La difesa dell’Ucraina, il disonore di destra e sinistra, e il riscatto morale dell’Italia (linkiesta.it)

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Una modesta proposta

Un programma chiaro e semplice, fatto di un solo punto (fermare la Russia), per aggrapparsi ai pilastri della convivenza civile e ricostruire il tetto della casa comune

Gennaro Sangiuliano è l’agiografo di Vladimir Putin, il criminale che colpisce le città ucraine e uccide civili nel sonno anche perché il governo Meloni pone limiti grotteschi e macabri alla difesa dell’Ucraina. Parlare d’altro, di gossip, è complicità.

Putin è un capo di Stato criminale, la Russia è uno Stato criminale, i russi sono un popolo criminale, la Grande Cultura Russa è una manifestazione di plurisecolare colonialismo culturale e di pulizia etnica di identità diverse cancellate con la violenza e tra gli applausi della comunità occidentale.

Bisogna salvare l’Ucraina e partire da qui, soltanto da qui, perché salvare l’Ucraina significa salvare anche noi. Intorno a questo programma semplice e chiaro, fatto di un unico punto, deve nascere il riscatto morale del nostro paese e si deve ricostruire una convivenza civile degna di questo nome.

Bisogna partire da quei pochi politici e intellettuali che non si girano dall’altra parte, da quelli che capiscono il senso rovinoso della sfida russa alla democrazia liberale e a un modello di vita che sarà anche causa di ineguaglianze e ingiustizie enormi, ma mai quanto quelle create dalle sue alternative.

Sono pochi ma ci sono, quelli da cui ripartire e con cui immaginare una nuova offerta politica e culturale. Sono soprattutto nel Pd, da Pina Picierno a Filippo Sensi a Lia Quartapelle a Lorenzo Guerini a Giorgio Gori (nonostante l’ingenuità tattica del “No” a un emendamento europeo pro Ucraina per tentare di recuperare gli irrecuperabili del suo partito) e tanti altri certo un po’ troppo silenziosi.

Ci sono anche gli ex terzopolisti, con Carlo Calenda per una volta nel ruolo del più consapevole della posta in gioco (nonostante ci sia arrivato in ritardo, dopo un paio di capitomboli iniziali, ma c’è arrivato con precisione e da allora non sbaglia un colpo). Ci sono anche intellettuali rilevanti, da Paolo Giordano ad Angelo Panebianco a Paolo Mieli. Ci sono piccoli giornali d’opinione, ci sono le famiglie politiche europee che resistono, e c’è il gran discorso di Kamala Harris alla convention di Chicago che fa ben sperare che l’America torni a fare l’America liberandosi una volta per tutte degli insurrezionalisti di Donald Trump.

Ci sono le istituzioni di Bruxelles che tutto sommato hanno retto, e ci sono i favolosi paesi della nuova Europa che si sono liberati l’altro ieri dal colonialismo di Mosca e ancora adesso si sentono minacciati. C’è Emmanuel Macron. La Gran Bretagna c’è sempre stata. C’è Mario Draghi.

Una missione impossibile, ma neanche tanto. Si tratta di mettere temporaneamente da parte le differenze ideologiche e programmatiche, e i personalismi adolescenziali, per consolidare le fondamenta della casa comune, rialzare i pilastri del diacorso pubblico e ricostruire il tetto in modo da garantire a tutti una coabitazione civile.

I putiniani di destra e sinistra sono i demolitori della società aperta, un pericolo serio per la democrazia liberale a tutte le latitudini. Il governo Meloni, che ha fatto tanto per l’Ucraina un po’ per convenienza un po’ per convinzione, da qualche tempo ha cominciato a cambiare direzione, quella in realtà più congeniale alla tradizione della destra autoritaria e neo, ex, post fascista, e lo ha fatto un po’ per inseguire i putiniani spudorati della maggioranza, un po’ per anticipare la possibile vittoria in America del grande alleato di Putin.

Elly Schlein poteva scegliere tra l’Ucraina e il disonore, ma ha scelto la Liguria, l’accordo con i putiniani a cinquestelle a favore di quel bel toso di Andrea Orlando a discapito della difesa delle vite degli ucraini.

Prima o poi, Putin sparirà, ma il disonore dei suoi volenterosi complici resterà per sempre.

Schlein&Tajani, quella strana intesa sulle armi ucraine (ildubbio.news)

di Giacomo Puletti

La “strana coppia”

Entrambi dicono no all’uso in territorio russo, ma la leader dem è alle prese con i dissidi interni

Entrambi sostengono in pieno il diritto dell’Ucraina di difendersi, anche con le armi fornite dall’Occidente, e quindi dall’Italia. Entrambi hanno condannato dall’inizio l’invasione russa ma entrambi, di nuovo d’accordo, non vogliono che Kiev utilizzi le armi per colpire in territorio russo, come sta già facendo da alcune settimane.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani e la leader del Pd, Elly Schlein, condividono la stessa linea sulla politica estera ma se il primo rappresenta l’anima “moderata” del centrodestra, costretto a dare un colpo al cerchio e uno alla botte rassicurando gli alleati internazionali ma al tempo stesso non dando troppo vantaggio alla Lega di Salvini (che spinge per la tregua), la seconda deve fare i conti con la parte cosiddetta riformista del partito, che sull’Ucraina ha una posizione netta: occorre permettere a Kiev di usare le nostre armi anche in territorio russo, per colpire le postazioni da cui partono i bombardamenti che quotidianamente colpiscono le città ucraine provocando distruzione e morte.

«L’escalation non è “se reagiamo Putin farà peggio”, l’escalation e “se non reagiamo Putin farà peggio” – ha scritto ieri su twitter il senatore Filippo Sensi, dopo l’ennesimo bombardamento – Alba a Leopoli, ancora missili sul centro della città, ancora fiamme, ancora vittime, ancora feriti in mezzo alle macerie, ancora Russia, ancora Putin, ancora l’Europa e la comunità internazionale a voltarsi dall’altra parte».

I tweet di Sensi si aggiungono alle prese di posizione, più o meno pubbliche, di altri esponenti di spicco del Pd, dal presidente del CopasirLorenzo Guerini, alla vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, fino a Lia Quartapelle e all’ex sindaco di Bergamo, oggi eurodeputato, Giorgio Gori.

«L’Ucraina deve potersi difendere anche prima che i missili russi piovano sulle sue città. Sostenere il contrario – come fanno Ungheria e Slovacchia, e come fa il governo italiano, isolandosi dall’Europa – favorisce soltanto Putin – ha scritto qualche giorno fa sui social Gori – Si può essere mossi da un sincero desiderio di pace (non è il caso di Salvini e di Conte) ma questo è il risultato. Vorrei che il Pd, il mio partito, non venisse meno alla linea di pieno sostegno a Kyiv, meritoriamente tenuta fino ad oggi».

Una posizione che non prevede il sì a che Kiev utilizzi armi occidentali in territorio russo, linea più volte ribadita nelle ultime settimane dalla segretaria Schlein dai palchi delle varie feste dell’Unità.

«Quel che ci unisce è che il Pd continuerà a sostenere l’Ucraina anche a livello militare – spiega al Dubbio un parlamentare dem – La nostra è una posizione netta rispetto ad esempio a M5S e Avs, poi certo sul tema dell’uso delle armi il Nazareno mi sembra molto cauto mentre altri esponenti sottolineano l’urgenza di sostenere l’Ucraina in ogni modo, anche permettendogli di colpire in territorio russo».

Posizione quest’ultima condivisa dai centristi di Azione e Iv, con Carlo Calenda che accusa «la politica italiana, tutta» di voler continuare «come Orban, a far combattere gli ucraini con una mano legata dietro la schiena», esprimendo «vergogna».

«Appare di tutta evidenza che alleati e partner intendano fornire un chiaro segnale all’Italia, rimasta sola insieme con l’Ungheria a sostenere tesi finalizzate a negare all’Ucraina il diritto di colpire nel territorio russo – ha spiegato ieri il capogruppo di Iv in Senato Enrico Borghi dopo la notizia dell’esclusione di Roma da una riunione tra partner occidentali proprio sull’Ucraina –

È indispensabile una correzione di rotta per scongiurare l’innesco di un progressivo e pernicioso isolamento internazionale dell’Italia: per questo abbiamo presentato un’interrogazione urgente e riteniamo che la Premier debba venire in aula ad affrontare il tema».

Ma Tajani, che ieri ha incontrato a Roma lo speaker della Camera dei Rappresentanti Mike Johnson ribadendo «che l’amicizia con gli Stati Uniti è al centro della politica estera del governo» e la «forte convergenza e collaborazione tra Italia e Stati Uniti sui principali temi internazionali», compresa l’Ucraina, continua tuttavia sulla linea del «l’Italia non è in guerra con la Russia».

Una linea che lo stesso senatore dem Sensi definisce sintomo di «un raffreddamento» del sostegno a Kiev da parte di tutto l’Occidente, governo italiano compreso. «Tajani ha una posizione cauta e prudente figlia di un partito che sulla Russia ha una visione di lunga durata – aggiunge Sensi – della Lega è anche inutile parlare, mentre mi pare che la posizione di Meloni regga, ma in silenzio».