COVID-19 operazione militare? (butac.it)

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Un lettore ci segnala un articolo su un sito che dovrebbe occuparsi di sicurezza informatica, Red Hot Cyber, ma che il 9 novembre 2024 ha pubblicato un pezzo dal titolo:

Confessione clamorosa in Olanda: “Il Covid è stata un’Operazione Militare”, Dice il Ministro della salute

Parto col dire che un sito che sostiene di occuparsi di sicurezza informatica potrebbe limitarsi a quello, ma tant’è…

Nell’articolo viene citata una fonte, che però non è una fonte olandese che riporta una dichiarazione del suddetto ministro, come un lettore dovrebbe aspettarsi, ma un altro sito, VTForeignPolicy, americano, filotrumpiano, filorusso, negazionista della pandemia, cattobigotto, e chi più ne ha più ne metta. L’articolo su VT però è scritto da un italianissimo Claudio Resta, classe 1958, che non è chiaro cosa abbia a che fare con l’Olanda.

E già qui partiamo malaccio.

Le fonti

Vediamo quanto viene riportato:

La nuova ministra della Salute dei Paesi Bassi, Marie Fleur Agema, proveniente dal partito ha dichiarato apertamente di non poter mantenere le promesse elettorali perché il Ministero è subordinato alla NATO, al NCTV (Coordinatore nazionale per l’antiterrorismo e la sicurezza) e agli USA e pertanto deve sottomettersi ai loro ordini.

L’unica cosa corretta che viene detta è che Marie Fleur Agema è ministra della salute da quest’anno, tutto il resto è falso, e ci vuole davvero poco a verificarlo. Abbiamo cercato dichiarazioni di Marie Fleur Agema rilasciate nei giorni scorsi in merito appunto alle promesse elettorali in cui venissero menzionate NATO e NCTV e abbiamo trovato il motivo dell’attacco alla ministra in carica.

Il suo predecessore, Kuipers, l’ha criticata sostenendo che lei voglia fare un taglio al bilancio che lui aveva preparato in previsione di possibili nuove pandemie. A queste critiche la ministra ha risposto spiegando che:

Maar volgens Agema klopt het beeld niet dat ze 300 miljoen bezuinigt op het programma. “Ik heb de 50 miljoen uit 2025 on hold gezet, de rest loopt nog gewoon door”, aldus Agema, volgens wie Kuipers het niet goed heeft begrepen. “Dus het beeld dat ik 300 miljoen heb wegbezuinigd, is onwaar.”

Ovvero, ha ribadito di non aver tagliato 300 milioni da quel bilancio ma di essersi limitata a sospenderne 50 sui conti previsti per il 2025, e che tutto il resto è ancora al suo posto.

Non ha mai sostenuto che il Paese sia “subordinato alla NATO”, ma ha spiegato che si sta lavorando, insieme a diversi ministeri sotto la guida dell’NCTV (l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza e la Lotta al Terrorismo), sulla preparazione e la resilienza a minacce diverse, come il terrorismo od obblighi NATO in caso di crisi internazionali. Che non è la stessa cosa che sostenere che l’Olanda sia subordinata alla NATO. La differenza sembra sottile, ma non è così, è sostanziale.

L’articolo poi mostra la sua vera natura citando la dottoressa Els van Veen, medico di famiglia olandese, da sempre critico sulla gestione pandemica, e che ha cavalcato ogni possibile disinformazione durante gli anni della pandemia.

Le parole di van Veen non sono una bufala, le ha dette veramente, il problema non è quanto dice, ma il fatto che si senta la necessità di riportarlo. Van Veen non ha titoli per parlare di virologia e pandemia, è un medico sì, come tanti, rappresenta una nicchia dei medici olandesi, in realtà rappresenta ufficialmente solo se stessa, perché dare risalto alla sua voce e non alla moltitudine che la pensa all’opposto?

Curiosamente rientra tra i soggetti che ritengono i fact-checker une strumento di propaganda delle case farmaceutiche.

La malinformazione pericolosa

Questo è proprio quel genere di malinformazione spinta da chi sta lavorando nell’ombra affinché la NATO e l’Unione Europea entrino in crisi. Purtroppo è pieno di soggetti – anche nel nostro Paese – che oggi lavorano per diffondere questo genere di malinformazione, e onestamente ci sembra che si faccia davvero poco per contrastarla.

Ad esempio alla maggioranza delle testate giornalistiche la questione dell’Operazione Overload, di cui abbiamo parlato qualche tempo fa, non è minimamente interessata, segno abbastanza evidente di quanto le cose vengano prese sottogamba.

Viviamo tempi complessi per l’informazione, c’è sempre più bisogno di correttezza ed etica proprio mentre sembrano scomparire, ma soprattutto ci sarebbe bisogno con sempre più urgenza di una presa di posizione netta sull’information disorder da parte di governi e ministeri, specie quelli della Pubblica Istruzione, mentre a oggi vediamo muoversi davvero poco, e onestamente siamo sempre più preoccupati.

Pyongyang ha da guadagnare dall’affare con Putin. Ma è anche un azzardo (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola posta

I soldati di Kim Jong-un inviati in Ucraina hanno un’età media equivalente sì e no alla metà di quella dei combattenti di Kyiv, e nessuna esperienza sul campo. Che succede se troppi di loro tornano a casa nei sacchi neri?

L’armistizio di Panmunjom, che mise fine ai tre anni di guerra di Corea, fu firmato nel luglio del 1953. Dunque, 71 anni fa. Le fotografie o i video copiosamente accessibili dalla Corea del nord, sia pure tutte ufficiali o passate attraverso il controllo statale, mostrano spesso attorno a Kim Jong-un militari in uniforme dal petto costellato di medaglie al valore.

Alcune giacche hanno un prolungamento di stoffa fino al ginocchio o usano direttamente i pantaloni per fare spazio alle medaglie in eccedenza. I veterani della guerra sono sulla novantina. Ma interi plotoni di ufficiali dall’aspetto giovanile sfilano metallizzati anche loro dalle decorazioni, e ci si chiede in quali imprese d’armi abbiano guadagnato la gloria.

“Il regime di Pyongyang da decenni fornisce armi al cosiddetto Asse della resistenza e adesso alla Russia… La Corea del nord è riuscita a sviluppare la tecnologia cyber, missilistica e nucleare che serve ai gruppi terroristici e ai paesi autoritari che vogliono sfidare l’ordine globale democratico” (Giulia Pompili).

Si calcola che metà delle munizioni di artiglieria russa contro l’Ucraina siano venute da Pyongyang. Kim Jong-un vanta “l’esercito più potente del mondo”: certo è almeno il terzo quanto al numero, largamente superiore al milione. Suoi soldati sono stati mandati in giro per il mondo delle guerre sporche, come in Siria, ma mai numerosi come ora al fronte ucraino, “più di diecimila”, al servizio della Russia di Putin.

La guerra all’Ucraina era già servita, con la banalizzazione della minaccia di impiego dell’atomica, a rafforzare enormemente la deterrenza nucleare cui il regime di Pyongyang è appeso, e a grattar via un po’ della patina di eccentricità pagliaccesca sotto la quale è cresciuto indisturbato.

Il primo Trump fu l’autore fallimentare dello sdoganamento di Kim, e oggi, dopo aver dichiarato in campagna elettorale che il leader nordcoreano “sentiva la sua mancanza”, dovrà vedersela con lui in una condizione molto più compromessa.

I soldati nordcoreani – spediti in Ucraina, pare, con qualche centinaio di ufficiali e un gruppetto di generali – hanno un’età media equivalente sì e no alla metà di quella dei combattenti ucraini, e, tolto l’affrettato addestramento russo, nessuna esperienza sul campo.

Benché appartenenti a truppe scelte, e probabilmente persuasi essi stessi di godere di un gran privilegio materiale e di “onore” (con le famiglie messe sotto sequestro per scoraggiare eventuali tentazioni a passare le linee), sono destinati secondo osservatori “esperti” a fare da carne da cannone. 

Sapremo prestissimo se sia così. Intanto, una prima notizia l’ha fornita qualche giorno fa Gideon Rachman sul Financial Times: i giovani soldati nordcoreani, al loro primo incontro con la rete (internet è proibito, salve deroghe, in patria, e il contrabbando di video è arrischiato) sarebbero accanitamente dediti alla scoperta del porno.

La notizia è stata universalmente ripresa, compresa la coloritura piccante. E cretina: è difficile figurarsi un evento più serio dell’incontro fra giovani uomini e il mondo di fuori, fuori dall’incredibile isolamento realizzato dalla dinastia dei Kim, al di là di ogni immaginazione distopica.

Kim Jong-un ha molto da guadagnare dall’affare solennemente concluso con Vladimir Putin: in denaro, reputazione interna e intimidazione esterna (va moltiplicando le provocazioni contro Seul), e assistenza tecnologica negli armamenti. E forza contrattuale con Pechino. Il passaggio dalla fornitura di munizioni al trattato militare formale – una specie di articolo 5 russo-nordcoreano – e all’invio al fronte dei suoi uomini, avviene nel momento più favorevole all’Asse vagheggiato con Cina e Iran.

Ma è anche un azzardo. Le sorti della guerra sul campo non sono dette, e la possibilità che un gran numero di soldati nordcoreani tornino indietro nei sacchi neri, e che al contingente iniziale già ingente si debbano aggiungere rinforzi, nell’escalation che la Russia persegue aspettando la presidenza Trump, lascia immaginare che, per la prima volta, migliaia di giovani tornino nella Corea del nord avendo sperimentato che un altro mondo è possibile, ed esiste già.

Di là dalle trincee, e se non altro sui telefonini.

(ANSA)