Educazione e violenza di genere – quanto è difficile parlarne a scuola (corriere.it)

di Rita Rapisardi

Al conteggio settimanale delle vittime di 
femminicidio ci siamo abituati, alle violenze 

che si consumano all’interno delle case, terribilmente aumentate dall’inizio della pandemia, pure. Non c’è alcun discorso pubblico, nessuna riflessione sul perché tanta violenza maschile colpisca le donne e cosa serve per prevenirla. Eppure agire alla radice sarebbe possibile attraverso l’educazione sessuale e di genere: due materie riconosciute, ma ignorate.
In Italia l’educazione sessuale non è obbligatoria, a differenza di altri Paesi europei, ad esempio la Francia (dal 1998), la Danimarca (dal 1970) e la Germania (dal 1968).

Questi temi sono ancora percepiti come dei tabù, bloccati dalle ingerenze della Chiesa e da una politica che si gira da un’altra parte. Si crede che sesso ed educazione di genere siano argomenti da recepire “dalla strada”, dall’esperienza. Ma “la strada” è l’ambiente maschilista e misogino che forgia i ragazzi di oggi. Da noi, dopo sette proposte di legge naufragate (la prima risale al 1975) e svariati decenni di attesa, queste idee restano, con rare eccezioni, fuori dagli istituti scolastici.

«Ho proposto un corso in venti scuole, ma solo una ha accettato, solo per-ché un’insegnante conosceva già il mio lavoro», racconta Giulia Zollino 28 anni, antropologa esperta di educazione sessuale. Nel suo canale Instagram si occupa di divulgare questi temi rivolgendosi a ragazzi e adulti. «Ho collaborato con due istituti per tre anni, dal 2017, ma solo con le quinte superiori. Avrei preferito partire dalle prime, ma non mi è stato permesso». Zollino opera in Emilia-Romagna e ricorda di aver fatto numerosi colloqui con presidi che poi si tiravano indietro.

In un caso ha contattato una scuola privata: «”Guardi questa è una scuola cattolica”, mi risposero. “Ma anche loro fanno sesso”, risposi io» … leggi tutto

Scuola Steineriana di Casteldebole, «Bambini in aula senza mascherine» (corrieredibologna)

di Daniela Corneo

Le inadempienze sono state rilevate anche 
dall’Ausl dopo la denuncia dei genitori. 

Zaccaria: «È gravissimo, il verbale parla chiaro»

«In classe non si indossano le mascherine». «Ci sono diverse famiglie ammalate di Covid e nessuno rispetta le regole». «Abbiamo paura per la salute dei bimbi fragili, aiutateci». Sono decine e decine, e di questo tenore, le mail che in questi mesi, da fine settembre a soltanto pochi giorni fa, un gruppo di famiglie della scuola privata paritaria Steineriana di Casteldebole hanno inviato ai Nas, all’assessora alla Scuola del Comune, Susanna Zaccaria, al provveditore provinciale Giuseppe Panzardi, all’assessorato regionale alla Salute.

L’appello disperato

Un appello disperato, arrivato nelle caselle mail delle istituzioni, soprattutto nei mesi di picco del contagio, per chiedere il rispetto delle norme anti-Covid che, nell’istituto che accoglie i bimbi dalla materna alle medie (le medie non sono parificate,ndr) non sarebbero state rispettate pienamente, a quanto riferito nei racconti dei genitori agli organi competenti. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso è stata quella degli ultimi giorni in cui la scuola, sfruttando il Dpcm che indica la possibilità di svolgere i laboratori in presenza, è rimasta aperta, nonostante la zona rossa, accogliendo «quasi tutti i bambini», hanno fatto sapere le famiglie alle istituzioni.

«Ci stiamo attenendo alla normativa — ha spiegato ieri la legale della scuola, Cinzia Barbetti —, l’attività laboratoriale fa parte del percorso specifico della scuola, lo scopo non è quello di riempire le aule. Il Dpcm è molto generico e stiamo valutando il da farsi». Nella documentazione allegata alle mail dalle famiglie, il programma delle giornate, almeno per alcune classi, prevederebbe lo svolgimento delle normali lezioni oltre ai laboratori: inglese, tedesco, geometria, aritmetica. «Il laboratorio non è solo quello del fare — dice però la legale —, anche le lingue rientrano tra i laboratori».

Intanto ai bimbi delle famiglie che avevano scelto di restare a casa per sicurezza, visto il picco dei contagi a Bologna, dai racconti dettagliati arrivati anche a Palazzo d’Accursio, sarebbe garantita solo un’ora di dad al giorno. «Siamo stanche — si sfogano le famiglie nelle lettere — perché rispettiamo le regole e siamo paradossalmente penalizzate. E molti di noi hanno preso il Covid, perché i bimbi in classe le mascherine non le portano» … leggi tutto