Ora in Francia spuntano no vax antisemiti (corriere.it)

di Elisabetta Rosaspina

A Metz identificata, 

denunciata per incitamento all’odio e fermata un’insegnante ed ex attivista del Fronte Nazionale

Uno in particolare, inalberato a Metz (Mosella), ha attirato l’attenzione. Lo brandiva una giovane donna fiera ed elegante, sorridendo all’obiettivo del fotografo: la sua lista di proscrizione, dal presidente Macron a BHL (il filosofo Bernard-Henri Lévy), all’imprenditore George Soros e all’economista Klaus Schwab, includeva quasi tutte personalità di origine ebraica.

Con poche eccezioni. E a queste, probabilmente, si aggrapperà la difesa dell’insegnante ed ex attivista del Fronte Nazionale identificata ieri, denunciata per incitamento all’odio e fermata. I ministri dell’Interno e dell’Educazione (quando si è saputo che lo impugnava una docente) hanno promesso provvedimenti.

Ma è un déjà vu: nel febbraio 2019 un gruppo di gilet gialli aveva inveito contro il filosofo Alain Finkielkraut, riconoscendolo per strada dalle parti di Montparnasse: «Sporco ebreo, vattene» era la sintesi della complessità del loro pensiero.

L’accostamento intollerabile tra Shoah e green pass (joimag.it)

Una riflessione su storia, memoria, libertà 
e pregiudizio

Nelle affollate manifestazioni «no-vax», ovvero contro la «vergogna» della «dittatura sanitaria» e, con essa, del green-pass, nel nome della «libertà», sono puntualmente spuntate sia le stelle gialle che i riferimenti agli «ebrei». Non si tratta di una novità.

Tuttavia, il fatto che una tale tendenza vada ripetendosi – riscontro in sé purtroppo prevedibile ma non per questo meno inquietante – impone qualche riflessione di merito. Posto che alle sulfuree, e spesso scomposte, dimostrazioni di piazza si accompagnano anodine, se non ambigue, prese di posizione di alcuni intellettuali. Nel nome medesimo di una «indipendenza di scelta» e della «libertà di espressione pubblica del giudizio» che, tra individualismo esasperato, anarchismo pseudo-libertario, ribellismo tanto aggressivo quanto imbelle, rasenta l’elogio verbale dell’eversione istituzionale. Una scenografia collettiva dove il dato comune è il rifiuto non solo della ragionevolezza ma anche e soprattutto della responsabilità.

Il perimetro dell’individuo viene fatto corrispondere con una sorta di ottuso spazio personale, completamente avulso dalla società: “io mi appartengo e non debbo dare riscontro a nessuno di quanto vado (o non vado) facendo, tanto più quando le mie condotte dovessero riflettersi sugli altri; affari loro, nel qual caso, non certo miei”. La licenza, per l’appunto, viene mistificata come «libertà».

C’è soprattutto di che riflettere su uno dei tanti aspetti di questo fenomeno: poiché un tale individualismo proprietario (“sono ciò che posseggo, a partire dal mio corpo, che è una mia proprietà e non altro”), sta diventando il mood, la tendenza, lo spirito che aleggia su quei movimenti collettivi, di piazza, molto spesso in origine spontanei (per essere poi puntualmente occupati dal cappello delle destre estreme), alla ricerca di un minimo comune denominatore. Che trovano nella miscela tra insubordinazione civile e carica sovversivistica una sorta di punto di precario equilibrio. Per cortesia, risparmiamoci le retoriche dell’«ignoranza» (“si comportano così poiché non sanno”), così come della genuinità plebea (“sono veraci, cresceranno e capiranno”).

Fermo restando che a queste manifestazioni, spesso volutamente sguaiate, prendono parte molte persone che non sono villane né incivili. La carica conflittuale che portano con sé, come spesso avviene nei movimenti di ogni colore e natura, somma diverse tendenze ed esigenze. Il punto, quindi, non è quello di denunciarne una presunta immaturità: se riescono ad occupare diverse piazze, ciò vorrà pure significare qualcosa. A partire dalla rabbiosa carica di disagio che fanno in tale modo scintillare e divampare.

A tale riguardo, dire un no corale alle non solo legittime ma necessarie disposizioni di sanità pubblica, è solo uno dei tanti modi per esprimere un confuso ma robusto rifiuto dello stato delle cose esistenti. Alla ricerca di una qualche potenziale sponda politica che, come si è visto in questi giorni, non tarderebbe nel qual caso a manifestarsi … leggi tutto

(Giulia Gasperini)

Rassegnata stampa 04/08/2021 (diario.world)

   

   

Non leggete “il Fango Quotidiano”

Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.

Tutte le condanne di Travaglio

L’angolo fascista

   

   

    

     

   

       

       

L’Olocausto (gitano) dimenticato, mezzo milione di vittime rimosse (corriere.it)

di GIAN ANTONIO STELLA
Il culmine fu nella notte tra il 2 e 3 agosto 1944 
ad Auschwitz: 
tremila, tra sinti e rom, furono massacrati. Spesso ai colpevoli di quelle stragi furono inflitte pene irrisorie
«Ricordo che quella mattina il primo pensiero fu quello di andare a dare uno sguardo al di là del filo spinato. Non c’era più nessuno, c’era solo silenzio… Ci bastò dare un’occhiata ai camini dei forni crematori che andavano al massimo della potenza per capire che quella notte, tutti, tutti gli zingari di quello che chiamavano lo Zigeunerlager erano stati assassinati. Tutti…».
Piero Terracina, uno degli ultimi testimoni della Shoah, sopravvissuto ad Auschwitz, morto un paio d’anni fa, aveva un groppo in gola quando tornava a parlare di quell’alba lontana. Conosceva bene quel campo al di là del reticolato: «Era denominato lo Zigeunerlager, il lager degli zingari. (…) C’era tanta vita, noi avevamo un colore quasi unico, eravamo vestiti con quella specie di pigiami a righe, dall’altra parte avevano conservato i loro abiti, quindi tanto colore, avevano conservato i capelli, noi eravamo completamente rasati a zero, c’era un’enormità, tantissimi bambini…».
Finché, la notte prima, lui e gli altri prigionieri ebrei avevano sentito i camion, l’arrivo di reparti tedeschi, i cani che abbaiavano rabbiosi, le urla delle donne, il pianto disperato dei piccoli: «Poi all’improvviso, dopo più di due ore, silenzio. Non si sentiva più niente». Solo il vento che faceva sbattere porte delle camerate totalmente svuotate: «Il ricordo di quelle porte che battevano con il vento e non c’era nessuno che le fermasse mi è rimasto dentro…».
Furono tremila su trentamila, secondo un dossier della storica francese Henriette Asséo sulla rivista «Etudes Tsiganes», i rom sopravvissuti ad Auschwitz. Un decimo. Tutti gli altri morirono di fame, di stenti, di freddo o «passati il camino» come quei 2.998, «soprattutto donne e bambini piccoli», decimati quella notte tra il 2 e il 3 agosto del 1944.
Ed è quella appunto, dal 2015 (solo dal 2015: dopo decenni di imbarazzi e rimozioni), la data scelta per la Giornata europea di commemorazione del genocidio dei gitani … leggi tutto