Angelo Vassallo, dieci anni dopo: la morte senza colpevoli del sindaco pescatore (repubblica.it)

di DARIO DEL PORTO

Il 5 settembre del 2010 veniva ucciso il primo 
cittadino di Pollica. Ma il delitto resta 
ancora avvolto nel mistero

Acciaroli, le nove della sera del 5 settembre 2010. Un’Audi A 4 è ferma nel buio. Il finestrino del lato guidatore è abbassato. Sul sedile c’è il corpo senza vita di un uomo che ha ancora il telefono cellulare in pugno. E’ Angelo Vassallo, da quindici anni sindaco di Pollica, la piccola località del Cilento trasformata, proprio sotto la sua amministrazione, in un paradiso delle vacanze per il suo mare “bandiera blu”. Gli hanno sparato nove volte. L’assassino ha usato una pistola baby Tanfoglio calibro 9 ed era a una distanza di circa quaranta centimetri . Forse era seduto in sella a un motorino.

E’ una calda serata di fine estate. Eppure nessuno sente gli spari. Comincia così, un giallo che si trascina da dieci anni, accompagnato da interrogativi rimasti tutti senza risposta. A cominciare dal più importante: chi ha ucciso il sindaco pescatore, come tutti chiamavano Vassallo? Pochi giorni prima di essere ammazzato, Angelo si era confidato con un amico: “Ho scoperto una cosa che non avrei mai voluto scoprire”, gli dice. Ma non aveva aggiunto altro. Che cosa aveva scoperto? E’ uno dei nodi centrali di questa storia.

Si capisce subito che non si tratta di un delitto di paese. Il sindaco pescatore, durante l’ultima estate della sua vita, era fortemente preoccupato per lo spaccio e il consumo di droga che aveva invaso Acciaroli, allarmandolo come amministratore ma anche come padre per il coinvolgimento dell’allora fidanzato della figlia.

Vassallo temeva che gli spacciatori potessero godere di coperture e per questo una sera, sul porto di Acciaroli, li aveva affrontati di persona, accompagnato solo da due vigilesse … leggi tutto

ANGELO VASSALLO un anno dopo

29 anni fa la mafia uccide Libero Grassi. Un avvertimento agli imprenditori ribelli (articolo21.org)

di VITO LO MONACO

29 agosto 1991, la Cupola dei Corleonesi fa 
uccidere l’imprenditore Libero Grassi che 
aveva avuto l’ardire di denunciare,

all’inizio dell’anno e con lettera aperta pubblicata dal Giornale di Sicilia, la richiesta di pagare il “ pizzo”, con conseguente coraggioso rifiuto di pagare la protezione mafiosa. Un affronto che la mafia, in attesa della sentenza definitiva del maxiprocesso, il più grande processo penale del mondo di allora, non può sopportare, e perciò fa uccidere l’imprenditore Grassi, libero di nome e di spirito, laico, democratico, antifascista e dirigente dell’azienda di famiglia che produce biancheria.

È un avvertimento a tutti gli imprenditori che mostrano segnali di ribellione. L’anno precedente, infatti, nella provincia di Messina i commercianti di Capo d’Orlando avevano costituito la prima, a livello nazionale, associazione antiracket per denunziare e far condannare gli estorsori mafiosi di Tortorici.

Inoltre, dopo la seconda guerra di mafia, erano nate una serie di associazioni Antimafia, tra cui il Comitato popolare di lotta contro la mafia nel “triangolo della morte” Casteldaccia-Bagheria,   il  Centro Impastato e il Centro Studi Pio La Torre, il Coordinamento  antimafia di Palermo che sostenevano e partecipavano alla crescita del Movimento Antimafia, sempre più unitario e trasversale: dai sindacati ad associazioni di impresa, come la Confesercenti, la CNA, alle quali successivamente si aggiungeranno le amministrazioni comunali più sensibili e i  movimenti studenteschi.

Libero Grassi, prima di essere ucciso, la mattina del 29 agosto 1991, aveva denunziato il suo isolamento nella Sicindustria, di cui era socio, la quale solo anni dopo riuscirà ad esprimere delle prese di posizioni antimafiose, messe però ancora successivamente in dubbio dalla condotta equivoca e borderline dalla gestione di alcuni discussi vertici.

Mentre Libero si affidava allo Stato, rifiutando la scorta, rimane clamoroso il pronunciamento di un magistrato che qualche mese dopo l’assassino ha avuto l’impudenza di dichiarare che, per un imprenditore, pagare  la protezione mafiosa non costituiva reato.

Nonostante la legge La Torre-Rognoni e il maxiprocesso permaneva, e purtroppo permane tuttora,  soprattutto negli ambienti  dell’imprenditoria, della  politica, dell’istituzioni e della società civile un atteggiamento di distinguo e omertà … leggi tutto

La distorta spiritualità degli “inchini” delle statue di Maria davanti alle case dei boss (articolo21.org)

di RICCARDO CRISTIANO

Religiosità e criminalità. Il tema, dopo 
tanta attesa e tante sollecitazioni, ha 
ottenuto centralità. 

La scelta della Pontificia Accademia Mariana, di creare un Dipartimento di studio al riguardo è stata ricordata e valorizzata dal Francesco in vista della giornata di studi mariani del prossimo 18 settembre: “la devozione mariana è un patrimonio religioso-culturale da salvaguardare nella sua originaria purezza liberandolo da sovrastrutture, poteri o condizionamenti che non rispondono ai criteri evangelici di giustizia, libertà, onestà e solidarietà”.

Scrive così Francesco rivolgendosi  a padre Stefano Cecchin, presidente della Pontificia accademia mariana internazionale. Jorge Mario Bergoglio ricorda infatti l’istituzione del Dipartimento di studio dei fenomeni criminali e mafiosi, “per liberare la figura della Madonna dall’influsso delle organizzazioni malavitose”. Tra gli esempi di questa distorta spiritualità ci sono gli “inchini” delle statue di Maria davanti alle case dei boss durante le processioni.  Lo scopo dell’iniziativa del prossimo settembre è quello di individuare “efficaci risposte” per una necessaria “operazione culturale di sensibilizzazione delle coscienze”.

Ma una risposta richiede oltre alla consapevolezza anche un obiettivo: e per Francesco l’obiettivo è che i Santuari mariani diventino sempre più “cittadelle della preghiera, centri di azione del Vangelo, luoghi di conversioni, caposaldi di pietà mariana”.

La forza con cui viene posto questo problema è importante per la vastità della questione in passato tenuta con imbarazzo sotto traccia. Non è più così. E ciò che più conta è che l’offensiva è culturale. Si tratta cioè non solo di scoprire gli abusi degli inchini o dei potenti che conquistano il controllo delle processioni, ma la distorsione culturale profonda che giustifica e consente tutto questo.

Lo ha detto con estrema chiarezza il presidente stesso della Pontificia Accademia Mariana, don Stefano Cecchin, intervistato da Vatican News poco dopo la diffusione del testo di Francesco. “La figura di Maria che viene utilizzata proprio per tenere schiave le persone esagerando la figura di ‘Maria come donna schiava di Dio sottomessa’ che si rassegna al destino del Figlio che muore di fronte ad un potere.

E quindi c’è tutta questa realtà di schiavizzare e non aiutare le persone a vivere una religiosità vera. Ma c’è una religiosità legata a superstizioni, a magie e poteri che poi spaventano le persone.” … leggi tutto

Inchiesta camici Lombardia, indagato il governatore Attilio Fontana (open.online)

Nell’inchiesta sono indagati anche Andrea Dini 
e Filippo Bongiovanni, il direttore generale 
dimissionario di Aria spa

Il governatore della Lombardia, il leghista Attilio Fontana, sarebbe indagato dalla Procura di Milano nell’inchiesta sulla fornitura da mezzo milione di euro di camici e altri dispositivi di protezione durante l’emergenza Coronavirus da parte della società Dama spa gestita dal cognato, Andrea Dini e di cui la moglie, Roberta Dini, detiene il 10%.

A scriverlo è l’Ansa che cita fonti qualificate. Nell’inchiesta sono indagati anche Andrea Dini e Filippo Bongiovanni, il direttore generale dimissionario di Aria spa, la centrale acquisti della regione, per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente.

Dopo l’iniziale iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Dini e di Filippo Bongiovanni, le verifiche sul ruolo del governatore erano in corso. Secondo i magistrati quell’affidamento diretto senza gara della fornitura, che risale al 16 aprile, da parte di “Dama” – di proprietà del cognato e di cui la moglie di Fontana, Roberta Dini, detiene il 10% (un suo eventuale ruolo nella vicenda è invece stato escluso fin da subito dagli inquirenti – non sarebbe stata una semplice donazione ma una vera e propria fornitura in conflitto di interessi e l’ordine sarebbe poi stato trasformato in donazione solo il 20 maggio, dopo che la trasmissione Report iniziò ad indagare sulla vicenda … leggi tutto