Ottanta ore da Musk (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Perché molti giovani dovrebbero intasare di curriculum Elon Musk, come pare stia già avvenendo, per rispondere al surreale bando d’assunzione del nuovo superministro di Trump con delega all’Efficienza?

Per quale motivo, dato che si richiedono «quoziente intellettuale altissimo» e disponibilità a lavorare «più di 80 ore settimanali» — oltre 11 al giorno — per un compenso «pari a zero»?

La risposta è che Musk non sta offrendo un impiego, ma un’esperienza unica. Unica e fuori dal comune: entrare nell’ufficio che avrà il compito di trasformare/scardinare lo Stato (licenziando milioni di dipendenti pubblici, tra l’altro), a contatto con l’uomo più ricco e visionario del pianeta.

Il fascino perverso di Musk sta in questa fusione tra la modernità degli strumenti che usa (razzi, satelliti) e l’antichità del suo messaggio, lo stesso dei nostri avi: se vuoi emergere, fai sacrifici e lasciati sfruttare. Il Superuomo del momento non tiene minimamente conto dei diritti acquisiti negli ultimi secoli e costati parecchie tragedie.

Questi diritti si basano su un presupposto che è l’esatto contrario del Muskismo: la necessità di tutelare i meno fortunati, i meno intraprendenti e anche i meno intelligenti. I normali, non soltanto gli eccezionali. La scommessa di Musk è che con le nuove tecnologie una minoranza di eccezionali potrà tenere in pugno tutti gli altri. Però i normali hanno ancora un vantaggio. Uno solo, ma enorme: sono più numerosi.

E alla lunga le maggioranze vincono sempre (speriamo).

Che brutta aria (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Il gestore del cinema milanese che si rifiuta di proiettare il film su Liliana Segre per paura che gli danneggino il locale.

L’albergatore di Selva di Cadore che cancella la prenotazione di un gruppo di clienti israeliani, ritenendoli «responsabili di genocidio» per il solo fatto di essere israeliani. Ma che cosa sta succedendo? Se tornasse in vita Primo Levi verrebbe chiamato a rispondere dei fatti di Gaza?

Qui non sono più soltanto i centri sociali o i comitati studenteschi, e nemmeno gli ultrà di calcio o gli estremisti islamici. Qui c’è un umore diffuso nella società civile che associa ogni ebreo alle azioni del governo d’Israele. Non mi risulta che si applichi lo stesso metro ad altri popoli.

Chi considera Putin un criminale di Stato non estende indiscriminatamente quel giudizio a tutti i russi e i pochi che lo fanno (ricordate la cancellazione del seminario su Dostoevskij?) diventano subito oggetto di barzellette.

In questi giorni, tantissimi europei stanno manifestando disprezzo e finanche odio per Trump, eppure non si ha notizia di gestori spaventati all’idea di proiettare un film su qualche eroe americano o di albergatori che sbattono la porta in faccia ai turisti provenienti da New York.

Così come è assurdo dare dell’antisemita a chiunque denunci gli obbrobri di Gaza, è altrettanto folle scaricare su ogni ebreo le responsabilità di Netanyahu. Si tratta di ovvietà, lo sappiamo bene.

Ma allora perché la cronaca ci costringe a scriverle?