendente della Fed, rischiando di destabilizzare la fiducia dei mercati finanziari e compromettendo l’efficacia dell’istituzione nel gestire la politica economica del paese.
Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
Tutte le condanne di Marco Travaglio
Maurizio Belpietro, La Verità e le condanne – Diario
Procedimenti giudiziari per Pietro Senaldi
Mentre da 9 mesi si attende che il ministero della Salute presenti il rapporto sull’applicazione della legge 194, a Palazzo Madama i Pro Vita hanno parlato dei “costi dell’aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne”,
prendendo anche di mira la pillola abortiva Ru486. In prima fila Ignazio Zullo, capogruppo di Fdi in commissione Sanità. Le associazioni: usare disinformazione mascherata da evidenze scientifiche è un pericoloso tentativo di limitare i diritti riproduttivi delle persone, mettendo a rischio la loro salute
Il 1° ottobre 2024 Gilda Sportiello, deputata del M5s alla Camera ha presentato un’interrogazione parlamentare, scritta insieme a Federica Di Martino del progetto “Ivg, ho abortito e sto benissimo”, al ministero della Salute sull’applicazione della legge 194.
Di Martino denuncia a Domani che sono ormai nove mesi che «aspettiamo il report del ministero della Salute sulla legge 194, report che sarebbe dovuto essere depositato entro febbraio 2024».
Mentre si denuncia il mancato rapporto del ministero della Salute, nel pomeriggio di martedì 29 ottobre, presso la Sala Nassirya di Palazzo Madama in Senato, i Pro Vita e Famiglia hanno presentato il terzo rapporto sui “costi dell’aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne”.
Il rapporto è stato stilato dall’Osservatorio permanente sull’aborto Opa, composto interamente da sanitari obiettori. La galassia anti scelta, dunque, si riunisce nuovamente in Senato, dove sono intervenuti una serie di nomi noti della onlus.
Per contrastare la narrazione antiscientifica contro la libertà di scelta delle donne da parte degli antiabortisti, si sono mobilitati Medici del mondo, il Coordinamento dei consultori delle donne e delle libere soggettività del Lazio, Obiezione respinta, Associazione Luca Coscioni, medici e mediche del Ssn, la bioeticista Chiara Lalli, Non una di meno Roma, La rete Pro Choice-Rica, Laiga, Nika Kovac della campagna “My voice my choice”, Mathilde Panot deputata e presidente del gruppo La France Insoumise e Gilda Sportiello, deputata dei 5S.
L’aborto è un diritto, non un’opinione
Anche per Women on Web, organizzazione non governativa internazionale che, dal 2005, ha aiutato oltre 120mila persone in tutto il mondo ad accedere ad interruzioni di gravidanza (Ivg) farmacologiche, «utilizzare disinformazione e miti su aborto e contraccezione mascherandoli da evidenze scientifiche è un tentativo non etico di limitare i diritti riproduttivi delle persone e mette a rischio la loro salute».
Proprio per questi motivi, le realtà per la libera scelta delle donne e delle libere soggettività si sono ritrovate presso la sala stampa della Camera per denunciare un sistemico connubio tra il governo e le associazioni contro la libera scelta delle donne, con un appuntamento dal titolo “L’aborto è un diritto, non un’opinione”.
Sportiello ha definito l’appuntamento «un’operazione verità», denunciando a Domani che «dentro al governo ci sono dei rappresentanti di questo mondo anti scelta. Gli esponenti di questa maggioranza firmano manifesti con cui questi gruppi contro i diritti esercitano pressioni che vertono a cancellare le libere scelte. Mettere in discussione l’aborto, attaccarlo e restringerne la possibilità di accesso, significa rendere il diritto all’aborto meno sicuro».
La dottoressa Tullia Todros, ginecologa della rete “Più di 194 voci”, afferma a Domani che «si sta dimostrando che una conquista che ritenevamo essere inamovibile è sotto un attacco molto pesante». Un attacco ai consultori e «anche alla sanità pubblica, con dati non scientifici. Abbiamo una letteratura vasta con dati che dimostrano quanto l’aborto sia sicuro».
Su questo anche la direttrice di Medici del Mondo, Elisa Visconti, interviene spiegando quanto la narrazione dei gruppi anti scelta mini la salute di chi sceglie di abortire «mettere in circolazione delle notizie senza nessuna base scientifica è uno degli ostacoli che viene riconosciuto dall’Oms.
Le dichiarazioni di alcuni gruppi antiabortisti sono paragonabili a quelle dei terrapiattisti. La disinformazione crea confusione e rischia di allungare i tempi per una persona che vuole abortire, perché non si sa più dove rivolgersi, essendo esposta ad un mare magnum di bugie e di fake news». È molto grave, dunque, che venga dato «uno spazio politico, nelle sedi istituzionali, a una divulgazione totalmente non scientifica».
Una scelta politica
Il rapporto, infatti, è stato accolto dai “saluti istituzionali” del senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Lavoro e Sanità, che in conferenza stampa ha dichiarato: «C’è una legge che secondo il governo Meloni non si tocca, però questa legge dobbiamo applicarla per intero», citando la parte legata alla rimozione degli ostacoli che determinano la scelta di interrompere la gravidanza.
Ha inoltre affermato: «La 194, così come ogni legge, va tarata e monitorata per capire gli effetti che produce riguardo la sostenibilità per il Ssn, ma anche in termini di salute per la popolazione. Da questi spunti e studi si potranno trarre conclusioni per capire come tarare meglio queste situazioni».
Federica di Martino, su questo tema, incalza: «Le istituzioni, da due anni a questa parte, sono prese ad accontentare e ad asservire quelle che sono delle realtà di gruppi e movimenti antiabortisti. Dal fondo vita nascente in regione Piemonte alle iniziative come quella dell’emendamento al Pnrr che traccia ancora di più uno stretto intreccio tra quelle che sono le realtà di governo e gli antiabortisti».
Dalla presentazione del rapporto, sono emersi diversi attacchi alla pillola abortiva Ru486, definendo la possibilità di assumerla a domicilio un «obbrobrio» che lascia in solitudine le donne. La direttrice di Medici del Mondo, Elisa Visconti, spiega bene come «sia un farmaco testato, sicuro. Nelle linee guida del 2022 dell’Oms è uno strumento consigliato, oltre allo stesso aborto chirurgico».
La pillola abortiva viene presa di mira non tanto per una questione sanitaria, perché non ci sono le basi scientifiche per farlo. Viene presa di mira da un punto di vista politico «perché prendere la pillola è un gesto che una persona può compiere in autonomia. Se venissero applicate le linee guida dell’Oms, si potrebbe prendere anche a casa sotto prescrizione medica e con le indicazioni del curante, come per qualsiasi altro farmaco».
Lasciare questo spazio di indipendenza alle donne e alle persone con utero per autogestire il proprio aborto, significa «perdere il controllo sul corpo delle donne, eliminando di fatto molti di quegli ostacoli che in Italia le persone si trovano ad affrontare». Se non si dovesse più andare in ospedale ad abortire, «non si troverebbero più obiettori di coscienza e gruppi anti scelta. Non si dovrebbe dover viaggiare per centinaia di chilometri fuori regione per poter accedere al diritto all’aborto».
Quella politica di deterrenza, dunque, si sgretolerebbe. L’attacco alla pillola abortiva, conclude Visconti, «è un attacco politico, non sanitario».
Leggi anche: Centinaia di chilometri per abortire: l’odissea delle donne italiane, tra pillola negata e obiettori – Marika Ikonomu
Aborto, la mappa dell’obiezione di coscienza in Italia: se la scelta di uno nega il diritto di tante – Marika Ikonomu
Decise sanzioni per i membri del canale Telegram «Basta Dittatura».
Altri quattro membri del canale saranno processati a febbraio
Cinque condanne, con pene variabili dagli otto mesi a un anno e quattro mesi, oltre a due patteggiamenti. Sono queste le sanzioni decise per i membri del canale Telegram «Basta Dittatura», accusati di stalking nei confronti del medico genovese Matteo Bassetti.
Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Genova ha emesso le condanne per stalking di gruppo e istigazione a delinquere. I condannati dovranno anche risarcire il medico.
Oltre a queste sentenze, quattro altri membri del canale, che hanno scelto il rito ordinario, saranno processati a febbraio. «È una bella soddisfazione» ha commentato il medico, affiancato dall’avvocata Rachele De Stefanis. Nei giorni scorsi, un’altra condanna era stata emessa contro un esponente no vax per molestie verso Bassetti.
«Ringrazio la digos e la Procura di Genova. Ho sempre ritenuto che la via migliore fosse quella legale, e giustizia sta arrivando. Proseguiremo su questa strada, contro chi vive di minacce e insulti», ha concluso Bassetti.
Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
Tutte le condanne di Marco Travaglio
Maurizio Belpietro, La Verità e le condanne – Diario
Procedimenti giudiziari per Pietro Senaldi