Dopo la débâcle in Liguria, riuscirà finalmente il Pd a liberarsi del gagà del populismo? (linkiesta.it)

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Conte the killer

Il leader del Movimento 5 stelle è riuscito nell’impresa di prendere solo il cinque per cento dei voti, dopo aver impedito con una fatwa l’ingresso di Italia viva nella coalizione di Andrea Orlando.

Ora Schlein dovrà gestire le conseguenze del declino grillino, e sperare in una gamba riformista (con Gentiloni?) per il suo campo largo

C’è una giustizia nel cielo della politica, certe volte. Giuseppe Conte – Conte the killer – ha fatto perdere il centrosinistra che egli vorrebbe condizionare, ed è rimasto sotterrato con tutta la pochette a causa dalle sue manovre. La Liguria ha decretato una vittoria di misura di Marco Bucci, una ideona che va ascritta a Giorgia Meloni che grazie alla faccia del sindaco di Genova è riuscita a raddrizzare una situazione compromessa dopo lo scandalo che ha costretto Giovanni Toti alle dimissioni e imposto le elezioni anticipate. Addio triplete, ora si rischia anche in Umbria.

Andrea Orlando, che ora ha il dente avvelenato con il capo del Movimento 5 stelle e anche un po’ con Elly Schlein che si è fatta mettere i piedi in testa dall’avvocato ha combattuto bene.

Ce la poteva fare ma è stato sgambettato da Conte the killer, l’uomo che ha distrutto il campo largo ponendo il veto su Italia viva e si è autodistrutto dopo la furibonda lite con Beppe Grillo finendo a un penoso cinque per cento (mentre l’antagonista, il Partito democratico, è volato verso il trenta per cento, se non di più).

Il Movimento 5 stelle, il partito populista che per tre lustri ha fatto il bello e soprattutto il cattivo tempo in Liguria è stato superato da Avs e dalla lista Orlando, acconciandosi al ruolo di cespuglio, e nemmeno il più robusto della coalizione.

Oltre a passare alla storia per la velenosa e sciagurata fatwa contro Matteo Renzi, che avrà pure pochi voti ma che sarebbero stati determinanti per far perdere il sindaco di Genova che, dopo il tana libera tutti di Italia viva, verosimilmente è stato votato da molti elettori renziani.

Un harakiri mai visto che è la causa dell’ennesima sconfitta regionale del centrosinistra, vincente solo in Sardegna e anche lì per una manciata di voti. E allora la coalizione diretta da una Elly Schlein comprensibilmente soddisfatta per il risultato di lista del Pd, ma corresponsabile della sconfitta di Orlando perché passiva nei confronti di Conte the killer, come il Cortez raccontato da Neil Young in Zuma, adesso ha due problemi.

Il primo è il declino del M5s, che politicamente può anche non essere un fattore negativo a patto che il Pd sia capace di raccoglierne i voti; e il secondo è la perdurante assenza di un soggetto politico a chiara vocazione di governo, capace di intercettare i consensi di chi non vuole rassegnarsi a una sinistra sbilanciata sull’antiamericanismo, poco sensibile ai temi della crescita e delle riforme, sorda sulle questioni del garantismo, che è esattamente il profilo della sinistra Pd e della coppia Fratoianni-Bonelli.

È un problema in primo luogo di chi avrà la voglia e la capacità di costruire la famosa gamba riformista. È evidente che da questo punto di vista, dopo il fallimento del Terzo polo, siamo a carissimo amico, ma è anche certo che finché non scenderanno in campo personalità come Paolo Gentiloni e altre che per ora non sono in campo, difficilmente i vari Matteo Renzi, Carlo Calenda, Luigi Marattin, Riccardo Magi saranno in grado di costruire quel qualcosa che oggi è mancato e ha fatto perdere Andrea Orlando in Liguria, e che domani farà perdere il centrosinistra in Italia.

Perché la Cina non rinuncerà a un modello economico fallimentare (foreignaffairs.com)

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Pechino potrebbe vedere guadagni a breve termine, 
ma ignora il rischio di sofferenze a lungo termine

Alla fine di settembre, dopo mesi di mancato raggiungimento degli obiettivi di crescita post-pandemia, il governo cinese ha iniziato a lanciare un’ampia serie di misure di stimolo economico.

Finora, questi hanno incluso il sostegno del mercato azionario, l’allentamento della politica monetaria, la ricapitalizzazione delle grandi banche statali e alcuni stimoli fiscali limitati.

L’importo totale e le specifiche dello stimolo fiscale saranno rivelati dopo le elezioni statunitensi, dopo la riunione del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo all’inizio di novembre, ma il vice ministro delle Finanze Liao Min lo ha descritto come “su larga scala”.

Svelando queste misure, Pechino ha finalmente riconosciuto ciò che il popolo cinese e il mondo sanno da tempo: l’economia cinese è in guai seri. Il “sogno cinese” – la visione del presidente cinese Xi Jinping di raddoppiare le dimensioni dell’economia entro il 2035 e raggiungere una prosperità su larga scala – sta scivolando via. Ma lo stimolo funzionerà?

La sfida economica più urgente per la Cina a breve termine è la debole domanda interna, trainata dalla mancanza di fiducia dei consumatori. Quando i consumatori cinesi si rifiutano di spendere, accumulano liquidità, creando un eccesso di risparmio che, insieme all’eccesso di investimenti del governo in industrie politicamente favorite, aggrava il problema strutturale più grave a lungo termine della Cina: l’eccesso di capacità industriale.

Come ho sostenuto su Foreign Affairs ad agosto, le dinamiche che si rafforzano a vicenda tra il calo della domanda interna e l’eccesso di capacità industriale formano un circolo vizioso economico da cui la Cina deve uscire per evitare la stagnazione. La leadership cinese afferma che l’ultimo stimolo ha lo scopo di stimolare i consumi.

Escludendo in gran parte l’assistenza diretta alle famiglie come parte dei suoi piani di stimolo, tuttavia, il governo ha dimostrato di essere ancora aggrappato al suo vecchio copione economico di investimenti diretti dallo Stato.

Al centro del problema della domanda cinese c’è una crisi di fiducia derivante dalle ansie dei cinesi comuni riguardo alla loro situazione economica e al loro futuro.

Nel 2017, l’anno in cui Xi ha iniziato il suo secondo mandato e ha rafforzato la sua presa sull’economia, le famiglie urbane stavano godendo dei frutti di decenni di forte crescita, con il reddito disponibile che raddoppiava circa ogni otto anni. Per le giovani famiglie di oggi, quei giorni felici sono finiti. Entro il 2024, il reddito medio disponibile era aumentato solo del 50% dal 2017, un drastico rallentamento rispetto all’era precedente, e la tempistica per raddoppiarlo di nuovo si è allungata a circa 15 anni.

Questo rallentamento significa un passaggio dalle aspettative un tempo incrollabili di opportunità economiche a una nuova realtà caratterizzata da una crescita moderata e da pressioni crescenti. Invertire l’attuale traiettoria della Cina richiederebbe a dir poco una macchina del tempo, e i piani di stimolo in discussione non forniscono il tipo di sostegno finanziario a livello familiare necessario per ripristinare la fiducia nel futuro della Cina.

GUAI IRRISOLTI

Le recenti misure di stimolo di Pechino sembrano mirare principalmente a ripristinare la fiducia tra l’élite imprenditoriale del paese. La People’s Bank of China sta adottando una strategia simile all’approccio di quantitative easing della Federal Reserve, concentrandosi sui prezzi degli asset finanziari nella speranza di generare un effetto ricchezza che si ripercuote sull’economia in generale.

La PBOC ha stabilito due meccanismi, entrambi progettati per iniettare liquidità nei mercati e sostenere i prezzi degli asset finanziari più rischiosi come azioni, obbligazioni societarie e fondi negoziati in borsa. Il primo è un programma governativo da 70 miliardi di dollari che consente agli investitori istituzionali – principalmente i broker statali e le compagnie assicurative note come “squadra nazionale” – di acquistare attività finanziarie rischiose e successivamente scambiarle con titoli di Stato di alta qualità.

Queste obbligazioni possono quindi essere ricostituite come garanzia per prestiti bancari, garantendo di fatto al team nazionale l’accesso a finanziamenti economici della banca centrale per acquisire attività e sostenere i prezzi. La PBOC ha implementato un programma simile nel 2015 per stabilizzare il mercato azionario dopo che i prezzi sono scesi di oltre il 40% in pochi mesi.

Il secondo meccanismo è un programma di rifinanziamento da 42 miliardi di dollari progettato per estendere i prestiti alle società quotate in borsa, consentendo loro di utilizzare i proventi per riacquistare le loro azioni sul mercato azionario, funzionando essenzialmente come un dividendo che aumenta i rendimenti per gli azionisti. I funzionari cinesi sperano che ciò fornisca carburante continuo per un rally del mercato azionario; da metà settembre i prezzi delle azioni sono aumentati di circa il 25 per cento.

Nonostante questi sforzi, è improbabile che il quantitative easing della PBOC con caratteristiche cinesi risolva i problemi economici più ampi della Cina, perché fa relativamente poco per stimolare la domanda effettiva dei consumatori. Tra i limitati sostegni diretti alle famiglie vi sono le nuove normative che consentono ai mutuatari di rifinanziare i loro mutui, consentendo loro di beneficiare di una recente riduzione di mezzo punto percentuale del tasso di riferimento sui mutui ipotecari.

Si prevede che questo cambiamento farà risparmiare a circa 50 milioni di famiglie, per un totale di circa 21 miliardi di dollari all’anno, in pagamenti di interessi più bassi.

Inoltre, le autorità locali hanno ridotto l’acconto richiesto per l’acquisto di una seconda casa come parte degli sforzi per eliminare l’inventario in eccesso dal mercato e fornire un sostegno ai prezzi delle case. Dato che l’edilizia abitativa rappresenta circa il 70% del patrimonio delle famiglie cinesi e che i mutui rappresentano circa il 75% del debito delle famiglie, qualsiasi misura volta a stabilizzare i prezzi delle case e a diminuire i costi di finanziamento è probabile che rafforzi i bilanci delle famiglie.

Stabilire un livello minimo sotto i prezzi delle case è un primo passo fondamentale per ripristinare la fiducia dei consumatori cinesi nelle loro prospettive finanziarie a lungo termine.

Ad oggi, i principali responsabili politici cinesi sono stati notevolmente riluttanti a discutere anche solo di trasferimenti diretti di denaro ai consumatori ordinari. Ciò è probabilmente dovuto alla limitata esperienza politica del governo in questo settore e alla diffidenza da parte dei funzionari economici di Pechino nel segnalare qualsiasi cambiamento di politica senza una direzione esplicita da parte di Xi.

Eppure l’infrastruttura finanziaria cinese è ben preparata per facilitare uno stimolo diretto alle famiglie. La maggior parte delle buste paga e delle prestazioni di sicurezza sociale sono già collegate ai conti di deposito presso le banche commerciali statali, rendendo le ricariche dei saldi operativamente semplici.

A MODO MIO O IN AUTOSTRADA

Xi non è contrario a brusche inversioni di politica, come dimostrato dal suo improvviso abbandono della politica “zero COVID” alla fine del 2022 e dalle sue iniziative economiche mutevoli durante il suo mandato. Eppure una costante della sua leadership è stata la sua avversione per l’elemosina in denaro, che, ha suggerito, potrebbe consolidare uno stato sociale.

Ha messo in guardia i membri del partito dal “cadere nella trappola del ‘welfarismo’ che nutre i pigri”. La retorica di Xi non dovrebbe essere interpretata erroneamente come l’approvazione di un’ideologia di robusto individualismo in Cina. Piuttosto, il suo approccio dall’alto verso il basso alla governance privilegia l’unità ideologica rispetto alle concessioni populiste e favorisce gli investimenti guidati dallo Stato rispetto al sostegno fiscale individuale.

Xi ha chiarito che la sua priorità assoluta è trasformare la Cina in una superpotenza globale autosufficiente. Mira a essere il leader che si lascia definitivamente alle spalle il “secolo di umiliazione” della Cina, un riferimento alla lunga era in cui la Cina percepiva la sottomissione alle potenze occidentali.

In questo contesto, l’attuale obiettivo di crescita del PIL del governo di circa il 5% e il pacchetto di stimolo che ha annunciato per contribuire a raggiungerlo sono solo mezzi per raggiungere un fine. Al contrario, uno stimolo diretto alle singole famiglie sposterebbe il potere d’acquisto dal governo ai consumatori, lasciando potenzialmente meno risorse per le grandi ambizioni di Xi e dandogli meno controllo sulla direzione generale del paese.

Gli annunci del governo in merito al pacchetto di stimolo hanno deliberatamente enfatizzato la retorica sui sostanziali cambiamenti politici volti ad aumentare i consumi. Questo approccio è in linea con l’obiettivo di Xi di aumentare la fiducia nell’economia senza distogliere risorse dal perseguimento dell’autosufficienza cinese.

Il capitale iniettato nel sistema finanziario per sostenere i prezzi delle azioni e stabilizzare le banche sarà probabilmente reindirizzato verso le stesse industrie strategiche che dovrebbero consentire alla Cina di scavalcare gli Stati Uniti in tecnologia e capacità militari.

Il pacchetto di stimolo di Xi non affronta i problemi strutturali più profondi della Cina.

Il sistema “dell’intera nazione” per gli investimenti tecnologici garantisce che tutti i grandi bacini di capitale possano essere mobilitati per ottenere scoperte in aree critiche come l’intelligenza artificiale, i semiconduttori e i motori aeronautici.

A differenza di un vero e proprio pacchetto di stimolo per i consumi, l’attuale serie di misure sembra avere un secondo fine: rafforzare la capacità della Cina di superare l’Occidente economicamente e militarmente. Allo stato attuale, la direzione politica articolata nei dettagli del pacchetto di stimolo fornisce ai governi occidentali pochi incentivi a riconsiderare le barriere commerciali o ad allentare i controlli sulle esportazioni in Cina.

L’entità potenziale delle elargizioni di denaro alle famiglie è limitata dalla posizione finanziariamente tesa dei governi locali cinesi. Pechino si è impegnata ad aiutare offrendo swap del debito per rifinanziare il debito ad alto costo e a breve termine che grava su molte amministrazioni locali.

I bilanci locali sono stati schiacciati dalla riduzione delle entrate derivanti dalla vendita di terreni a causa della flessione del mercato immobiliare, dei costi sanitari pubblici residui legati alla pandemia e dell’aumento delle spese di assistenza sociale legate all’invecchiamento della popolazione. Per molti funzionari locali, il raggiungimento del progresso industriale e la garanzia della sicurezza della catena di approvvigionamento hanno la precedenza sullo stimolo della spesa dei consumatori.

Se Pechino dovesse perseguire pagamenti diretti in contanti alle famiglie, si troverebbe di fronte alla sfida di bypassare le autorità locali, che potrebbero dirottare una parte dei fondi. I trasferimenti diretti dal governo centrale alle casse locali rischiano una cattiva allocazione o addirittura un’appropriazione indebita, limitando l’efficacia pratica dei trasferimenti di reddito delle famiglie come stimolo. Senza una supervisione eccezionale, questi pagamenti potrebbero raggiungere le famiglie solo in piccole quantità, gocciolando come gocce da un rubinetto che perde.

UN GIOCO DI FIDUCIA DIVERSO

Il recente pacchetto di stimoli potrebbe effettivamente raggiungere gli obiettivi a breve termine di Pechino: un rally del mercato azionario con capacità di resistenza, un mercato immobiliare stabilizzato, un aumento temporaneo della fiducia dei consumatori e una crescita del PIL del cinque per cento per il 2024.

Tuttavia, non affronta i problemi strutturali più profondi della Cina ed è improbabile che spinga le famiglie a spendere di più a lungo termine. Il governo non sembra disposto a intraprendere le misure coraggiose necessarie, come il sostegno diretto al reddito delle famiglie, che potrebbero portare a un significativo riequilibrio economico.

Invece, gran parte degli ultimi stimoli sembrano volti a puntellare i punti più deboli dell’economia quel tanto che basta per segnalare che il partito non ha abbandonato il suo ruolo di buon amministratore dell’economia e rimane impegnato a sostenere la fine del contratto sociale cinese.

Senza una crescita del reddito più forte, le famiglie cinesi continueranno a risparmiare a tassi ostinatamente elevati. Anche se il recente stimolo si rivelerà sorprendentemente efficace, il declino demografico della Cina e le crescenti tensioni geopolitiche con l’Occidente suggeriscono che le prospettive economiche a lungo termine del paese rimarranno incerte.

Da quando sono iniziati i lockdown dell’era della pandemia, la classe media cinese ha sperimentato una persistente insicurezza economica, una percezione che potrebbe richiedere anni per essere scossa.

Negli ultimi quattro decenni, l’economia cinese ha vissuto forse il periodo di crescita più straordinario della storia umana. Nel 1981, oltre il 90% della popolazione cinese viveva in condizioni di povertà così gravi come nelle regioni meno sviluppate del mondo. Oggi, oltre la metà della popolazione appartiene alla classe media, con un tenore di vita paragonabile a quello di molte nazioni sviluppate.

Eppure, in un certo senso, i cinesi della classe media non si sono mai sentiti così poveri. La sensazione di essere in ritardo rispetto alla qualità della vita dei loro coetanei è aumentata e le opportunità per i loro figli di raggiungere la ricchezza e studiare all’estero sembrano più fuori portata.

Per la prima volta dopo le riforme economiche in Cina, molte famiglie temono che il domani potrebbe non essere migliore di oggi, non a causa di fallimenti personali, ma a causa di forze al di fuori del loro controllo. I giovani adulti che entrano nel mondo del lavoro si sentono impotenti e un numero crescente di loro si sente incapace di iniziare una carriera redditizia, con una disoccupazione giovanile che supera il 17%.

Le giovani famiglie devono affrontare una pressione incessante solo per mantenere il loro tenore di vita. Le visite ai templi buddisti sono aumentate di oltre il 300% l’anno scorso, suggerendo che sempre più persone si rivolgono alle superstizioni per avere fortuna per assicurarsi il proprio futuro. Sempre più spesso, molti cinesi sembrano riporre più fiducia nelle offerte del tempio o negli amuleti che nelle assicurazioni del partito di una prosperità comune.

La prossima amministrazione statunitense dovrà affrontare una Cina alle prese con un rallentamento della crescita economica, una classe media inquieta e un leader che sembra più impegnato a costruire un esercito di livello mondiale che una società prospera.

Questa complessa situazione richiede una strategia cinese che valuti realisticamente le capacità e i limiti di Xi, non solo le sue ambizioni. Sebbene i comuni cittadini cinesi possano avere un potere d’azione limitato, collettivamente possono esercitare una pressione economica su Pechino. Stringendo i loro portafogli e dando priorità ai risparmi, esprimono di fatto un silenzioso ma potente voto di sfiducia nella direzione del paese.

Se le condizioni economiche in Cina continuano a deteriorarsi, Xi potrebbe cambiare repentinariamente, forse ammorbidendo il suo antagonismo verso l’Occidente. Mentre osserva l’evolversi degli stimoli cinesi e la probabile incapacità di Pechino di risolvere i problemi economici di fondo del paese, Washington dovrebbe evitare di fissarsi così tanto sulla minaccia percepita dalla Cina da trascurare le potenziali opportunità di ridefinire le relazioni USA-Cina in futuro.

(Una vista del distretto finanziario di Pudong a Shanghai, Cina, settembre 2024 Tingshu Wang / Reuters)

Harris-Trump: l’economia Usa nei prossimi quattro anni (lavoce.info)

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Il 5 novembre l’America vota per eleggere il 
nuovo presidente. 

Nonostante tutto, l’andamento dell’economia continua a essere uno dei fattori che determinano le scelte dei cittadini. Vale allora la pena analizzare i programmi economici dei due candidati.

Quanto conta l’economia nel voto americano

Dopo un’estate ricca di colpi di scena, primo fra tutti il ritiro di Joe Biden sostituito da Kamala Harris, i candidati alla presidenza Usa hanno avuto l’opportunità di presentare i propri programmi economici durante il dibattito del 10 settembre, così come nei comizi e nelle interviste.

Nonostante persista la sensazione che il risultato delle elezioni, estremamente incerto, sarà influenzato più dalle “vibes” che dai dettagli dei programmi economici, l’economia è considerata la questione più importante per gli elettori americani.

Nei progetti dei due candidati sull’economia ci sono differenze notevoli, ma forse proprio per la vicinanza nei sondaggi, emergono alcune somiglianze. Prima su tutte la guerra commerciale alla Cina e l’aumento significativo del deficit, un tema di cui né Kamala Harris né Donald Trump sembrano preoccuparsi.

Tuttavia, per entrambi, la realizzazione della maggior parte delle promesse dipenderà dalla composizione del Congresso, ovvero se il partito del futuro presidente avrà o meno il controllo di Camera dei rappresentanti e Senato, che si rinnovano anch’essi il 5 novembre, totalmente la prima, in parte il secondo.

In ogni caso, il programma di Harris si può riassumere nella sua visione di promuovere una “Economia delle opportunità”, volta a garantire una crescita economica inclusiva e accessibile a tutti gli americani. Quello di Trump si rifà ai suoi slogan più conosciuti “Make America Great Again” e “Take America Back”, concentrandosi sulla protezione del paese sia da nemici interni (come tasse e regolamentazioni eccessive) sia da minacce esterne, principalmente gli immigrati e la Cina, attraverso dazi elevati e politiche commerciali aggressive.

I temi principali includono: tasse, dazi sulle importazioni, politica industriale, politiche anti-inflazione, regolamentazioni e ruolo delle agenzie federali, welfare e immigrazione. Li approfondiamo attraverso due articoli. Ci occupiamo qui delle proposte sui primi tre capitoli, per lasciare al secondo intervento l’analisi degli altri.

Le proposte sulle tasse

Kamala Harris: la vicepresidente ha delineato un approccio focalizzato sul sostegno alla classe media e ai lavoratori a basso reddito attraverso una serie di modifiche fiscali. Intende espandere i crediti d’imposta per i redditi da lavoro e offrire crediti fiscali generosi per le famiglie.

Per esempio, ne ha proposto uno di 25mila dollari per chi acquista la prima casa: è una misura controversa perché, se non accompagnata da un aumento delle costruzioni, potrebbe causare un aumento dei prezzi delle abitazioni. Sul fronte delle imposte sui più ricchi, Harris ha abbracciato il piano di Joe Biden di imporre una tassa del 25 per cento sulle plusvalenze non realizzate per i patrimoni netti superiori ai 100 milioni di dollari: è un provvedimento che mira a tassare l’incremento di valore degli asset prima che questi siano venduti.

La misura è stata criticata per la sua complessità, i problemi di liquidità e i potenziali effetti negativi sul comportamento degli investitori.

Come Trump, Harris vuole eliminare le imposte sui guadagni derivanti dalle mance, ma il suo piano prevede che questi introiti rimangano soggetti ai contributi previdenziali. Allo stesso tempo, Harris punta ad aumentare l’aliquota fiscale sulle società dal 21 al 28 per cento e ad alzare l’aliquota minima alternativa dal 15 al 21 per cento per le aziende che fatturano oltre un miliardo di dollari. Harris non prevede aumenti di tasse per chi guadagna meno di 400mila dollari all’anno.

Donald Trump: propone tagli fiscali per i redditi alti e le grandi imprese. Ha parlato di ridurre ulteriormente l’aliquota fiscale societaria, portandola dal 21 al 15 per cento per le aziende che producono negli Stati Uniti, una continuazione delle politiche della sua precedente amministrazione che includeva la legge fiscale del 2017, nota per aver introdotto tagli significativi alle imposte per le aziende e per i contribuenti più ricchi.

Trump vorrebbe anche eliminare la doppia imposizione fiscale per i cittadini americani che vivono all’estero e non tassare i benefici della social security (le pensioni). Come Harris, Trump ha proposto di eliminare le tasse sui guadagni che derivano dalle mance.

Nel programma è prevista pure la deducibilità fiscale dei pagamenti dei prestiti auto e l’eliminazione delle imposte sui guadagni da straordinari. Nelle intenzioni del candidato repubblicano, queste misure dovrebbero aumentare gli incentivi a investire e produrre.

Dazi sui beni importati

Donald Trump: sostiene l’introduzione di elevati dazi doganali che, nelle sue intenzioni, dovrebbero proteggere le industrie americane e incrementare le entrate fiscali.

Il suo piano prevede una tariffa del 10 per cento su tutti i beni importati e una del 60 per cento specifica per i prodotti provenienti dalla Cina. Trump afferma che queste misure costringeranno le altre nazioni a ricompensare gli Stati Uniti per il loro ruolo storico globale e prevede che i dazi generati possano ammontare a centinaia di miliardi di dollari.

Kamala Harris: critica l’approccio di Trump, descrivendolo come una tassa indiretta che pesa sulle famiglie americane. Ed è corretto perché le tariffe sui beni importati sono equivalenti a tasse, perché spesso si traducono in prezzi più alti pagati dai consumatori.

Eppure, Harris non ne ha escluso l’uso. Anche perché l’amministrazione Biden ha di recente imposto nuovi dazi (su acciaio e alluminio, così come su semiconduttori, veicoli elettrici, batterie e parti di pannelli solari), prolungandone alcuni già in vigore dalla precedente amministrazione Trump.

In particolare, i nuovi dazi su prodotti cinesi includono un’imposta del 100 per cento sui veicoli elettrici, del 25 per cento sulle batterie agli ioni di litio per veicoli elettrici e del 50 per cento sulle celle fotovoltaiche utilizzate nei pannelli solari. Harris ha confermato l’impegno a promuovere l’industria americana nei settori tecnologici avanzati, come i semiconduttori e l’energia pulita, combattendo le pratiche commerciali definite “ingiuste”, in particolare quelle provenienti dalla Cina, per proteggere i lavoratori statunitensi.

Politiche anti-inflazione

Kamala Harris: nonostante l’inflazione sia tornata intorno al 2 per cento e alcuni prezzi cruciali, come quello della benzina, siano a livelli pre-pandemia, resta tra gli americani la percezione che il costo della vita sia troppo elevato.

Lo riconosce la stessa Kamala Harris e per affrontare il problema, ha proposto una serie di misure a sostegno della classe media e delle piccole imprese, come crediti fiscali per le famiglie e gli acquirenti di prima casa, insieme all’asilo nido universale e al congedo familiare retribuito. Una parte rilevante (e controversa) della sua agenda riguarda il contrasto agli aumenti ingiustificati dei prezzi da parte delle aziende.

Inizialmente, Harris sembrava avere accennato a un controllo diretto sui prezzi, ma la misura è stata poi ridimensionata, trasformandosi in un divieto federale contro pratiche di “speculazione”, con l’obiettivo di proteggere i consumatori e le famiglie americane da rincari arbitrari, soprattutto durante le emergenze.

Donald Trump: la sua campagna si concentra sulle difficoltà economiche affrontate dagli americani sotto l’amministrazione Biden, con particolare enfasi sull’elevato costo della vita e sugli effetti dell’inflazione. Trump cita spesso l’aumento dei prezzi dei generi alimentari come prova dei fallimenti della gestione economica dell’attuale amministrazione.

La sua retorica mira a convincere gli elettori che un ritorno alle sue politiche economiche possa alleviare queste pressioni sui bilanci familiari. Eppure, molte delle proposte di Trump non contribuirebbero a mantenere bassi i prezzi, anzi rischierebbero di essere inflazionistiche. Prime fra tutte, le promesse di imporre pesanti dazi sulle importazioni, poiché le aziende importatrici trasferirebbero almeno in parte i rincari sui prezzi di vendita.

Anche le severe restrizioni sull’immigrazione proposte dal candidato repubblicano potrebbero accentuare l’inflazione, riducendo la disponibilità di manodopera in settori essenziali come l’agricoltura, l’edilizia e la sanità, spingendo così i datori di lavoro ad aumentare i salari per attrarre lavoratori.

Trump ha dichiarato che, se rieletto, vuole avere maggiore controllo sulla politica monetaria della Federal Reserve, riducendone l’indipendenza. Ha criticato in passato le decisioni del presidente della Fed, Jerome Powell, e ritiene che il presidente degli Stati Uniti dovrebbe avere voce in capitolo sulle scelte della banca centrale, per esempio l’impostazione dei tassi di interesse.

Questa posizione minerebbe il tradizionale assetto indipendente della Fed, rischiando di destabilizzare la fiducia dei mercati finanziari e compromettendo l’efficacia dell’istituzione nel gestire la politica economica del paese.

Scarpinato, bufera sul caso. Dal Carroccio a Italia Viva: “Limite ormai superato”

di Edoardo Sirignano

Bisogna agire subito e fare in modo che gli 
ex togati, come nel caso del senatore M5S Scarpinato, 
non possano accedere a informazioni che riguardino 
il loro precedente lavoro,

in barba a qualsiasi considerazione su un possibile conflitto d’interesse. Posizione netta in tal senso è quella della Lega, il partito più dossierato.

«Il limite – dichiara il senatore del Carroccio Marco Dreosto – ormai è superato. Ex pm, ora politici, che chiedono di leggere atti che li riguardano? Se non fosse una cosa seria sembrerebbe uno scherzo. La questione non può passare inosservata ed è necessario fare chiarezza».

A tal proposito, i verdi insistono su una commissione ad hoc, in grado di andare oltre le competenze dell’Antimafia. «Non arretreremo – continua – nemmeno di un centimetro. Non è possibile vedere attori ostili di vario tipo, che lavorano per sovvertire la volontà popolare, contro gli interessi nazionali».

Giampiero Zinzi, deputato della Lega e membro dell’Antimafia, intanto, sulla vicenda Scarpinato, spiega come il movimento di cui fa parte «oltre a trattare la questione formalmente, avendo presentato una proposta di legge per evitare scandali di incompatibilità, chiede al pentastellato urgenti spiegazioni sulla sua particolare vicenda. Si tratta di un comportamento inopportuno.

Parliamo di fatti che lo riguardano direttamente e in cui non dovrebbe entrare nel merito, ma osservare da soggetto terzo. Fino a quando il testo, che abbiamo già depositato in entrambi i rami del Parlamento, non entrerà in vigore, non possiamo fare nulla. Bene il presidente Colosimo che gli ha negato di accedere alle intercettazioni che lo riguardavano». Sulle medesime posizioni della maggioranza, pur non avendo firmato il documento presentato da Lega, Fdi e Fi, pure i renziani.

«È paradossale – afferma la coordinatrice nazionale di Italia Viva Raffaella Paita – che Scarpinato, dopo aver chiesto la distruzione delle sue intercettazioni, ora provi a chiedere di avervi accesso. Abbiamo la conferma del doppiopesismo e del conflitto di interessi. Ho più volte chiesto che Scarpinato, ma lo stesso vale per Cafiero de Raho sulla vicenda Striano, chiarisca la sua posizione in Antimafia. La mia domanda è ancora senza risposta». Il senatore Roberto Scarpinato, nel frattempo, continua a insistere per leggere gli atti su se stesso e scrive addirittura al presidente dell’Antimafia Colosimo: «Nell’esprimere il mio stupore per avere dovuto apprendere dalla stampa un provvedimento che mi riguarda, chiedo la formale comunicazione di tale provvedimento che lede gravemente le mie prerogative di parlamentare e pregiudica la mia partecipazione ai lavori della commissione antimafia, ai fini di adire le vie istituzionali a difesa dei miei diritti».