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FACT-CHECKING / No! La rappresentante dem della California non ha mai detto che la pedofilia «non è un crimine, ma un’identità» (open.online)

di Ludovica Di Ridolfi

Porter viene falsamente descritta come una 
pedofila per aver denunciato come altre persone 
vengano falsamente descritte come pedofili

Tra le varie accuse mosse dai detrattori agli esponenti democratici americani, dalla massoneria al satanismo, ricorre spesso quella di pedofilia. L’ultima presunta prova a sostegno di questa teoria ha coinvolto la rappresentante democratica della California, Katie Porter: diversi post condivisi sui social nella seconda metà di dicembre hanno infatti sostenuto che Porter avesse definito la pedofilia «non un crimine, ma un’identità». Una narrazione che punta a svelare le presunte abominevoli derive del progressismo in materia di diritti civili, ma che si basa su un’affermazione che l’esponente dem, in realtà, non ha mai pronunciato.

Analisi

«Evviva i dem…… ma dem starà mica per dementi? Non avevo capito ,scusare». Con questo commento un utente rilancia su Facebook lo screenshot di un tweet condiviso il 15 dicembre dall’account @stillgray. Il post, tradotto, recita: «Secondo la rappresentante democratica della California Katie Porter, la pedofilia non è un crimine, è una “identità”».

La teoria ha avuto enorme diffusione negli Stati Uniti, dove è stata condivisa anche dal rappresentante repubblicano del Texas Ronny Jackson. Che ha pacatamente aggiunto: «Katie Porter ha appena detto che la pedofilia non è un crimine, ha detto che è una “identità”. QUESTA È L’INCARNAZIONE DEL MALE! La cosa triste è che questa donna non è l’unica persona VILE che spinge per la normalizzazione della pedofilia. Questo è ciò che credono i progressisti!».

A scatenare l’indignazione è una breve clip che viene allegata ai commenti scandalizzati. Per capire se Porter ha veramente affermato ciò di cui viene accusata, bisogna risalire all’origine.

L’intervento da cui è nata la bufala

l video incriminato risale al 14 dicembre 2022, ed è stato estrapolato dall’intervento che la rappresentante democratica ha fatto nel corso di un’udienza del Comitato per la supervisione e la riforma della Camera, sul tema della violenza e della discriminazione nei confronti della comunità Lgbtq+ negli Stati Uniti. L’incontro è stato organizzato a seguito della sparatoria al Club Q in Colorado, avvenuta alla fine dello scorso novembre, quando un uomo ha aperto il fuoco in una discoteca gay a Colorado Springs, uccidendo 5 persone e ferendone altre 17.

Durante l’udienza, Porter ha commentato rapporto pubblicato dall’organizzazione americana per i diritti civili Human rights campaign (Hrc) sulle discriminazioni sui social subite dalla comunità Lgbtq+. Sottolineando come tra le accuse più ricorrenti che venivano mosse alla comunità vi era quella di pedofilia (in più occasioni ci siamo occupati di smentire bufale di questo tipo).

Ma il contenuto del suo intervento non era in alcun modo volto a legittimare il reato. Porter ha infatti affermato che la retorica sopracitata equivale a «sostenere falsamente che una persona sia in qualche modo criminale e coinvolta in atti criminali semplicemente a causa della sua identità – il suo orientamento sessuale, la sua identità di genere».

E ha aggiunto che «la narrativa del “groomer” è una bugia secolare per posizionare le persone LGBTQ + come una minaccia per i bambini», e quello che fa è «negare loro l’accesso agli spazi pubblici, alimentare la paura e persino la violenza». Onde evitare ulteriori fraintendimenti, Jordan Wong, un portavoce di Porter, contattato dall’Associated Press, ha categoricamente smentito la bufala.

Conclusioni

I commenti fatti da Porter nel corso dell’udienza della commissione sull’aumento della violenza anti-LGBTQ sono stati estrapolati dal contesto. La politica statunitense non ha mai legittimato la pedofilia, come falsamente affermato dai detrattori. Il reale contenuto del suo intervento voleva denunciare la possibilità che qualcuno venisse accusato del reato solo a causa della sua identità di genere o il suo orientamento sessuale.

FACT-CHECKING / No! Bill Gates non ha messo in dubbio la sicurezza dei vaccini: l’intervista è precedente al loro rilascio (open.online)

di Ludovica Di Ridolfi

Nella clip condivisa, il magnate americano sembra 
riconoscere gli effetti collaterali dei vaccini 
e metterne dunque in dubbio la sicurezza

Ci sono due argomenti che accendono l’ira dei complottisti: i vaccini Bill Gates. Quando entrambi i temi si uniscono, la disinformazione è assicurata: dopo aver falsamente supposto che siano stati trovati farmaci abortivi nei vaccini di Gates in Kenya, teorizzato la presunta previsione del vaiolo delle scimmie da parte della fondazione del miliardario e affermato che quest’ultimo prevede e accetterebbe 700mila morti a causa del vaccino, è il turno di un’intervista che secondo alcuni utenti sul web dimostrerebbe la scarsa affidabilità delle dosi usate per prevenire le conseguenze più serie dei contagi da Coronavirus.

Analisi

«Un classico su Bill Gates è l’osservazione del linguaggio del corpo, che dimostra sempre quanto è falso. Persino viscido», si legge in questo post condiviso il 27 dicembre 2022. In allegato, troviamo un estratto di quella che sembra essere un’intervista rilasciata da Gates in merito ai vaccini anti-Covid.

Nel video, il magnate americano sembra avere più di qualche perplessità sulla sicurezza delle dosi utili a prevenire le controindicazioni più pericolose della malattia. Scetticismo che risulta strambo se proveniente da lui, che assieme a sua moglie, da anni è impegnato attraverso la Fondazione in diversi programmi, compresi quelli volti a studiare l’emergere di nuovi pericolosi patogeni, e lo sviluppo di piani vaccinali.

Nella clip, che dura poco più di un minuto e mezzo, vediamo infatti una giornalista chiedergli: «Gli effetti collaterali del vaccino Moderna sembrano essere preoccupanti. Dopo la seconda dose, circa l’80% dei partecipanti ha sperimentato severi effetti collaterali, che vanno dai brividi alla febbre. Dunque, questi vaccini sono sicuri?».

Al che il fondatore di Microsoft risponde: «Ecco, la FDA (Food and Drug Administration, ovvero l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ndr) guarderà attentamente a questo.

La FDA è il gold standard dei regolatori e la loro attuale guida su questo, è molto, molto adeguata. Gli effetti collaterali non erano super-gravi; cioè, non hanno causato problemi di salute permanenti. Si è dovuto somministrare Moderna con una dose abbastanza alta per ottenere gli anticorpi. Alcuni degli altri vaccini sono in grado di essere somministrati con dosi più basse per ottenere risposte piuttosto alte, compresi i vaccini Johnson & Johnson e Pfizer».

E quando l’intervistatrice ribatte: «Ma tutti con una dose elevata hanno avuto un effetto collaterale», Gates puntualizza: «Sì, ma in parte non è drammatico, è solo molto doloroso. Ma, sì, dobbiamo assicurarci che non ci siano gravi effetti collaterali. La FDA, penso, farà un buon lavoro, nonostante la pressione». Un utilizzo dei tempi futuri che risulta quantomeno sospetto, se supponiamo che l’intervista sia stata condotta recentemente, come le ultime condivisioni lasciano intendere.

In effetti, una spiegazione c’è: la clip è stata infatti estrapolata da un’intervista condotta nel luglio 2020, molto prima che le vaccinazioni fossero approvate da qualsiasi paese. Ne troviamo traccia sul sito ufficiale dell’emittente di cui vediamo il logo, Cbs News, che ne condivide un estratto titolando: «Bill Gates sulla gestione da parte degli Stati Uniti della pandemia di COVID-19 e della disinformazione sui vaccini».

Il discorso sopracitato, dunque, non è da intendere come uno scetticismo a posteriore sugli eventuali effetti collaterali dei vaccini, ma semmai come una prudenza a priori necessaria prima della loro messa in circolazione definitiva. I vaccini Covid distribuiti nei Paesi occidentali hanno ricevuto una autorizzazione emergenziale a seguito del superamento di tre fasi di sperimentazione clinica. Il 2 dicembre 2020 il primo vaccino ha completato le diverse fasi di sperimentazione e controlli ed è stato approvato per un uso d’emergenza.

Conclusioni

La clip dove Bill Gates riconosce e commenta gli effetti collaterali dei vaccini non è tratta da un’intervista recente: risale al luglio 2020, dunque in un periodo precedente all’approvazione e al rilascio dei farmaci.

Stop alle ricette «digitali» dei farmaci da gennaio. L’allarme dei medici di famiglia: «Chiediamo la proroga, è un passo indietro» (open.online)

di Ygnazia Cigna

Il sindacato dei dottori denuncia che 
potrebbero tornare lunghe attese e affollamenti 
negli studi

Stop alle ricette dei farmaci via mail e per messaggio. A gennaio scadrà la norma, introdotta con la pandemia da Covid, che rendeva possibile l’invio delle prescrizioni farmaceutiche anche a distanza: dall’1 gennaio, a meno di un intervento, si dovrà tornare dal proprio medico di famiglia.

E sono proprio i dottori a denunciare il problema al ministro della Salute, Orazio Schillaci: «Chiediamo la proroga, oltre la scadenza del 31 dicembre 2022, dell’utilizzo della ricetta dematerializzata almeno per un anno e un provvedimento che renda il suo utilizzo strutturale, così da liberare i medici da impropri carichi burocratici». A parlare è Pina Onotri, segretaria Generale del Sindacato Medici italiani (Smi), che riferisce come già ci sia una mancanza di medici di famiglia in tutta Italia, e caricarli di ulteriore lavoro possa essere rischioso.

Il ritorno alla ricetta cartacea – aggiunge – «rappresenterebbe un salto indietro, causando lunghe attese negli studi medici». Liberare i medici curanti da carichi burocratici «permette di valorizzare la professione, contrastare l’esodo dalla categoria, e dare la possibilità di utilizzare più tempo alla cura e all’assistenza dei pazienti».

Il contesto dell’ordinanza

Una mancata proroga dell’invio telematico o via messaggio delle prescrizioni sarebbe un’occasione sprecata, secondo gli stessi medici, perché la norma ha ridotto la burocrazia e gli affollamenti presso gli studi. La ricetta elettronica in Italia non è mai partita davvero nel nostro Paese. È stata implementata negli ultimi anni, ma fino al 2020 era accompagnata comunque da un promemoria cartaceo da ritirare nello studio medico.

Poi, è arrivata l’ordinanza due anni fa che ha dato il via libera alla possibilità di utilizzare strumenti alternativi al promemoria cartaceo e ha previsto che, al momento della generazione della ricetta elettronica da parte del medico, l’assistito possa chiedere il rilascio del numero di ricetta elettronica.

«Gli anziani e i fragili saranno in difficoltà»

«La sanità digitale, in generale, e nel suo piccolo anche la ricetta dematerializzata è di enorme beneficio», commenta la segretaria generale di Cittadinanzattiva Anna Lisa Mandorino, che si unisce al coro di chi chiede la proroga dell’ordinanza. A beneficiarne sono soprattutto «le aree interne, in cui la distanza dallo studio del medico, o le condizioni disagiate che talvolta sussistono per raggiungerlo, costringerebbero ad esempio le persone anziane a chiedere aiuto ad un familiare».

Ma il sistema è molto utile anche per chi ha bisogno di una prescrizione che non necessita di un incontro con il medico. Ora, se Schillaci non interverrà da gennaio «non si potrà più – spiega la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale – trasmettere il promemoria in allegato al messaggio di posta elettronica, comunicare il numero di ricetta elettronica con sms o altra applicazione per telefonia. come Whatsapp, e nemmeno comunicare telefonicamente i dati della ricetta».