Scarti umani – Scamarcio fa impazzire la sinistra: “A casa mia il maschio fa il capofamiglia, la femmina no…”

Il Secolo d’Italia

Patriarcato adorato

Qualche anno fa Riccardo Scamarcio, non senza ironia, si era lasciato andare a un commento: “A casa mia, in Puglia, uno fa il maschietto, l’altro la femminuccia”.

Nei tempi attuali di “politicamente corretto” e di isterie di sinistra sul tema del patriarcato, quelle stesse frasi sono state “rinfacciate” a Scamarcio dalla giornalista Francesca Fagnani, nel corso dell’intervista rilasciata al programma “Belve“. E Scamarcio ha confermato tutto.

La Fagnani gli ha chiesto conto della dichiarazione del 2006: «Su Vanity diceva: “In Puglia facciamo differenza tra i sessi. L’uomo è uomo e la donna è donna. Il maschio è il capobranco, la femmina gli sta accanto e si occupa dei figli. So che non è molto corretto ma noi pugliesi diciamo sempre quello che pensiamo”. Siamo fermi là o c’è stata un’evoluzione?».

Scamarcio sorride: «Cosa ho detto di sbagliato?». Fagnani ripete la frase e Scamarcio aggiunge: «In un gioco delle parti, un nucleo familiare…diciamo, è un gioco questo”. Quanto basta per scatenare i social e gli haters di sinistra, donne, soprattutto.

“Uno fa il maschietto e l’altra fa la femminuccia, questo tiene pure una figlia, ma poi porca miseria se questa cosa la dicesse un attore 90enne amen, ma Scamarcio non tiene nemmeno 50 anni, proprio ingiustificabile”, scrive una influencer su X. Un copione quasi scontato, appena si dice qualcosa al di fuori del conformismo e con ironia.

“Ogni tanto glielo dico a Benedetta, mi hai lavato le mutande?”, scherza Scamarcio, fidanzato con l’attrice Benedetta Porcaroli. E la Fagnani: “Cosa le risponde?”. “Meglio che non lo dico…”.

Si scherza, ma non per gli integralismi del femminismo da macchietta, che criticano l’attore.

La scuola non è un detersivo (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Il giorno in cui i presidi presentano la scuola ai genitori dei potenziali iscritti non si chiama Giorno di Presentazione ma Open Day, e forse i problemi cominciano proprio da questo aziendalese imposto persino tra i banchi. 

Sta di fatto che durante il benedetto Open Day la preside di un liceo barese, Tina Gesmundo, ha detto ai genitori in visita qualcosa di inedito, scomodo e sorprendente: la verità. Ha detto che lei non era lì per convincerli a scegliere il suo istituto, perché la scuola non è un detersivo.

Ha detto che alcuni allievi fotografano le targhe delle auto dei professori a scopo intimidatorio e bulleggiano pesantemente i compagni nel disinteresse delle famiglie, che derubricano quei gesti a semplici ragazzate. Ha detto che i social non c’entrano niente, c’entrano i genitori, che sovrappongono i loro ego alle vite dei figli, educandoli a coltivare solo il mito del successo e del denaro. Ha detto che verranno ripagati con la stessa moneta e che da vecchi i figli li abbandoneranno in una casa di cura.

Ha detto che non ha bisogno che arrivino Crepet o Galimberti a spiegarle come le famiglie abbiano scaricato sulla scuola la loro incapacità di educare: purtroppo lo sa già. E ha concluso: «Se dovete venire qui per fare queste cose, andate altrove.

Ma qualunque scuola scegliate, imparate ad ascoltare i vostri figli e insegnate loro ad avere cura di sé e degli altri, non a inseguire solo sogni di gloria e ricchezza».

Mi stupisco che non l’abbiano ancora licenziata.

«Non si tratta solo di cedere regioni. Lo zar cerca la fine dell’Ucraina» (corriere.it)

di Lorenzo Cremonesi

L’intervista/Anne Applebaum

Kiev «Chi fermerà l’aggressione di Putin? Il nocciolo del problema non è convincere gli ucraini a smettere di combattere, ma piuttosto persuadere i russi a farlo».

Anne Applebaum esordisce così nella nostra intervista. La nota studiosa polacco-americana, esperta di Russia ed Europa orientale, ci risponde per telefono da Vienna.

Trump promette di porre fine alla guerra velocemente. Scholz telefona a Putin. Siamo all’inizio dei negoziati?

«A me preoccupa che tanti parlino di convincere gli ucraini a smettere di sparare, quando sono i russi che continuano ad attaccare. Dal giorno delle elezioni americane, Mosca ha moltiplicato le offensive e incrementato i raid di droni, missili e aerei: stanno provando come non mai a lanciare blitz nella regione di Kursk e nel Donbass. Putin ha concentrato nuove truppe e armamenti di rincalzo proprio con questo obbiettivo».

Però?

«Purtroppo non ho ancora sentito nessun leader alleato affermare nello specifico che occorre costringere i russi a bloccare l’aggressione. Non da Trump, non da Scholz o altri. Sono in tanti a parlare della necessità di avviare i negoziati, di contattare personalmente Putin. Si dice: magari l’Ucraina rinuncerà a questo o quell’altro pezzo del suo territorio. Bene! Magari finirà così. Però intanto si dimentica che in verità Putin non ha mai rinunciato al suo obbiettivo principale, che è quello di distruggere l’Ucraina come Stato sovrano, rimuoverla dalla mappa geografica».

Dunque, non è cambiato nulla dall’invasione ordinata da Putin mille giorni fa?

«Qualsiasi processo negoziale che non porti alla preservazione dello Stato ucraino e non ne garantisca la sicurezza contro ogni possibile futuro assalto russo sarà soltanto una soluzione temporanea. Onestamente, non ho capito di quale soluzione stiano parlando tra Scholz e Putin».

Come finire la guerra?

«Ci sono vari modi. Si può vincere sui campi di battaglia, ma l’amministrazione Biden non l’ha favorito. Possiamo imporre più sanzioni, con un embargo rafforzato sull’export energetico russo e per esempio facilitando gli attacchi ucraini contro i porti, i gasdotti e oleodotti. Possiamo anche lavorare con le opposizioni interne alla Russia. Oppure offrire la carota di accordi economici particolarmente vantaggiosi. Il punto è come fare per costringere i russi a ritirarsi. Sino ad ora tutti coloro che parlano di negoziati mi sembrano irrealistici. La questione non è se l’Ucraina può rinunciare o meno al Donetsk. Piuttosto si tratta di capire se alla fine del negoziato l’Ucraina potrà ancora esistere come Stato funzionante, capace di stare sulle sue gambe. Perché, se si arriva a qualche forma di accordo che lasci l’Ucraina debole e instabile, sarebbe una catastrofe: la Russia attaccherà ancora e tutti si volteranno dall’altra parte. Ogni tanto sentiamo qualche fedele di Trump ripetere che basta tagliare alcuni pezzi di Ucraina e tutto andrà bene: non sanno di cosa parlano, sarebbe il collasso».

Non c’è alcun piano di pace?

«Non lo vedo. Non credo che si sappia di cosa si sta trattando e non credo lo sappiano neppure coloro che parlano di piani di pace nel circolo di Trump. Prima delle elezioni figure come l’ex segretario di Stato repubblicano Mike Pompeo avevano accennato alla possibilità di aumentare gli aiuti militari per Zelensky, ma adesso non più. Se mandassimo mille aerei o quadruplicassimo l’invio delle artiglierie magari potrebbe funzionare, però non è all’ordine del giorno».

Cosa può fare Bruxelles?

«L’Europa necessita di elaborare subito, adesso, la sua politica indipendente di aiuti all’Ucraina. L’Europa e in particolare voi italiani dovreste capire che, se la guerra finisce male e l’Ucraina verrà distrutta, voi non avrete risparmiato, anzi, poi fermare la Russia sarà molto ma molto più costoso, le spese per la sicurezza saranno immense, i rischi infinitamente più gravi. Cresceranno i piani russi di sabotaggio, assassinii mirati, guerra informatica, interferenze politiche, economiche».

Se Zelensky sotto la pressione alleata facesse troppe concessioni a Putin rischierebbe una rivolta interna?

«È un rischio reale e va tenuto in considerazione. Zelensky deve tenere conto che esiste una cospicua parte della popolazione ucraina e delle sue forze combattenti contraria al compromesso territoriale con la Russia».

Quali segnali arrivano da Putin?

«Nessuno incoraggiante. Anche lui però deve fronteggiare gravissimi problemi interni. L’economia e l’inflazione peggiorano di giorno in giorno. Ha interi settori della sua economia paralizzati. Aveva promesso che la guerra sarebbe finita in tre giorni e sta arrivando al terzo anno: nulla lascia credere che la gente sostenga l’impegno militare. Tutt’altro. Versa enormi salari ai soldati per motivarli, tanti vanno al fronte soltanto per potere pagare l’affitto. Gli mancano uomini e deve chiedere aiuto alla Corea del Nord. Per gli alleati è il momento di attaccare, non di cedere».