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Le bufale della propaganda pro Israele – L’elenco (open.online)

Una raccolta in continuo aggiornamento sulla 
propaganda pro Israele

La disinformazione sulla guerra tra Israele e Hamas passa dagli account “verificati” di X – L’analisi di NewsGuard (open.online)

di David Puente

FACT-CHECKING

La spunta blu non fornisce solo una parvenza di credibilità, ma ottiene maggiore risalto sulla piattaforma. Dando maggiore spinta alle notizie false

Secondo un’analisi di NewsGuard, organizzazione che valuta l’affidabilità delle fonti fondata da Gordon Crovitz e Steven Brill, gli account “verificati” con la spunta blu su Twitter/X sono stati i principali superdiffusori di notizie false sul conflitto tra Israele e Hamas.

Dal 7 al 14 ottobre, sono stati analizzati i 250 tweet in lingua inglese con maggior engagement che condividevano una delle 10 principali notizie false o infondate, di cui 186 sono stati pubblicati da account con la spunta blu. Complessivamente, i post che hanno diffuso notizie false hanno ottenuto 1.348.979 interazioni e più di cento milioni di visualizzazioni in una sola settimana. Il cosiddetto servizio di fact-checking di X, le “Note della comunità”, sono servite a poco.

Prima dell’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, solo gli account che rispettavano determinati criteri potevano ambire al bollino blu che verificava l’effettiva identità dell’utente. Con il nuovo sistema a pagamento, anche l’account meno noto e che non rispetta questi criteri può ottenere la spunta blu fornendo all’utente una parvenza di credibilità.

Oltre a questo, il servizio a pagamento fornisce all’account una maggiore visualizzazione dei suoi contenuti, anche quelli contenenti notizie false. C’è da dire che gli account verificati potrebbero essere molti di più, in quanto un abbonato X Premium potrebbe decidere di nascondere la spunta mantenendo tutti i privilegi forniti a pagamento.

Le principali notizie false

Le 10 principali notizie false o infondate diffuse in lingua inglese sulla piattaforma X sono:

  • L’Ucraina ha venduto armi a Hamas
  • Israele ha ucciso 33.000 bambini palestinesi dal 2008.
  • Un video mostra alcuni bambini israeliani tenuti in ostaggio in gabbie da Hamas
  • Un video mostra alcuni alti funzionari israeliani catturati da Hamas nell’ottobre 2023
  • La chiesa ortodossa di San Porfirio a Gaza è stata distrutta dai bombardamenti israeliani
  • Un video mostra alcuni combattenti di Hamas che festeggiano il rapimento di una bambina israeliana
  • La CNN ha simulato un attacco missilistico in Israele nell’ottobre 2023
  • Un documento della Casa Bianca dimostra che gli Stati Uniti stanno inviando 8 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele
  • In un video, Israele ha inscenato la morte di un bambino da parte di Hamas
  • L’attacco terroristico di Hamas è in realtà una ‘false flag’ orchestrata da Israele o dall’Occidente.

I principali diffusori e account “verificati”

NewsGuard ha identificato sette account che hanno diffuso almeno due narrazioni false sul conflitto tra Israele e Hamas, tutti possessori della spunta blu a pagamento di Twitter/X. Tra questi troviamo @Sprinter99800, un account totalmente anonimo con oltre 372 mila followers. Creato nel 2019, era stato sospeso da Twitter nel 2022 e poi reintegrato dalla gestione Elon Musk ottenendo poi la spunta blu nel settembre 2023.

È stato tra i diffusori della falsa notizia sui funzionari israeliani catturati da Hamas e la bufala della CNN che avrebbe simulato un attacco missilistico in Israele, ottenendo nel complesso oltre tre milioni di visualizzazioni. Di recente è stato uno dei principali diffusori della fake news sull’inesistente articolo del WSJ che accusava Israele di aver usato una bomba americana per bombardare l’ospedale Al Ahli Arab di Gaza City.

Un altro diffusore è l’account @ShadowofEzra, registrato nel 2022, ha ottenuto la spunta blu a pagamento nel settembre 2023. Con i suoi oltre 130 mila followers, in passato aveva condiviso le teorie del complotto della setta QAnon, come quella che vede l’Ucraina come un rifugio per coloro che si occupano di traffico sessuale di bambini.

Nel corso del conflitto tra Israele e Hamas, ha sostenuto che l’attacco dei terroristi sarebbe una “false flag” e che questi sarebbero una creazione del governo israeliano per dare il via a un genocidio di massa e la terza guerra mondiale.

Le Note della comunità servono a poco

Come spiegato in precedenza, a poco è servito il cosiddetto servizio di fact-checking di X, le “Note della comunità”. Secondo l’analisi di NewsGuard, nella prima settimana del conflitto ha rivelato che le note della comunità sono state applicate «in modo incoerente alle principali narrazioni false relative al conflitto». Nel 68% dei casi, le note non comparivano sui post contenenti informazioni false o errate già ampiamente smentite.

La situazione italiana

NewsGuard ha condiviso con Open alcuni dati riguardanti la realtà italiana. Sono stati presi in considerazione i 15 post in italiani con maggiore engagement nel periodo tra il 7 e il 14 ottobre, i quali hanno sostenuto le seguenti narrazioni false o infondate: “L’Ucraina ha venduto armi a Hamas“, “Un video mostra alcuni bambini israeliani tenuti in ostaggio in gabbie da Hamas” e “L’attacco terroristico di Hamas è in realtà una ‘false flag’ orchestrata da Israele o dall’Occidente“. Ben 8 su 15 post sono stati pubblicati da account “verificati”, mentre solo 4 sono stati etichettati dal servizio “Note della comunità”.

Salvini saluta il ministero: si torna al Papeete (huffingtonpost.it)

Parlare di strade e ponti è servito solo a 
trasformare il Capitano in Capomastro. 
Il nemico alle porte – Hamas, terrorismo ma anche magistratura – rende molto di più. Un tripudio di sangue e una teoria di maiuscole per il ritorno della Bestia in vista delle elezioni europee

“Tutto il mio sostegno al popolo di Israele, sotto attacco da parte di TERRORISTI ISLAMICI”. Il 7 ottobre così Matteo Salvini commentava a caldo l’attacco di Hamas contro i civili israeliani. Il maiuscolo è dell’originale, e offre la traccia di quel che la comunicazione del segretario della Lega avrebbe messo in moto nei dodici giorni successivi.

Al momento in cui scriviamo si contano ben ventinove post su Instagram e undici tweet riferiti al conflitto che sta avviluppando il Medio oriente e agli episodi di violenza scatenatisi in particolar modo in Francia e in Belgio a seguito di esso. Per offrire un termine di paragone, Giorgia Meloni ha tweettato sullo stesso tema due volte, e su Instagram si è limitata a pubblicare le foto con i re di Giordania e Barhein in visita a Palazzo Chigi corredati da un copy assai istituzionale.

Non è un fatto di questi giorni che la “Bestia”, la macchina dei social di Salvini si sia rimessa in moto a pieno regime. Dopo mesi passati a segnalare apertura di cantieri e inaugurazioni di varianti, al massimo a parlare del ponte di Messina, al punto che qualcuno nel partito bonariamente sorrideva definendo il leader “il Capomastro”, ironizzando sul soprannome “il Capitano” con il quale è conosciuto nella sua fanbase, il vicepremier ha concordato con i suoi un ritorno all’antico.

“Sì, ci sono state alcune riunioni a cavallo dell’estate, si è deciso di riprendere una comunicazione più aggressiva”, spiega un esponente in camicia verde. È un combinato disposto tra i cali fotografati dai sondaggi e lo scarto che è rimasto amplissimo con Fratelli d’Italia, “concentrarsi solo sul ministero non ha pagato, anzi”, il ragionamento dei comunicatori di Salvini.

E così da qualche settimana i suoi profili social sembrano più quelli di un magazine di destra che non quelli di un ministro e vicepremier: video di manifestazioni ambientaliste, di trasmissioni televisive che corroborano le sue posizioni, di contestatori da accusare o biasimare, il tutto condito da una spruzzata di ponte di Messina e eventi sul territorio.

Lo schema più aggressivo si è dispiegato sulla sentenza della magistrata Iolanda Apostolico. Oltre il video della discordia decine di post di critica alla giudice “ideologizzata” o di crimini commessi da immigrati che potessero corroborare la legittimità delle posizioni del ministro. Osserva la fonte della Lega che “ovviamente questi sono i nostri temi da sempre, ed è naturale che sia su queste cose che insistiamo”.

L’immigrazione come volano di ripresa dei consensi, dopo le ruvidezze negli scorsi mesi che hanno lasciato il leader del Carroccio molto contrariato per la scelta di Meloni di abbandonare nei fatti la linea dura dei porti chiusi per perseguire il piano Mattei e gli accordi con l’Africa come principale direttrice d’intervento.

Con lo scoppio della guerra in Palestina la macchina della Bestia ha ricominciato a macinare contenuti come ai vecchi tempi. Non c’è più Luca Morisi, il vero ideatore della propaganda social che ha portato la Lega anche oltre il 30% dei consensi alle ultime europee, ma il resto della struttura è solidamente incardinata in postazioni di governo. Andrea Paganella, che con Morisi ha messo in piedi la Bestia, è nel frattempo sbarcato in Parlamento, e da senatore continua ad avere la supervisione generale.

Gli altri del team sono dislocati tra Palazzo Chigi – Fabio Montoli,  Alessandro Pansera e Leonardo Foa, quest’ultimo in qualità di “responsabile della pianificazione e della promozione delle attività del vicepresidente” – e al ministero delle Infrastrutture dove Andrea Zanelli e Fabio Visconti figurano nello staff, mentre Daniele Bertana ha i galloni di capo segreteria.

E il pericolo dell’immigrazione come latrice di terrorismo anche nel nostro paese è stato da subito il liet-motiv della lunga sfilza di post sulla guerra, ancor prima che fosse noto che Abdesalem Lassoued, il terrorista che ha ucciso due tifosi svedesi a Bruxelles, fosse entrato in Europa sbarcando a Lampedusa. Dopo il primo intervento, la vicinanza e la solidarietà a Israele e al suo popolo è diventato sempre meno centrale nelle sottolineature alle foto e ai video, tutti pubblicati con un solo scopo: mettere in allarme sul “terrorismo islamico”.

Al punto che, fatto salvo per i primi due, la parola “Israele non viene quasi più menzionata”. Il 7 ottobre è il turno di “terroristi islamici di Hamas” e di un ellittico “Sangue, odio islamico, violenza islamica, morte”, l’8 si denuncia “l’odio sconfinato dell’estremismo islamico” e si parla di “donne e bambini israeliani rapiti dai terroristi”.

È l’ultima volta che si cita Israele, verrà poi il turno di “bestialità dell’aggressione islamica”, “terroristi islamici assassini”, tagliagole islamici”, “terroristi che siate maledetti”, “follia dell’estremismo islamico”, e si potrebbe continuare a lungo.

A sublimare questa linea comunicativa, è arrivata la convocazione della piazza a Milano per il prossimo 4 novembre, e ancora una volta la parola d’ordine con cui invita elettori e simpatizzanti a unirsi non è il sostegno a Israele, che rimane sempre sullo sfondo, ma “DIFENDERE diritti, libertà e sicurezza, CONTRO sangue e barbarie del terrorismo islamico”.

È il non originalissimo refrain del nemico alle porte, del pericolo da additare al di là dei rischi e dei pericoli concreti, principalmente per creare un’onda emotiva che generi consenso e mobilitazione attorno a un partito sfibrato dai sondaggi e che non riesce a esercitare sulle decisioni strategiche del governo la presa che si era immaginato prima delle elezioni.

“E sicuramente la Bestia continuerà a fare il lavoro che l’ha resa famosa – spiega la fonte del Carroccio – magari modulando il tenore e la quantità degli interventi, ma sostanzialmente è tornata quella che era”. È questo uno dei principali grimaldelli che il vicepremier è convinto di poter utilizzare per risalire la china e incassare un buon risultato alle europee, da capitalizzare anche sul fronte interno. La Lega è il partito di maggioranza in cui gli spifferi su un futuro rimpasto si fanno più sentire, ma per arrivarci, e per farlo in una posizione di forza, serve riempire le urne. E in questo la Bestia è imprescindibile.

Cosa capiscono i ragazzi della guerra? (rivistastdio,com)

di Arianna Giorgia Bonazzi

Medio Oriente

Le immagini delle violenze in Medio Oriente arrivano anche a loro. Ha senso proteggerli vietando l’accesso ai social, come suggeriscono alcuni? O è possibile, e giusto, spiegare cosa sta succedendo?

Èdella scorsa settimana la notizia che molte scuole e associazioni di genitori isrealiane stanno consigliando alle famiglie di cancellare i social media dai dispositivi dei loro ragazzi, per proteggerli da immagini scioccanti, come gli appelli disperati degli ostaggi. In seguito, anche le scuole americane e inglesi, preoccupate dalla disinformazione sulla nuova guerra e dai suoi effetti angoscianti, hanno consigliato ai genitori la stessa politica.

Su TikTok, il social ormai invaso da noi vecchi, ma tradizionalmente avamposto dei ragazzini, da dieci giorni a questa parte circolano materiali fake, come video mal tradotti e mal sottotitolati, o immagini appartenenti a guerre e crisi umanitarie del passato spacciate come ultim’ore, tanto che il 14 ottobre la Commissione europea – dopo l’ultimatum già lanciato a X di Elon Musk – aveva dato 24 ore all’amministratore delegato del social cinese per rimuovere i contenuti illegali e fuorvianti (ci sono ancora).

La maggior parte dei siti d’informazione consiglia ai genitori di interrogare i ragazzi sui contenuti visualizzati in questi giorni, e si concentra sulla prevenzione e sull’educazione digitale: aumentare i blocchi per non venire più in raggiunti da immagini sensibili, imparare a riconoscere la contraffazione, o, in ultimissima battuta, rivolgersi ai grandi se si è rimasti sconvolti da qualcosa. Io invece mi preoccupo quasi del contrario. Entro, col suo permesso, nell’account TikTok di mia figlia, e mi imbatto in un video di cattivissimo gusto con tante emoji in lacrime appiccicate sopra a un uomo affranto in camice che abbraccia alcuni parenti.

La scritta catchy dice: un medico rimane scioccato quando si accorge che uno dei bambini arrivati morti in ospedale è suo figlio. Il video è costruito esattamente come i video commoventi acchiappa-click “un bambino vede per la prima volta dopo l’operazione agli occhi,” solo che crea l’effetto opposto. Le immagini, in questo caso, non sembrano corrispondere all’interpretazione fornita. Per quel che vediamo, potrebbe trattarsi benissimo di un dottore che consola i familiari di un ferito. Vorrei spiegare a mia figlia: non c’è nessuna voce di un reporter che attesta la sua presenza sul posto e ne valida la testimonianza; quelle faccine piangenti poi cancellano gran parte dell’ambientazione.

Ma mia figlia non mi ha chiesto niente a proposito di questo o di altri video di neonati fasciati e macchiati di sangue, o di mamme che baciano per l’ultima volta il volto pixellato del loro bambino. Guardo ancora: Kamal, 7 anni, è inquadrato in primissimo piano su una sedia a rotelle, mentre piange e ripete il nome di qualcuno con lo sguardo rivolto in basso. Le didascalie dicono che invoca il fratello maggiore, 14 anni, che giace morto a terra ai suoi piedi, e assieme al quale si era svegliato in piena notte sotto le bombe, mentre quello gridava aiuto. Ma se stanno visualizzando queste cose, perché i ragazzi non ci chiedono niente?

State parlando del nuovo conflitto in corso a scuola? Il prof di storia non è ancora stata nominato, è la risposta laconica del liceale. Sai dove si sta svolgendo la guerra di cui TikTok ti mostra le immagini, chiedo alla minore. Non sono sicura, fa. Me lo dici tu? Allora lo inchiodo davanti ai video YouTube del prof di BarbaSophia, il podcast divulgativo e amichevole che ha avuto così tanto successo negli ultimi anni tra gli studenti abbandonati. Ma perché a scuola non c’è un insegnante, non necessariamente assegnatario della cattedra di storia, che decide di iniziare la giornata aprendo un giornale?

Quando collaboravo con Emergency, durante l’evento annuale in streaming dedicato ai ragazzi delle superiori, i ragazzi mandavano le loro domande in dm. Una diceva: «La scuola non ci aiuta a capire esattamente cosa sia la guerra. Nello studio della storia non si riesce a raccontare la profonda sofferenza causata dalla guerra».

L’associazione ha un’etica molto precisa riguardo al tipo di immagini da condividere, diametralmente opposta al panico sensazionalistico che possono scatenare i social. La primissima campagna sulla guerra del Ruanda era fatta di riquadri neri con la scritta: “Quello che Emergency vede, non ve lo fa vedere” (e non era rivolta ai bambini).

Io non sono sempre d’accordo. Leggo il consiglio dello psicologo intervistato in questi giorni da Cbs News, «parlategli perché non abbiano così tanta paura», e mi dico: ma perché i ragazzini newyorkesi (o italiani) non dovrebbero sentirsi turbati, se altri bambini stanno vivendo questa cosa sulla loro pelle? La famosa foto della bambina del napalm, che fugge nuda e urlante nel villaggio di Trang Bang in Vietnam, comparsa sulla prima pagina del New York Times il 9 giugno 1972, e definita «l’immagine che non doveva essere mostrata di un evento che non avrebbe dovuto accadere», ha tormentato le coscienze delle persone a lungo, e secondo alcuni è stata decisiva per movimentare l’opinione pubblica e mettere fine alla guerra in Vietnam.

Mi rendo conto che però qui il tema è un altro, e riguarda nello specifico i ragazzini sovraesposti allo spettacolo del dolore. Carlo Garbagnati, cofondatore di Emergency, a tal proposito scriveva che «non si è disposti a convivere con gli incubi, ed è fisiologico sottrarsi all’orrore: le forme di questa autodifesa potrebbero diventare la rassegnazione che accetta l’orrore […] o la rimozione che cancella gli incubi».

Non controllando né guidando il consumo di orrore da parte dei nostri minorenni staremmo dunque immunizzandoli dalla capacità di sentirsi coinvolti. Anestetizzando la loro voglia di capire. Se questa roba passa in mezzo al flusso del make-up, dei trick sportivi e delle abbuffate, e posso swappare via, dev’essere qualcosa che non mi riguarda. Ecco forse la fonte di quelle non-domande, di quei silenzi che arrivano molto spesso da ragazzini normali, non da mostri anaffettivi.

D’altra parte, noi tutti, condotti allegramente dai nonni alle domeniche aperte in caserma, tra carrarmati e aerei da guerra, ci chiedevamo a cosa serviva tutta quella ferraglia annunciata da bande e fanfare? È una cosa diversa, certo, ma ricordo bene anche che vivevo le immagini della guerra jugoslava al Tg serale come qualcosa di ineluttabile e lontano, sebbene ogni tanto arrivasse un nuovo compagno di classe che aveva attraversato l’Adriatico in fuga.

Eppure, una sola generazione ci separava dal racconto in prima persona delle bombe: allevati dai superstiti, non potevamo scartare un pezzetto di carne senza che ci venisse ricordata amaramente la fame, non potevamo disprezzare un paio di calze senza che qualcuno ci rinfacciasse il freddo nei rifugi antiaerei. Ma quel freddo, quella fame, e soprattutto quella paura, non sapevamo immaginarli abbastanza.

Dubito che domani Matteo Saudino di BarbaSophia sarà nominato titolare della cattedra di storia della classe di mio o di vostro figlio. E dubito anche che impedirò ai miei figli di continuare a informarsi rischiosamente e maldestramente sui social: mi sembrerebbe totalitario. Tutto quello che posso fare è bussare alle porte delle loro stanze, e chiedere cosa abbiano visto oggi e cosa diavolo stiano capendo. Spiegare quel che ho capito io. E poi confessare che nessuno, evidentemente, ci ha capito abbastanza.