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Sui migranti Meloni si concede lo show, ma l’accordo con l’Albania può essere un boomerang (ilriformista.it)

di Claudia Fusani

C'è molto poco da festeggiare

Mettiamola così: al Viminale hanno i capelli ritti perché scrivere e definire a livello giuridico i punti chiave dell’accordo con l’Albania sarà cosa complessa assai; le opposizioni, Pd in testa, vogliono leggere l’intesa che poi dovrà essere votata dal Parlamento. Due reazioni più vicine di quel che sembra e che suggeriscono cautela nel festeggiare ed esaltare “il successo storico” della premier perché “per la prima volta un paese terzo rispetto alla Ue aiuterà uno stato europeo nella gestione dell’immigrazione illegale”.

I “risultati” del successo storico, infatti, sono rinviati di “qualche mese, più o meno aprile”. Solo allora sarà possibile valutare se il protocollo Italia-Albania per gestire circa 40mila migranti ogni anno rispetta diritti, accordi e convenzioni europee ed internazionali e se sarà efficace nella lotta ai trafficanti di uomini.

Fino ad allora la maggioranza, soprattutto i Fratelli, potranno fare demagogia e propaganda senza dover rendere conto dei fatti. Quando arriverà il tempo della verifica, l’esternalizzazione fai-da-te della gestione dei migranti potrebbe rivelarsi un boomerang per la stessa credibilità della premier.

Con onesto pragmatismo occorre riconoscere che Giorgia Meloni lunedì ha sparigliato: nessuno se lo aspettava, pochissimi sapevano, se tutto va come previsto e raccontato il messaggio che arriva ai migranti è che la maggior parte di loro (circa 40mila l’anno) non arriverà più in Italia, non in Europa ma in Albania tuttora sub iudice nel processo di ammissione all’Unione europea.

Se questo è un forte deterrente contro l’immigrazione illegale, tutto il resto, le regole d’ingaggio, il rispetto dei diritti e delle convezioni e le soluzioni finali sono un work in progress la cui fattibilità e il cui esito sono tutti da dimostrare. Partendo dalla fine, che poi dovrebbe essere sempre l’inizio di ogni ragionamento sul tema migranti, la domanda è cosa succederà dei 36mila migranti (su 40mila previsti, in genere solo il 10% ha diritto all’asilo) ristretti nella ex caserma albanese di Gjader quando alla fine dei 18 mesi dovranno essere rimpatriati. Una cosa è certa: se l’Italia non riesce a fare le espulsioni, non riuscirà neppure l’Albania.

Il presidente albanese Edi Rama non ha avuto dubbi: “È chiaro che sono persone in carico all’Italia e non all’Albania”. Dunque alla fine di questa gita albanese, i migranti che non hanno diritto e che sono stati ristretti in Albania potrebbero essere trasferiti in Italia. E ritrovarci in casa il problema come e più di prima. La prova sarà disponibile nel pieno dell’estate, dopo il voto per le Europee. Fino ad allora, sarà show.

Nel memorandum firmato lunedì a palazzo Chigi sono individuate le due aree che il governo albanese darà in gestione all’Italia. Il centro di prima accoglienza, dove saranno fatti i riconoscimenti e le valutazioni sul diritto all’asilo “entro i 28 giorni” previsti dal decreto Cutro, è previsto nel porto di Shengjin.

Chi non ha diritto all’asilo sarà mandato a venti chilometri nella ex base militare di Gjader, con tanto di aeroporto, in attesa di essere rimpatriato. L’ex base militare sarà un Centro per il rimpatrio italiano in terra albanese: manutenzione, personale, giurisdizione italiana. Così come il centro di prima accoglienza di Shengjin.

Un po’ come se fossero due ambasciate: territori italiano all’estero. Fuori dalle due strutture, la vigilanza e la sicurezza saranno in capo alla polizia, allo stato e alle leggi albanesi. Anche questo, con molto cinismo, può essere definito un deterrente.

Protocollo Italia-Albania

L’accordo tra i due Stati in sé non è un problema. Si può fare. Di sicuro non sottrae l’Italia, e neppure l’Albania, dal rispetto degli obblighi internazionali ed europei. Le organizzazioni umanitarie, da Amnesty a Medici senza frontiere, hanno già denunciato le violazioni del diritto d’asilo.

La Commissione Ue, finora esclusa dall’accordo, attende dettagli perché il mix di diritto nazionale, internazionale ed europeo potrebbe risultare ingestibile. Anche Rama ha problemi in casa. Le opposizioni lo attaccano: “Che fai, ci porti la crisi italiana in casa?”. Come si vede, c’è molto poco da festeggiare.

La vita di ogni bambino è sacra (oggi.it)

di LILIANA SEGRE

LA STANZA

Ce ne dobbiamo ricordare nelle guerre. Ma anche ogni giorno. Ecco un buon esempio

In questi giorni provo una profonda tristezza per quello che è successo e sta succedendo in Israele e sulla Striscia di Gaza. Un dolore che si aggiunge a quello per i fatti terribili che continuano ad accadere in Ucraina e in numerose guerre dimenticate nel mondo. Conflitti in cui moltissime sono le vittime innocenti, a partire dai bambini.

Perciò questa settimana vorrei fare un’eccezione: non rispondere come di consueto a una lettera, ma parlare di un’iniziativa di cui sono venuta di recente a conoscenza. Non ha a che vedere con le guerre di cui parlavo, ma fa parte di quelle attività che, in tanto buio, riaccendono un po’ di speranza. Poche settimane fa ho ricevuto la cittadinanza onoraria di Lesa (Novara), Comune affacciato sulla sponda occidentale del Lago Maggiore.

In questa occasione, è stato presentato un progetto per avviare proprio lì una casa vacanze per i bambini malati di tumore: “La casa del fiore”. Lo promuove la Fondazione Bianca Garavaglia che, nata originariamente come associazione, dal 1987 raccoglie fondi per progetti di ricerca, cura e assistenza nell’ambito dell’oncologia pediatrica. A fondarla, Franca e Carlo Garavaglia, genitori di Bianca, colpita a 5 anni da una rara forma di neoplasia non curabile con le terapie allora esistenti.

Fu proprio la piccola a disegnare, mentre era in ospedale, il fiore verde e fucsia simbolo dell’organizzazione.

La Fondazione opera a favore della Pediatria oncologica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano e i suoi progetti vorrebbero assicurare ai bambini e agli adolescenti che si ammalano di tumore sempre più elevate possibilità di guarigione e unamigliore qualità di vita futura attraverso farmacimirati, sistemi di diagnosi e terapie meno invasive, così come il sostegno psicologico ai piccoli pazienti e alle loro famiglie.

Una delle iniziative è proprio La casa del fiore a Lesa, destinata a bambini in cura presso l’Istituto dei tumori di Milano, perché i loro ricordi non siano solo quelli di terapie, reparti e interventi. È difficile organizzare una vacanza, anche breve, quando la vita è scandita dalla malattia. Ma grazie al Comune di Lesa è stato possibile trovare un luogo che appare adatto e abbastanza vicino a Milano in cui potersi spostare in sicurezza. La sede prescelta è un plesso scolastico attualmente dismesso.

Più in dettaglio, un asilo infantile voluto e finanziato dal Cavaliere Avvocato Carlo Davicini nel 1906 per ricordare il figlio Cesare Eugenio, detto “Genietto”, scomparso prematuramente. E ora c’è bisogno del sostegno di tutti, cittadini, aziende, istituzioni, per far fronte alle spese per realizzare La casa del fiore.

Colpisce che le memorie di due bambini scomparsi troppo presto, Bianca e Genietto, lontane nel tempo e nello spazio, si ricongiungano idealmente in un progetto comune per altri loro coetanei in difficoltà. A ricordarci che la vita dei bambini è sacra. Anche quella dei piccoli israeliani e palestinesi.