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Il “Foglio” a Conte, fu lui ad aumentare le spese militari

di Giovanni Curzio

“Cancellare ovviamente non vuol dire abolire. 

E l’idea di cancellare il M5s evocata da Calenda non ha niente a che vedere con l’idea grillina di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno (non ricordiamo quale partito abbia legittimato in politica il vero turpiloquio eversivo: ci aiutate voi?). E’ qualcosa di più interessante.

Significa spingere ai margini del dibattito o dell’influenza il M5s. Significa ridimensionare il populismo. Abbiamo visto che l’altro ieri il presidente Giuseppe Conte si è indignato per la domanda che abbiamo posto sui nostri social agli studenti universitari, domanda che come sapete facciamo ogni settimana (le migliori risposte le pubblichiamo sulla newsletter ”Situa” e sul sito del Foglio: si scrive qui, in 2000 battute, a situa@ilfoglio.it). Nostra domanda: ‘Come si fa a cancellare politicamente il M5s? E soprattutto, è utile per la sinistra?’”.

Questa la sintesi di una risposta alle lettere del direttore Claudio Cerasa, pubblicata sul Foglio di oggi, che risponde alle polemiche sollevate dal presidente del M5s, Giuseppe Conte, in merito a una domanda posta agli studenti universitari: ‘Come si fa a cancellare politicamente il M5s? E soprattutto, è utile per la sinistra?’. “Conte ha detto, commentando la nostra domanda, che ‘il partito trasversale delle armi sta affilando i propri strumenti per contrastare chi non la pensa in questo modo’ – aggiunge -.

Rispetto al tema del partito delle armi, forse, il M5s ha evidentemente cancellato prima di Calenda un pezzo della sua storia, dato che fu proprio Giuseppe Conte, durante il suo mandato come presidente del Consiglio, a sottoscrivere dichiarazioni congiunte nei vertici Nato del 2018 a Bruxelles e del 2019 a Londra, durante le quali impegnò l’Italia ad aumentare le spese per la difesa destinando il due per cento del Pil.

Conte probabilmente lo ha cancellato, ma a Londra nel 2019 firmò questo documento da premier: ‘Siamo determinati a condividere i costi e le responsabilità della nostra sicurezza indivisibile. Attraverso il nostro impegno, stiamo aumentando i nostri investimenti nella Difesa in linea con le sue linee guida del 2 per cento e del 20 per cento, investendo in nuove capacità e contribuendo con più forze alle missioni e alle operazioni’”.

“Politicamente parlando, in verità, per chi auspica che il centrosinistra possa tornare a vincere il M5s più che cancellarlo bisognerebbe ridimensionarlo. E lo scenario di uno spazio al centro non dipende- conclude Cerasa- solo dall’erosione degli estremi, a destra e a sinistra, ma dipende dalla semplice risposta a una domanda: c’è in Italia un leader, che ancora non vediamo, che potrebbe pensare di creare una nuova dialettica civile e politica provando a parlare più a chi si oppone agli estremi che a chi li alimenta?”.

Ieri il leader M5s aveva attaccato il Foglio con queste parole: “Bella culla del pensiero liberale del confronto democratico: un giornale che dovrebbe avere a cuore la libertà di stampa. Siamo di fronte a un giornale che gode di lauti contributi pubblici per sostenere il pluralismo? No. Per sostenere la libertà di associazione, di libera espressione? No. Intolleranza allo stato puro”.

La crociata dei sovranisti contro Bruxelles (corriere.it)

di Massimo Franco

La Nota

Sta diventando chiaro che il bersaglio del sovranismo europeo dopo la condanna di Marine Le Pen non sarà la giustizia francese, ma la maggioranza che governa l’Ue.

Né è un paradosso che la presidente della Commissione sia una esponente del Ppe, Ursula von der Leyen; o che buona parte degli europarlamentari provengano da partiti di centrodestra o di destra, con una preclusione solo verso l’estremismo dei Patrioti. Quanto avviene sembra una coda del conflitto per il dominio di un elettorato contiguo. Con Donald Trump nel ruolo di protettore di queste forze insieme con Elon Musk.

È la grande ombra che domina l’Europa alla vigilia dei dazi imposti dalla Casa Bianca alle merci del Vecchio Continente. Le convergenze che riaffiorano riflettono la subalternità dell’estrema destra alle priorità dettate dagli Stati uniti.

È difficile non condividere le parole della premier Giorgia Meloni quando dice al Messaggero che non si può «gioire» quando una sentenza mette fuori gioco la leader di un grande partito come il Rassemblement National.

Ma è un’affermazione diversa da quella del suo vice, il leghista Matteo Salvini, secondo il quale si è trattato di una «dichiarazione di guerra di Bruxelles»: un modo per spostare il tiro dalla Francia all’Ue, come se fosse partito da lì un presunto complotto contro la leader dell’ultradestra, accusata di appropriazione indebita di fondi pubblici.

Non a caso ieri lo stesso Trump ha sostenuto che quanto è accaduto somiglia all’attacco giudiziario subito da lui in questi anni negli Usa. Il paragone, però, rende controverso l’effetto della decisione di Parigi.

Non è chiaro se avvantaggerà Le Pen come ha favorito Trump nel ruolo di vittima. È chiaro solo che fornirà argomenti alle forze tese a delegittimare le istituzioni di Bruxelles; e a chi ritiene che il primato della politica non debba essere mai condizionato da quello giudiziario.

Sullo sfondo, riaffiora la volontà di appoggiare qualunque strategia della Casa Bianca per indurre l’Ucraina a accordarsi con la Russia di Vladimir Putin. Su questo punto, il «pacifismo» si intreccia e si mescola, dalla Lega al M5S e Avs, lambendo il Pd.

Ma a preoccupare è soprattutto un governo in ordine sparso. L’offensiva contro la Commissione Ue riflette anche la volontà leghista di incrinare i rapporti tra Palazzo Chigi e von der Leyen. Sulle armi l’Ue «va contromano», ripete Salvini. E sui dazi: «Vendicarsi di Trump? Se von der Leyen ha usato questo verbo è stata una scelta infelice».

Il tentativo di evitare una guerra commerciale Ue-Usa è sacrosanto. Ma perfino nella Lega c’è chi condivide l’inquietudine generale per i riflessi sull’economia.

“Come hai fatto a farci perdere 200 miliardi col Superbonus”. Luca e Paolo affondano Conte

di

Luca e Paolo irridono il presidente del M5s per 
il banale populismo dei "sensi di colpa" nel 
video di promozione della manifestazione del 
5 aprile a Roma

Giuseppe Conte sta spendendo molte energie per promuovere la manifestazione di Roma del 5 aprile contro il riarmo.

Manifestazione che però nasce sotto una cattiva stella, almeno a livello politico, visto l’endorsement di Rita De Crescenzo, la tiktoker napoletana che ha invaso Roccaraso e che ora ha chiamato a raccolta le sue “truppe” per lo sbarco nella Capitale, facendo perdere credibilità alla manifestazione.

Ci sarò io davanti allo striscione e voi tutti dietro di me […] Si stanno organizzando treni e pullman dalla stazione centrale di Napoli, tutto gratis, dice l’influencer in uno dei tanti video che ha pubblicato online e che sono finiti anche su La7 nella copertina di DiMartedì di Luca e Paolo, che non hanno mancato di tirare bordate ficcanti all’ex presidente del Consiglio Conte.

Conte ha pubblicato un video in cui fa appello ai sensi di colpa dei genitori“, esordisce Bizzarri presentando il video del presidente del Movimento 5 stelle. “Immaginate un domani, mio figlio mi chiederà: ‘Ma tu c’eri? Cosa hai fatto? Avevi anche un ruolo’. Oppure anche: ‘Papà, mamma, tu non hai un ruolo, ma cosa hai fatto quando si è deciso per 800miliardi nelle armi? Quando si è deciso che l’Europa doveva abbracciare la via della transizione militare“, dice Conte nella breve clip mandata in onda, permeata di populismo, durante la quale i due attori non riescono a trattenere i commenti su quanto detto.

A parte che, da genitori ci sono domande peggiori a cui rispondere, tipo: ‘Papà come nascono i bambini?’. Oppure un’altra: ‘Papà come hai fatto a farci perdere 200miliardi col Superbonus?‘”, è l’attacco di Paolo Kessisoglu, con una battuta ha smontato il teorema di Conte che sfilerà in piazza a Roma con Rita De Crescenzo, ma anche con Alessandro Barbero.

Qui siamo tutti vassalli e il professore andrà e parlerà“, commentano i due attori nella copertina di DiMartedì, che poi aggiungono: “Ma con Barbero, Rita De Crescenzo, cosa si dicono? Cosa si dicono quei due lì?“. Una domanda legittima davanti alle continue storie dell’influencer che promuove la manifestazione ma sostiene di non essere mai stata contattata dal Movimento 5 stelle.

Ma una domanda sorge spontanea, vista la sponsorizzazione che l’influencer sta facendo sui social dei pullman gratis: chi paga?

Domanda che per il momento cade nel vuoto, in attesa di qualche chiarimento.

Il grottesco saluto di Schlein alla manifestazione di Conte, e il trionfo del populismo (linkiesta.it)

di

La sinistra disfatta

Sabato il Pd manderà i suoi dirigenti nella piazza della resa a Putin, dimostrando di non sapersi sganciare da chi maneggia la peggiore demagogia destrorsa e minaccia il mondo democratico

Nel sabato del grande ritorno gialloverde, con la manifestazione contiana a Roma e il congresso salviniano a Firenze, spuntano anche macchioline rosse a imbrattare la tavolozza populista-putinista che, come tale, è di destra.

Tralasciamo qui i veterocomunisti – se Giancarlo Pajetta fosse vivo li sbranerebbe – tipo Vauro, Pino Arlacchi, Moni Ovadia, Raniero La Valle, Roberta De Monticelli – che aderiscono all’adunata dell’avvocato del popolo perché contrari «ad attribuire alla Federazione russa il ruolo del nemico».

E neppure ironizziamo più di tanto sulla guest star Barbero professor Alessandro che parlerà dal palco senza ricordarsi – lo ha finemente notato Nicola Mirenzi sul Foglio – del suo maestro, il grande storico Marc Bloch che nel 1940 scriveva: «Ai pacifisti piaceva giocare con le parole e forse avendo perduto l’abitudine a guardare in faccia i loro pensieri si lasciarono prendere nelle reti dei loro stessi equivoci» (“La strana disfatta”).

Più importante è invece soffermarsi sulla presenza nella piazza contian-travagliana dei dirigenti del Partito democratico mandati in loco da Elly Schlein, che forse ci sarà anche lei per un bagnetto di folla, un saluto lo chiamano, come un’adolescente che passa il sabato pomeriggio al baretto degli amici, ma ci pensasse bene perché qualche fischio potrebbe pure partire.

Il Partito democratico infatti va ovunque. Questa partecipazione dei giovani dirigenti del Pd (sempre per la serie: Pajetta se fosse vivo li sbranerebbe) bissa quella dei medesimi dirigenti alla manifestazione del 15 marzo convocata da Michele Serra, che pur con una certa dose di ambiguità era sanamente schierata con l’Europa, per la sua difesa contro l’attacco congiunto Trump-Putin, per l’Ucraina, dunque esattamente il contrario dello spirito dell’iniziativa di Conte che è contro la politica di difesa dell’Unione europea così come è compendiata nella relazione approvata mercoledì dal Parlamento europeo anche con il voto favorevole del Partito democratico – che però vi è giunto dopo aver detto no al piano ReArm Europe poi recepito nel testo finale.

Ma non si può rendere un saluto a chi fa leva sulle paure sdoganando parole d’ordine populiste («i soldi non per le armi ma per gli ospedali») e falsamente pacifiste di chi ha ballato il valzer con la Russia in vari momenti e in diverse occasioni documentate mille volte da Linkiesta: Vladimir Putin, è persino triste doverlo ribadire, è un nemico della democrazia.

Il Partito democratico non si limiti a «giocare con le parole», come i pacifisti raccontati da Marc Bloch. Questa è una generazione di dirigenti del Nazareno ormai abituata a trucchetti, astensioni, assenze al momento del voto e supercazzole varie, nonché avvezza a sfidare la logica andando in una piazza che ripudiando la politica di difesa europea esprime il contrario di quello che loro stessi hanno votato due giorni fa.

E ci vanno in omaggio alla politica dell’occhiolino da strizzare al vecchio «punto di riferimento fortissimo dei progressisti», cioè a quel Conte-anguilla che sguscia di qua e di là e che bisogna perciò bloccare in una scatoletta di tonno giallorossa, intanto per vincere le prossime regionali e poi le politiche con un programma tutto salario minimo e stipendi per tutti.

Ma questa subalternità al trasformismo è un record da matti, una cosa inimmaginabile nella storia della sinistra italiana e europea. Altro che saluto, è la malattia mortale della politica che sabato esalerà in una pubblica piazza.

Nordio e i femminicidi: «Altre etnie non hanno la nostra stessa sensibilità» (ilmanifesto.it)

di Mario Di Vito

Davanti ai femminicidi di Ilaria Sula a Roma e 
Sara Campanella a Messina, fino a ieri dal 
governo non erano discesi commenti particolari. 

Poi, durante un convegno a Salerno, ci […]

Davanti ai femminicidi di Ilaria Sula a Roma e Sara Campanella a Messina, fino a ieri dal governo non erano discesi commenti particolari. Poi, durante un convegno a Salerno, ci ha pensato il ministro della Giustizia Carlo Nordio a rimediare.

Con un intervento a metà tra Cesare Lombroso e la giuria del Buio oltre la siepe: «Purtroppo il legislatore e la magistratura possono arrivare entro certi limiti a reprimere questi fatti che si radicano probabilmente nell’assoluta mancanza non solo di educazione civica ma anche di rispetto verso le persone, soprattutto per quanto riguarda giovani e adulti di etnie che magari non hanno la nostra sensibilità verso le donne».

La questione etnica evocata da Nordio, verosimilmente, riguarda il caso Sula, dal momento che l’uomo che ha confessato il delitto, il 23enne Mark Sampson, è di origine filippina. È così che la morte di una 22enne per mano del suo ex si tinge di razzismo, nell’ennesimo caso di qualunquismo social che esce dagli smartphone e si proietta sull’esecutivo.

«Abbiamo fatto il possibile sia come attività preventiva per incentivare il codice rosso e accelerare i termini sia nell’aspetto repressivo – ha detto ancora il ministro – abbiamo addirittura introdotto il reato di femminicidio che ci è costata anche qualche critica. È questione di educazione, serve un’attività a 360 gradi, educativa soprattutto nell’ambito delle famiglie dove si forma il software del bambino».

Da notare, in questa parte del discorso, che la parte sull’educazione stride fortemente con quella precedente, dove si rivendica l’istituzione del femminicidio come reato autonomo, perché risolvere le questioni a colpi di codice penale è l’esatto opposto di fare un’operazione culturale utile a costruire «il software del bambino» (ma magari anche di chi un po’ è cresciuto).

AD OGNI MODO, tra gli imbarazzi del dibattito istituzionale e le migliaia di persone che organizzano manifestazioni e partecipano ad assemblee, le indagini sul femminicidio di Ilaria Sula vanno avanti. Ieri è stata effettuata l’autopsia sul corpo della giovane, utile soprattutto a determinare l’ora della sua morte. Da una prima ricognizione dei patologi, risulta che almeno tre delle coltellate dell’assassino siano state sferrate al collo.

Non è stata ancora trovata l’arma del delitto, che nell’interrogatorio fiume cominciato martedì notte e finito mercoledì pomeriggio, Samson ha detto di aver buttato all’interno di un tombino. In compenso dalla perquisizione effettuata dalla squadra mobile di Roma in via Homs 8, casa dei Samson e probabilmente anche luogo del delitto, sono state repertate diverse macchie di sangue localizzate nella stanza da letto di Mark.

Il materiale è a disposizione dei biologi della polizia che effettueranno tutte le analisi del caso. Resta ancora sospesa la posizione dei genitori del reo confesso: non sono stati iscritti del registro degli indagati e tutto dipende dalla ricostruzione di quanto accaduto tra le 22 di martedì 25 marzo – quando Ilaria Suma sarebbe arrivata nell’appartamento – e le 18 del giorno successivo, quando una telecamera ha identificato nel territorio comunale di Poli, sulla strada provinciale 45B, l’automobile utilizzata da Mark Samson per trasportare il corpo della vittima all’interno di una valigia, per poi buttarlo in un burrone a circa mezzo chilometro di distanza dalla carreggiata.

Gli inquirenti, guidati dal procuratore aggiunto Giuseppe Cascini, sono impegnati a capire se i genitori del 23enne si fossero accorti del delitto avvenuto sotto il loro stesso tetto e, soprattutto, se abbiano in qualche modo collaborato all’occultamento del cadavere. Impossibile, visto il vincolo di parentela, la contestazione del favoreggiamento, ma questo non esclude la possibilità che si arrivi a ipotizzare il concorso in altri reati.

OGGI, nel carcere di Regina Coeli, si terrà l’interrogatorio di convalida dell’arresto di Mark Samson. A lui sono stati contestati i reati di omicidio volontario e occultamento di cadavere aggravati dal vincolo affettivo.