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I posti di lavoro disponibili sono meno di quelli che dice Meloni (pagellapolitica.it)

di CARLO CANEPA

Fact-checking
LA DICHIARAZIONE
«Ci sono 2 milioni di posti di lavoro che il mercato non è attualmente in grado di soddisfare per carenza di profili adeguati»

Il 3 luglio, partecipando all’Assemblea generale di Assolombarda, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato del «forte disequilibrio tra domande e offerta di lavoro» in Italia. Secondo Meloni in Italia ci sono «2 milioni di posti di lavoro» che a causa dell’assenza di profili adeguati il mercato non è in grado di soddisfare.

È davvero così? Abbiamo verificato che cosa dicono i numeri e la presidente del Consiglio esagera.

Che cosa dice Istat
Nel suo discorso Meloni non ha citato da dove viene il dato dei «2 milioni» di posti di lavoro disponibili. Vediamo quindi che cosa dicono i dati più aggiornati di Istat. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, nei primi tre mesi del 2023 il tasso di posti vacanti in Italia era pari al 2,1 per cento. Questo indicatore è definito come il rapporto percentuale tra i posti di lavoro vacanti e la somma tra i posti di lavoro e le posizioni lavorative occupate nell’ultimo giorno del trimestre analizzato, in questo caso il primo di quest’anno. «Questo indicatore, misurando la quota di posti di lavoro per i quali le imprese cercano lavoratori idonei, corrisponde alla parte di domanda di lavoro non soddisfatta», spiega Istat. «Esso presenta una diretta analogia con il tasso di disoccupazione, che misura la quota di forze di lavoro in cerca di un’occupazione e rappresenta, quindi, la parte di offerta non impiegata». Detta altrimenti, il tasso di posti vacanti registra le ricerche di personale formalmente iniziate dalle imprese con dipendenti, ma non ancora concluse.
Su circa 23,5 milioni di occupati a livello nazionale, stiamo dunque parlando di quasi 500 mila posti vacanti, un dato distante dai «2 milioni» indicati da Meloni. Comunque non tutti i posti di lavoro vacanti lo sono per carenza di profili adeguati. Ma su questo punto Istat non fornisce stime.

Che cosa dicono le imprese

Quando si parla di posti di lavoro disponibili, un’altra fonte spesso citata è il Sistema informativo Excelsior, curato dall’Agenzia nazionale politiche attive lavoro (Anpal) e dall’Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Unioncamere). Sulla base di interviste fatte a quasi 110 mila imprese con dipendenti, rappresentative del settore dell’industria e dei servizi, il bollettino del Sistema informativo Excelsior calcola periodicamente quali sono le intenzioni delle aziende per quanto riguarda le assunzioni di nuovi lavoratori.

Secondo le rilevazioni più aggiornate, le assunzioni previste nel mese di giugno erano quasi 568 mila, numero che saliva a oltre un milione e 373 mila considerando il periodo tra giugno e agosto. Secondo le imprese intervistate, il 46 per cento delle assunzioni previste per il mese di giugno era di “difficile reperimento”. In questa espressione rientrano la mancanza di candidati, la preparazione inadeguata o altri motivi, ossia la casistica indicata da Meloni. Anche questi numeri sono più bassi dei «2 milioni» citati dalla presidente del Consiglio.

Ribadiamo che i dati del Sistema informativo Excelsior fotografano solo le intenzioni delle imprese, non i posti di lavoro effettivamente disponibili: tra le altre cose non è detto che le imprese abbiano la disponibilità economica per assumere tutti i lavoratori per riempire le assunzioni indicate.

Occhio a leggere i dati

Con tutta probabilità i «2 milioni» di cui parla Meloni provengono da un rapporto del Sistema informativo Excelsior, intitolato “La domanda di professioni e di formazione delle imprese italiane nel 2022”. Nel testo si legge che in tutto l’anno scorso sono state stimate oltre 2 milioni di assunzioni di “difficile reperimento”, un dato in crescita rispetto alle circa 1,2 milioni del 2019. Questo dato però non significa che a oggi ci sono 2 milioni di posti di lavoro disponibili per la carenza di profili adeguati: da un lato questo numero fa riferimento a tutto il 2022 ed è dunque un dato complessivo relativo all’anno scorso; dall’altro lato tra le assunzioni di “difficile reperimento” ce ne sono anche per altri motivi, come spiegato in precedenza.

Lo stesso rapporto sottolinea che le imprese italiane stanno adottando varie strategie per risolvere il problema delle assunzioni difficili (ma non impossibili) da fare. Per esempio assumono figure con caratteristiche simili per poi formarle al loro interno, ampliano la ricerca a livello territoriale e fanno leva sui salari. Quest’ultima strategia «nella fase più recente sta acquisendo un maggiore rilievo», spiega il rapporto.

Il verdetto

Giorgia Meloni dice che in Italia «ci sono 2 milioni di posti di lavoro che il mercato non è attualmente in grado di soddisfare per carenza di profili adeguati». Il dato indicato dalla presidente del Consiglio è esagerato.

Secondo Istat nel primo trimestre di quest’anno il tasso di posti vacanti era pari al 2,1 per cento, pari a circa 500 mila posti di lavoro vacanti (non necessariamente per la carenza di profili adeguati).

A giugno il Sistema informativo Excelsior ha raccolto l’intenzione delle imprese di voler assumere 568 mila persone. Di queste il 46 per cento era di “difficile reperimento”, categoria che non comprende solo la carenza di profili adeguati. Secondo Excelsior, nel 2022 il totale delle asssunzioni annunciate di “difficile reperimento” è stato pari a oltre 2 milioni. Ma questo non vuol dire che a oggi ci sia questo numero di posti di lavoro effettivamente disponibile.

Il Pd di Schlein pensa ai lavoratori senza chiedersi “chi paga?”: il fastidio per le partite iva e la fascinazione reddito di cittadinanza (ilriformista.it)

di Riccardo Puglisi

Il salario minimo e il problema disoccupazione

Massimalista, estremista, populista ma anche governista. Le varie anime dell’odierna opposizione che sono chiamate ad occuparsi del destino dei lavoratori

Il nuovo Pd, sempre più spostato a sinistra, coltiva contemporaneamente la giusta ambizione di occuparsi del destino dei lavoratori ma anche un certo gusto nel proporre soluzioni antiquate, in contraddizione con la complessità della situazione attuale. Un vecchio tema è quello di creare posti di lavoro per decreto, in particolare attraverso assunzioni nel settore pubblico, come se il settore privato fosse generalmente inetto a farlo, e senza domandarsi mai “chi paga?”.

In questi anni abbiamo anche assistito all’abbandono pressoché completo dell’approccio di flexicurity, secondo cui bisogna puntare alla protezione dei lavoratori, soprattutto grazie a un sussidio di disoccupazione universale generoso ma non eterno, anziché a quella dei posti di lavoro, anche quelli in imprese e settori ormai obsoleti, che di fatto distruggono valore.

Il Pd di Schlein dichiara di badare ai lavoratori e alla loro diversità di preferenze ed abilità ma si contraddice nel non ammettere l’esistenza di diversità tra le imprese, per cui la contrattazione a livello aziendale potrebbe funzionare particolarmente bene, lasciando crescere di più i salari nelle imprese che se lo possono permettere grazie a una crescita della produttività più forte.

Vi è poi questa fascinazione per il reddito di cittadinanza, trascurandone gli effetti perversi -ma prevedibili- che consistono nell’indurre chi lo percepisce a non accettare un impiego per il timore di perdere tale reddito fornito dallo stato. La proposta di un salario minimo, pur essendo sensata dal punto di vista redistributivo, spesso viene presentata come soluzione miracolosa, trascurando gli effetti negativi su alcune categorie di lavoratori, che vedrebbero diminuire la domanda del loro lavoro e dunque aumentare il rischio di disoccupazione.

Bisogna infine ricordare il fastidio verso le partite Iva, che con gioviale prontezza in stile ztl vengono qualificate come soggetti largamente dediti all’evasione fiscale. Ormai nel Pd è difficile trovare un esponente che dichiari di apprezzare le partite Iva come modello di imprenditoria che si addossa rischi personali ed è in grado di creare occupazione, oltre alla propria.

Pacchetto europeo, pacco sovranista: una settimana complicata per la Premier Meloni (ilriformista.it)

di Matteo Renzi

Giornate da dimenticare

La non facile settimana di Giorgia Meloni. Tra vicenda Santanchè e rinvio del Mes, per la Premier sono stati giorni complicati, cui si è aggiunto il pacco arrivato al Consiglio Europeo: il pacco immigrazione, di stampo sovranista. Giorni da dimenticare, dunque: auguri per la prossima settimana.

Non è stata una settimana semplice quella di Giorgia Meloni. La Presidente del Consiglio ha un crescente problema in casa propria costituito dalla vicenda Santanchè. Sulla ministra del turismo non è emerso nulla di nuovo rispetto a quanto già si sapesse al momento del giuramento. Ciò che ha fatto e che non ha fatto Daniela Santanchè con Visibilia non è emerso oggi, all’improvviso: era già noto quando la Meloni ha proposto al Presidente della Repubblica il nome dell’imprenditrice piemontese. E allora? Perché tutta questa visibilità improvvisa?

Nel suo intervento in replica al Senato di mercoledì la Premier ha evocato oscuri complotti internazionali della sinistra. Ma questa sinistra non è nella condizione di costruire nemmeno trappole locali, figuriamoci complotti internazionali.

La verità è che dentro la maggioranza è partito il classico gioco di logoramento e una parte della coalizione – ma anche una parte di Fratelli d’Italia – che non sopporta la Santanché sta facendo un gioco di sponda a quei media che hanno sapientemente lanciato il guanto di sfida. Vedremo se la Presidente resisterà fino in fondo o mollerà l’amica al suo destino: c’è solo da aspettare, popcorn in mano.

La strategia del rinvio colpisce anche il MES. In teoria martedì alla Camera si vota il testo che impegna la maggioranza a ratificare le modifiche al meccanismo di stabilità europeo. Ma la destra è divisa: Lega sparata contro, con la timida eccezione di Giorgetti. Forza Italia in confusione dopo la scomparsa del Presidente Berlusconi tanto che il no euro Claudio Borghi maramaldeggia e plaude ai forzisti che sono diventati all’improvviso No-Mes, con buona pace di tutte le idee dei popolari europei.

Al momento la Premier sceglie di buttare la palla in calcio d’angolo: se ne riparla a novembre 2023. Evidentemente spera di ottenere qualche risultato dalla trattativa di Bruxelles, il cosiddetto “pacchetto”, che comprenda anche una revisione delle regole di bilancio.

Ma più che un pacchetto da Bruxelles al Consiglio Europeo è arrivato un paccoIl pacco immigrazione. Le posizioni italiane sono state messe in scacco dal veto di polacchi e ungheresi. È finita così, dunque: con la Meloni incaricata dal Presidente Michel di tentare un compromesso e con il fallimento di Giorgia. Ci sta, dicono i sostenitori. Certo, rispondono gli avversari, ma bisogna notare che a dare il due di picche all’inquilina di Palazzo Chigi non è stato il “cattivo” Macron o “la sorda Germania”.

A spegnere i sogni di gloria della Meloni sono stati i suoi alleati di Varsavia e di Budapest. Il tutto proprio nella settimana in cui Fratelli d’Italia celebrava la conferma di Giorgia alla guida dei Conservatori Europei, partito del quale è stata rieletta presidente ma nel quale evidentemente conta poco o nulla.

Volevano il pacchetto europeista, è arrivato il pacco sovranista.
Settimana da dimenticare, questa.
Auguri per la prossima.