Ballerino russo critica Putin, poi “vola” dal balcone per un “tragico” incidente. Mistero sulla morte

di Leo Malaspina

Un tragico incidente sabato sera ha posto fine 
alla vita di Vladimir Shklyarov, 39 anni, 
ballerino russo di danza classica di fama mondiale, 
stella del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. 

Molti ballerini russi hanno reso omaggio a Shklyarov dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, con Irina Baranovskaya che ha definito la sua morte “uno stupido, insopportabile incidente” su Telegram. Baranovskaya ha scritto che Shklyarov “è uscito sul balcone per prendere un po’ d’aria e fumare” e “ha perso l’equilibrio” sul “balcone molto stretto”.

Una versione della tragedia confermata dalla portavoce del Teatro Mariinskij, Anna Kasatkina, che ha dichiarato ai media russi che Shklyarov è morto cadendo da un balcone mentre cercava di rientrare nel suo appartamento al quinto piano di un palazzo. Kasatkina ha detto anche che il ballerino aveva recentemente subito un infortunio alla schiena e avrebbe assunto forti antidolorifici in attesa di un intervento chirurgico alla spina dorsale.

Il ballerino russo aveva criticato Putin e la guerra in Ucraina

Non è chiaro se e in che misura l’uso di antidolorifici abbia avuto un ruolo nella caduta dal terrazzo. Mentre è stata avviata un’indagine da parte della polizia per indagare sulle cause della morte, “la causa preliminare” è stata dichiarata “un incidente”, come ha riferito l’agenzia di stampa russa Ria Novosti. Vladimir Shklyarov era sposato dal 2013 con Maria Shirinkina, ballerina solista della compagnia del Teatro Mariinskij, ed era padre di due figli.

Era contro la guerra in Ucraina, fortemente critico nei confronti di Putin“.

E’ il modo in cui sul New Post viene descritto il  Vladimir Shklyarov, precipitato sabato scorso da un edificio per circa 20 metri. Shklyarov “è andato incontro ad una fine prematura come altre persone che hanno giudicato l’operato del presidente russo, anche loro morte cadendo da palazzi.

Nel 2022 la stella del Mariinsky si era scagliata su Facebook, nonostante la repressione del Cremlino, contro il conflitto in corso”, aggiunge il sito statunitense citando il media russo Fontanka. E ricorda nel suo articolo un post nel quale il danzatore, sposato con la ballerina Maria Shirinkina, si dichiarava “contrario alla guerra, sono per la gente, per un cielo sereno sopra le nostre teste”

La morte del ballerino russo che aveva criticato Putin

Per più di vent’anni ha lavorato al Teatro Mariinskij: Vladimir Shklyarov era entrato a far parte del corpo di ballo nel 2003, subito dopo essersi diplomato all’Accademia del Balletto Russo, e nel 2011 era diventato primo ballerino. “Le sue illimitate capacità creative sono state riconosciute da molti premi”, ma ha ricevuto il titolo principale nel 2020, diventando un “Artista onorario della Russia”, ha scritto il Teatro Mariinskij in un messaggio di cordoglio.

“Un interprete espressivo, assolutamente inimitabile e un ballerino virtuoso, accademicamente impeccabile, che è soggetto a tutti gli stili: è così che Vladimir Shklyarov sarà ricordato dal pubblico – afferma il Teatro Mariinskij – Per due decenni della sua carriera teatrale, il suo repertorio è diventato davvero immenso.

Era ugualmente brillante nella parte del nobile e maestoso principe Desiderio nella ‘Bella addormentata’, e nella parte dell’impudente e vivace Hooligan in ‘La giovane signora e l’Hooligan’; altrettanto magnifici nei balletti classici e drammatici, capolavori della coreografia del Novecento e produzioni moderne.

Ha iscritto per sempre il suo nome nella storia dell’arte del balletto mondiale”.

Vladimir Shklyarov era nato il 9 febbraio del 1985 nell’allora Leningrado (oggi San Pietroburgo) e aveva frequentato l’Accademia di danza Vaganova, un’istituzione famosa con quasi 300 anni di storia, che annovera tra i suoi allievi Natalia Makarova e Mikhail Baryshnikov.

Con la compagnia del Balletto Mariinskij ha danzato molti dei grandi ruoli maschili del repertorio classico, tra cui James ne ‘La Sylphide’, Albrecht in ‘Giselle’, Solor ne ‘La Bayadère’, il Principe Desiderio ne ‘La bella addormentata’, Siegfried ne ‘Il lago dei Cigni’, il principe ne ‘Lo schiaccianoci’, Jean de Brienne in ‘Rajmonda’, Basilio in ‘Don Quixote’ e ruoli principali in ‘Paquita’, ‘Le Spectre de la rose’, ‘Les Sylphides’ e ‘Jewels’. Dal 2016 al 2017 è stato ballerino principale per la compagnia dell’Opera di Stato della Baviera su invito di Igor Zelenskij.

Nel corso di due decenni di carriera, Shklyarov ha ottenuto il plauso internazionale, esibendosi al Metropolitan Opera di New York, alla Royal Opera House di Londra e in altri prestigiosi teatri del mondo.

L’eccitazione di Delmastro sull’auto blindata della penitenziaria: “Gioia vedere come non lasciamo respirare chi sta dietro vetro blindato” (ilriformista.it)

“L’idea di veder sfilare questo potente mezzo che dà il prestigio con il gruppo operativo mobile sopra, far sapere ai cittadini chi sta dietro a quel vetro oscurato, come noi sappiamo trattare chi sta dietro quel vetro oscurato, come noi incalziamo chi sta dietro quel vetro oscurato, come noi non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato credo sia per il sottoscritto un’intima gioia”.

Parole del sottosegretario alla giustizia del governo Meloni Andrea Delmastro Delle Vedove che appare quasi eccitato per la nuova auto blindata della polizia penitenziaria che servirà per il trasporto dei detenuti al 41bis e dell’alta sicurezza. Auto presentata lo scorso 13 novembre al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Un esponente delle istituzioni che si crogiola nel vedere braccato, quasi senza fiato, un detenuto. Parole imbarazzanti quelle del numero due di via Arenula (cosa ne pensa il ministro che si professa garantista Carlo Nordio?) che arrivano in un momento storico delicatissimo per i penitenziari italiani dove dall’inizio del 2024 sono stati registrati ben 80 suicidi e dove tra sovraffollamento, mancanza di figure professionali e strutture fatiscenti vivere in cella è una lunga ed estenuante agonia.

Ora de Raho dice: «Il dossieraggio è contro di me». Ah, come il Cav… (ildubbio.news)

di Tiziana Maiolo

L’ex procuratore antimafia, già capo della procura 
di Napoli e di Reggio Calabria, ritiene di subire 
un trattamento simile a quello che riservarono a 
tanti altri

Se Bettino Craxi non poteva non sapere, se Silvio Berlusconi non poteva non sapere, per quale motivo Federico Cafiero de Raho dovrebbe avere il diritto di non sapere quel che accadeva nel suo ufficio al vertice della direzione Antimafia nei giorni dei dossieraggi?

Se la storia politico- giudiziaria d’Italia non fosse stata pesantemente segnata da quella sorta di responsabilità oggettiva fin dalle inchieste di terrorismo, e poi durante quelle su “tangentopoli” e sulla mafia, dovremmo dire che il deputato del Movimento 5 Stelle ha le sue ragioni.

Anzi lo diciamo, ma lui dovrebbe ammettere con noi che bisognerebbe gettare secchiate d’acqua su un bel quantitativo di giurisprudenza, tutta quella caratterizzata dall’“anti”. Antimafia, antiterrorismo, anticorruzione, eccetera. E lui avrebbe tutte le ragioni non solo di prendersela con il suo ex vice Giovanni Russo e di trattarlo come un “pentito”, ma anche di accusare il procuratore di Perugia Raffaele Cantone di averlo preso di mira.

È indubbiamente successo qualcosa di strano, all’interno dell’inchiesta sul “dossieraggio”, nata in seguito all’interferenza nella vita personale e professionale del ministro Guido Crosetto, e che vede come indagati il tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano e l’ex magistrato della Dna Antonio Laudati.

Perché è capitato che improvvisamente sia “spuntato”, verbo di cui è giusto diffidare, un documento che avrebbe segnalato preoccupanti “anomalie” e invasività nell’attività di Striano. Questo documento, non protocollato né firmato, sarebbe stato consegnato, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, proprio a Cafiero de Raho dal suo allora vice Giovanni Russo, oggi direttore del Dap, il quale però, nella sua deposizione al procuratore Cantone, non ne avrebbe parlato, salvo riconoscerlo come proprio in un secondo momento.

Da dove sarebbe “spuntata” questa relazione? Da un’indagine interna alla stessa Dna condotta dall’attuale capo della Procura Antimafia Giovanni Melillo. Se stessimo parlando solo di soggetti politici e non anche di magistrati, che cosa dovremmo dire se non che è scoppiata una guerra? Guerra di toghe?

Perché dovremmo anche aggiungere che il documento è stato depositato dal procuratore Cantone al Tribunale del Riesame, dove altri giudici dovranno decidere se ha ragione lui, Cantone, a voler porre agli arresti domiciliari il tenente Striano e un’altra toga, ormai in pensione, come Laudati, o invece il gip che quella detenzione

ha negato. O addirittura i legali dei due indagati, gli avvocati Massimo Clemente e Andrea Castaldo, che vogliono azzerare o almeno rallentare il tutto, ponendo questioni rilevanti come quella del giudice naturale e la retrodatazione dell’iscrizione nel registro degli indagati. Temi su cui qualche fantasma del passato, come gli indagati di “tangentopoli” o il Silvio Berlusconi del processo Ruby, avrebbero qualcosa da ridire, a proposito di certi metodi di indagine.

L’onorevole Cafiero de Raho ovviamente è indignato. Non accetta il concetto del “non poteva non sapere”, già vagheggiato anche prima del documento “spuntato” dai forzieri della Dna. E non si capacita del fatto che si possa prestare attenzione, tanto da allegarla agli atti processuali, a una relazione non protocollata.

Evidentemente nella sua carriera di magistrato non gli è mai capitato di vedere gente sbattuta in galera non per documenti fuori protocollo, ma per i “sentito dire” di veri e finti collaboratori di giustizia, per intercettazioni volutamente male interpretate, per nomi sbagliati, a partire da quel signor Tortona scambiato per Enzo Tortora.

Ovvio che non abbia mai visto niente di tutto ciò, altrimenti non avrebbe reagito orgogliosamente come sta facendo oggi. «Non ho mai ricevuto relazioni o segnalazioni di Giovanni Russo riguardanti Pasquale Striano», dice con fierezza. La fierezza del cittadino che si sente chiamato in causa ingiustamente. Poi però va più in là, quando denuncia «mi trovo al centro di una macchinazione».

Sente vacillare anche il proprio ruolo all’interno della commissione bicamerale Antimafia, di cui è vicepresidente e in cui non vuole accettare il fatto di trovarsi in una posizione quanto meno ibrida, se non in totale conflitto d’interessi. Capisce che la ragionevolezza, prima ancora che la proposta di legge sulle incompatibilità già presentata da Forza Italia e FdI, gli imporrà molto presto di limitare le proprie presenze, se non, come sarebbe più logico, di dimettersi.

Ma non riesce ad arrendersi all’evidenza. Un po’ come il suo collega Roberto Scarpinato, che fa parte della stessa commissione Bicamerale e che continua, come i giapponesi nella giungla, ancora a polemizzare con il generale Mori. Dimenticando le sentenze.

E che Mori è una delle tante vittime dei metodi usati nei vari processi “trattativa” e affini dal mondo dell’antimafia militante di cui hanno fatto parte sia Cafiero de Raho che Scarpinato stesso.