La scuola non è un detersivo (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Il giorno in cui i presidi presentano la scuola ai genitori dei potenziali iscritti non si chiama Giorno di Presentazione ma Open Day, e forse i problemi cominciano proprio da questo aziendalese imposto persino tra i banchi. 

Sta di fatto che durante il benedetto Open Day la preside di un liceo barese, Tina Gesmundo, ha detto ai genitori in visita qualcosa di inedito, scomodo e sorprendente: la verità. Ha detto che lei non era lì per convincerli a scegliere il suo istituto, perché la scuola non è un detersivo.

Ha detto che alcuni allievi fotografano le targhe delle auto dei professori a scopo intimidatorio e bulleggiano pesantemente i compagni nel disinteresse delle famiglie, che derubricano quei gesti a semplici ragazzate. Ha detto che i social non c’entrano niente, c’entrano i genitori, che sovrappongono i loro ego alle vite dei figli, educandoli a coltivare solo il mito del successo e del denaro. Ha detto che verranno ripagati con la stessa moneta e che da vecchi i figli li abbandoneranno in una casa di cura.

Ha detto che non ha bisogno che arrivino Crepet o Galimberti a spiegarle come le famiglie abbiano scaricato sulla scuola la loro incapacità di educare: purtroppo lo sa già. E ha concluso: «Se dovete venire qui per fare queste cose, andate altrove.

Ma qualunque scuola scegliate, imparate ad ascoltare i vostri figli e insegnate loro ad avere cura di sé e degli altri, non a inseguire solo sogni di gloria e ricchezza».

Mi stupisco che non l’abbiano ancora licenziata.

«Non si tratta solo di cedere regioni. Lo zar cerca la fine dell’Ucraina» (corriere.it)

di Lorenzo Cremonesi

L’intervista/Anne Applebaum

Kiev «Chi fermerà l’aggressione di Putin? Il nocciolo del problema non è convincere gli ucraini a smettere di combattere, ma piuttosto persuadere i russi a farlo».

Anne Applebaum esordisce così nella nostra intervista. La nota studiosa polacco-americana, esperta di Russia ed Europa orientale, ci risponde per telefono da Vienna.

Trump promette di porre fine alla guerra velocemente. Scholz telefona a Putin. Siamo all’inizio dei negoziati?

«A me preoccupa che tanti parlino di convincere gli ucraini a smettere di sparare, quando sono i russi che continuano ad attaccare. Dal giorno delle elezioni americane, Mosca ha moltiplicato le offensive e incrementato i raid di droni, missili e aerei: stanno provando come non mai a lanciare blitz nella regione di Kursk e nel Donbass. Putin ha concentrato nuove truppe e armamenti di rincalzo proprio con questo obbiettivo».

Però?

«Purtroppo non ho ancora sentito nessun leader alleato affermare nello specifico che occorre costringere i russi a bloccare l’aggressione. Non da Trump, non da Scholz o altri. Sono in tanti a parlare della necessità di avviare i negoziati, di contattare personalmente Putin. Si dice: magari l’Ucraina rinuncerà a questo o quell’altro pezzo del suo territorio. Bene! Magari finirà così. Però intanto si dimentica che in verità Putin non ha mai rinunciato al suo obbiettivo principale, che è quello di distruggere l’Ucraina come Stato sovrano, rimuoverla dalla mappa geografica».

Dunque, non è cambiato nulla dall’invasione ordinata da Putin mille giorni fa?

«Qualsiasi processo negoziale che non porti alla preservazione dello Stato ucraino e non ne garantisca la sicurezza contro ogni possibile futuro assalto russo sarà soltanto una soluzione temporanea. Onestamente, non ho capito di quale soluzione stiano parlando tra Scholz e Putin».

Come finire la guerra?

«Ci sono vari modi. Si può vincere sui campi di battaglia, ma l’amministrazione Biden non l’ha favorito. Possiamo imporre più sanzioni, con un embargo rafforzato sull’export energetico russo e per esempio facilitando gli attacchi ucraini contro i porti, i gasdotti e oleodotti. Possiamo anche lavorare con le opposizioni interne alla Russia. Oppure offrire la carota di accordi economici particolarmente vantaggiosi. Il punto è come fare per costringere i russi a ritirarsi. Sino ad ora tutti coloro che parlano di negoziati mi sembrano irrealistici. La questione non è se l’Ucraina può rinunciare o meno al Donetsk. Piuttosto si tratta di capire se alla fine del negoziato l’Ucraina potrà ancora esistere come Stato funzionante, capace di stare sulle sue gambe. Perché, se si arriva a qualche forma di accordo che lasci l’Ucraina debole e instabile, sarebbe una catastrofe: la Russia attaccherà ancora e tutti si volteranno dall’altra parte. Ogni tanto sentiamo qualche fedele di Trump ripetere che basta tagliare alcuni pezzi di Ucraina e tutto andrà bene: non sanno di cosa parlano, sarebbe il collasso».

Non c’è alcun piano di pace?

«Non lo vedo. Non credo che si sappia di cosa si sta trattando e non credo lo sappiano neppure coloro che parlano di piani di pace nel circolo di Trump. Prima delle elezioni figure come l’ex segretario di Stato repubblicano Mike Pompeo avevano accennato alla possibilità di aumentare gli aiuti militari per Zelensky, ma adesso non più. Se mandassimo mille aerei o quadruplicassimo l’invio delle artiglierie magari potrebbe funzionare, però non è all’ordine del giorno».

Cosa può fare Bruxelles?

«L’Europa necessita di elaborare subito, adesso, la sua politica indipendente di aiuti all’Ucraina. L’Europa e in particolare voi italiani dovreste capire che, se la guerra finisce male e l’Ucraina verrà distrutta, voi non avrete risparmiato, anzi, poi fermare la Russia sarà molto ma molto più costoso, le spese per la sicurezza saranno immense, i rischi infinitamente più gravi. Cresceranno i piani russi di sabotaggio, assassinii mirati, guerra informatica, interferenze politiche, economiche».

Se Zelensky sotto la pressione alleata facesse troppe concessioni a Putin rischierebbe una rivolta interna?

«È un rischio reale e va tenuto in considerazione. Zelensky deve tenere conto che esiste una cospicua parte della popolazione ucraina e delle sue forze combattenti contraria al compromesso territoriale con la Russia».

Quali segnali arrivano da Putin?

«Nessuno incoraggiante. Anche lui però deve fronteggiare gravissimi problemi interni. L’economia e l’inflazione peggiorano di giorno in giorno. Ha interi settori della sua economia paralizzati. Aveva promesso che la guerra sarebbe finita in tre giorni e sta arrivando al terzo anno: nulla lascia credere che la gente sostenga l’impegno militare. Tutt’altro. Versa enormi salari ai soldati per motivarli, tanti vanno al fronte soltanto per potere pagare l’affitto. Gli mancano uomini e deve chiedere aiuto alla Corea del Nord. Per gli alleati è il momento di attaccare, non di cedere».

Ballerino russo critica Putin, poi “vola” dal balcone per un “tragico” incidente. Mistero sulla morte

di Leo Malaspina

Un tragico incidente sabato sera ha posto fine 
alla vita di Vladimir Shklyarov, 39 anni, 
ballerino russo di danza classica di fama mondiale, 
stella del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. 

Molti ballerini russi hanno reso omaggio a Shklyarov dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, con Irina Baranovskaya che ha definito la sua morte “uno stupido, insopportabile incidente” su Telegram. Baranovskaya ha scritto che Shklyarov “è uscito sul balcone per prendere un po’ d’aria e fumare” e “ha perso l’equilibrio” sul “balcone molto stretto”.

Una versione della tragedia confermata dalla portavoce del Teatro Mariinskij, Anna Kasatkina, che ha dichiarato ai media russi che Shklyarov è morto cadendo da un balcone mentre cercava di rientrare nel suo appartamento al quinto piano di un palazzo. Kasatkina ha detto anche che il ballerino aveva recentemente subito un infortunio alla schiena e avrebbe assunto forti antidolorifici in attesa di un intervento chirurgico alla spina dorsale.

Il ballerino russo aveva criticato Putin e la guerra in Ucraina

Non è chiaro se e in che misura l’uso di antidolorifici abbia avuto un ruolo nella caduta dal terrazzo. Mentre è stata avviata un’indagine da parte della polizia per indagare sulle cause della morte, “la causa preliminare” è stata dichiarata “un incidente”, come ha riferito l’agenzia di stampa russa Ria Novosti. Vladimir Shklyarov era sposato dal 2013 con Maria Shirinkina, ballerina solista della compagnia del Teatro Mariinskij, ed era padre di due figli.

Era contro la guerra in Ucraina, fortemente critico nei confronti di Putin“.

E’ il modo in cui sul New Post viene descritto il  Vladimir Shklyarov, precipitato sabato scorso da un edificio per circa 20 metri. Shklyarov “è andato incontro ad una fine prematura come altre persone che hanno giudicato l’operato del presidente russo, anche loro morte cadendo da palazzi.

Nel 2022 la stella del Mariinsky si era scagliata su Facebook, nonostante la repressione del Cremlino, contro il conflitto in corso”, aggiunge il sito statunitense citando il media russo Fontanka. E ricorda nel suo articolo un post nel quale il danzatore, sposato con la ballerina Maria Shirinkina, si dichiarava “contrario alla guerra, sono per la gente, per un cielo sereno sopra le nostre teste”

La morte del ballerino russo che aveva criticato Putin

Per più di vent’anni ha lavorato al Teatro Mariinskij: Vladimir Shklyarov era entrato a far parte del corpo di ballo nel 2003, subito dopo essersi diplomato all’Accademia del Balletto Russo, e nel 2011 era diventato primo ballerino. “Le sue illimitate capacità creative sono state riconosciute da molti premi”, ma ha ricevuto il titolo principale nel 2020, diventando un “Artista onorario della Russia”, ha scritto il Teatro Mariinskij in un messaggio di cordoglio.

“Un interprete espressivo, assolutamente inimitabile e un ballerino virtuoso, accademicamente impeccabile, che è soggetto a tutti gli stili: è così che Vladimir Shklyarov sarà ricordato dal pubblico – afferma il Teatro Mariinskij – Per due decenni della sua carriera teatrale, il suo repertorio è diventato davvero immenso.

Era ugualmente brillante nella parte del nobile e maestoso principe Desiderio nella ‘Bella addormentata’, e nella parte dell’impudente e vivace Hooligan in ‘La giovane signora e l’Hooligan’; altrettanto magnifici nei balletti classici e drammatici, capolavori della coreografia del Novecento e produzioni moderne.

Ha iscritto per sempre il suo nome nella storia dell’arte del balletto mondiale”.

Vladimir Shklyarov era nato il 9 febbraio del 1985 nell’allora Leningrado (oggi San Pietroburgo) e aveva frequentato l’Accademia di danza Vaganova, un’istituzione famosa con quasi 300 anni di storia, che annovera tra i suoi allievi Natalia Makarova e Mikhail Baryshnikov.

Con la compagnia del Balletto Mariinskij ha danzato molti dei grandi ruoli maschili del repertorio classico, tra cui James ne ‘La Sylphide’, Albrecht in ‘Giselle’, Solor ne ‘La Bayadère’, il Principe Desiderio ne ‘La bella addormentata’, Siegfried ne ‘Il lago dei Cigni’, il principe ne ‘Lo schiaccianoci’, Jean de Brienne in ‘Rajmonda’, Basilio in ‘Don Quixote’ e ruoli principali in ‘Paquita’, ‘Le Spectre de la rose’, ‘Les Sylphides’ e ‘Jewels’. Dal 2016 al 2017 è stato ballerino principale per la compagnia dell’Opera di Stato della Baviera su invito di Igor Zelenskij.

Nel corso di due decenni di carriera, Shklyarov ha ottenuto il plauso internazionale, esibendosi al Metropolitan Opera di New York, alla Royal Opera House di Londra e in altri prestigiosi teatri del mondo.