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L’Ue minaccia “gravi conseguenze” per la celebrazione della Repubblica serba di Bosnia (euronews.com)

di Mared Gwyn Jones

L'Unione europea lancia l'allarme sulle 
celebrazioni previste nella Repubblica serba di 
Bosnia ed Erzegovina, proclamata il 9 gennaio 
del 1992

La cosiddetta “Giornata della Republika Srpska” celebra la proclamazione dell’indipendenza avvenuta nel 1992, durante la disgregazione della Jugoslavia, accompagnata da sanguinose guerre civili. La commemorazione, che coincide con una festività religiosa ortodossa, è stata ritenuta incostituzionale dalla Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina perché discrimina i cittadini non serbi.

La Republika Srpska, la cui popolazione di 1,2 milioni di persone è composta per lo più da serbi cristiani ortodossi, è una delle due entità della Bosnia-Erzegovina. La seconda entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, è composta in maggioranza da bosgnacchi e croati.

Le celebrazioni inoltre si inseriscono in un contesto di crescenti tensioni: il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik ha intensificato le minacce di secessione dallo Stato a cui appartiene formalmente, suscitando preoccupazione a livello internazionale. Dodik ha giurato di “dichiarare la piena indipendenza” delle regioni controllate dai serbi qualora le democrazie occidentali tentassero di intervenire nelle istituzioni del Paese.

“L’integrità territoriale e l’ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina devono essere mantenuti. Qualsiasi azione contraria a questi principi porterà a gravi conseguenze”

 Peter Stano 
Portavoce Commissione europea Affari esteri

La posizione europea

La Commissione europea ribadisce l’opposizione a qualsiasi atto che minacci l’integrità territoriale del Paese balcanico.

“La Corte costituzionale del Paese ha già sentenziato due volte, nel 2015 e nel 2019, che la legislazione sulla ‘Giornata della Republika Srpska’ non è in linea con la Costituzione della Bosnia-Erzegovina”, ha dichiarato Peter Stano, portavoce per gli Affari esteri della Commissione.

“L’Unione europea ha sempre sottolineato che la sovranità, l’integrità territoriale e l’ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina devono essere preservati. Qualsiasi azione contraria a questi principi porterà a gravi conseguenze”.

Alla vigilia delle celebrazioni, gli Stati Uniti hanno fatto volare jet da combattimento F16 sopra la Bosnia-Erzegovina in segno di sostegno. L’ambasciata statunitense a Sarajevo ha anche chiesto un’indagine sui festeggiamenti e detto che “non esiterà” ad agire in risposta ad atti che violano l’accordo di pace di Dayton del 1995, che riunificò la Repubblica serba nello Stato della Bosnia ed Erzegovina.

Adnan Ćerimagić, analista del think tank European Stability Initiative, dice a Euronews che, il comportamento di Dodik, unito a un ambiente geopolitico in rapida evoluzione, merita ora l’attenzione internazionale.

“L’idea di dividere la Bosnia-Erzegovina in tre territori monoetnici non è nuova, ora però Dodik ha il sostegno non solo della Serbia, ma anche dall’esterno”. Questo sostegno, spiega l’analista, arriva da alcuni membri dell’Ue e della Nato come l’Ungheria. “Il primo ministro ungherese Viktor Orbán è stato decorato nell’ambito delle celebrazioni della Giornata della Republika Srpska”.

Un futuro in bilico

Anche il presidente serbo Aleksandar Vučić ha dato il suo sostegno alla causa, promettendo fuochi d’artificio nella capitale Belgrado in segno di sostegno alle celebrazioni della Republika Srpska.

“Tendiamo a pensare che questa alleanza tra Vučić e Dodik sia naturale ed esplicita, ma direi che non lo è”, afferma Berta López Domènech, analista politica esperta della regione all’European Policy Centre. “Vučić non ha sostenuto esplicitamente la secessione della Republika Srpska perché sa che oltrepasserebbe una linea rossa nelle sue relazioni con i partner occidentali, come l’Ue”.

Secondo Ćerimagić, il governo di Belgrado potrebbe usare la sua capacità di contenere una potenziale escalation di tensioni in Bosnia-Erzegovina come “merce di scambio” nel dialogo con i partner occidentali che stanno esaminando i recenti risultati delle elezioni parlamentari di dicembre, inficiate da accuse di brogli elettorali.

La Bosnia-Erzegovina è un candidato ufficiale all’adesione all’Unione europea dal dicembre 2022, ma l’avvio dei colloqui di adesione è stato bloccato da divisioni etniche profondamente radicate e da ritardi nelle riforme costituzionali, giudiziarie ed elettorali. Nell’ultimo Consiglio europeo, i capi di Stato e di governo hanno concordato l’apertura dei negoziati “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”.

Ma entrambi gli esperti temono che l’atteggiamento sempre più aggressivo di Dodik e della coalizione al governo della Republika Srpska possa avere implicazioni per la candidatura. “Per alcuni Stati membri una condizione per avviare i colloqui di adesione è che la coalizione al governo della Republika Srpska torni sui suoi passi rispetto a quanto fatto negli ultimi due anni”, dice Ćerimagić. “Milorad Dodik ha una sorta di potere di veto sul percorso di adesione della Bosnia ed Erzegovina all’Ue”.

López Domènech invece ricorda che “festeggiare una giornata che celebra un genocidio non è chiaramente in linea con le priorità dell’Unione Europea”.

Delmastro, il filo rosso con la iella del sottosegretario (tra liti e guasconate, poi l’inciampo su Cospito) (corriere.it)

di Roberto Gressi

Slanci futuristi e un processo per diffamazione. 

Gli infortuni del meloniano della prima ora, fino alla bufera per lo sparo alla festa di capodanno

Andrea Delmastro Delle Vedove, cognome chilometrico. La tentazione di aggiungere «Serbelloni Mazzanti Viendalmare» è di una malignità gratuita che manco Lucignolo, perché nulla lo accomuna alla contessa di fantozziana memoria.

Se non la sfortuna, la iella e quel malocchio che non se ne va nemmeno con il sale, con l’aglio e con le litanie in dialetto. «Capovaro, posso andare?», cantilena la contessa. E nell’ordine abbatte con la bottiglia di champagne il rag. Ugo (due volte), il sindaco, il ministro della Marina mercantile e una baronessa.

Sfortuna, che te lo eri orchestrato bene il giochetto con il tuo compagno di stanza. Te ne stai lì, in cucina, con Donzelli che fa il caffè e gli dici: «Dai, Giovanni, metticela un po’ di miscela, che sennò viene acqua acqua». E intanto, mentre aspetti che esca, gli racconti delle registrazioni di Cospito al 41 bis. Donzelli abbocca, o fa finta di abboccare, e le sciorina a Montecitorio. Apriti cielo, ti ritrovi le opposizioni che chiedono le dimissioni da sottosegretario alla Giustizia e un rinvio a giudizio per rivelazione del segreto d’ufficio.

Iella. Chiami «Capitan Fracassa» il procuratore della Corte dei conti che aveva aperto un fascicolo sull’assessora regionale di FdI, Elena Chiorino, che aveva deliberato l’acquisto di libri sulla storia di un martire delle foibe da donare alle scuole, poi bloccato per Covid, e ti tocca un processo per diffamazione.

Ti carichi due bustoni di cibo rimasto dal cenone da infilare in macchina ché, «ragazzi, io ve lo dico, il pranzo del primo dell’anno ve lo fate con gli avanzi». E in tua assenza un deputato di FdI, che sì, lo conosci, ma amico poi, neanche per sogno, e quello si mette a mostrare una pistoletta con il colpo in canna. Piccola, sì, ma che spara proiettili veri, e non si sa come azzoppa un commensale. Ambulanza, polizia, carabinieri, bufera politica. E questo, scusate, è proprio malocchio.

Andrea Delmastro Delle Vedove nasce in quel di Gattinara 47 anni fa, il 22 ottobre, giusto in tempo per infilarsi in zona Cesarini nel segno della Bilancia. I Bilancia, si sa, apprezzano il ragionamento e il pensiero, rifiutano i contrasti accesi e violenti, sono abili nel trovare soluzioni pacifiche, detestano la maleducazione e ricercano la galanteria. Che certo non vuol mica dire essere remissivi.

Pare che nei corridoi di Montecitorio lo chiamino simpaticamente «Satanello». Energico e un po’ guascone, appassionato, romantico, futurista, cresciuto in compagnia della generazione Atreju, la costola di Fratelli d’Italia di stretta osservanza meloniana. Di Giorgia è stato anche avvocato, fino a che la nomina a sottosegretario non l’ha portato a sospendere la sua iscrizione all’Ordine professionale di Biella.

Strali memorabili contro «dj Fofò» Bonafede, verso Roberto Speranza, «i cui neuroni concepiscono solo chiusure», Laura Boldrini che fa «pipponi sul sessismo» e l’odiato Cts, il Comitato tecnico scientifico dei tempi del Covid, che una volta in Aula disse di voler prendere «a calci nel culo».

«Porto in Parlamento l’anima profonda del popolo italiano — ha raccontato al Giornale.it — e per farlo a volte bisogna preferire il linguaggio di verità a un linguaggio consono. E dopo un anno in cui gli italiani sono stati incarcerati senza pena e senza colpa su suggerimento del Cts, beh: ce n’era a sufficienza per suggerire al ministro di cacciarli a pedate nel didietro».

Quando Giorgia Meloni, nel 2012, fonda Fratelli d’Italia, non si cura dei rischi: «Fu una chiamata alle armi, cui si risponde come Garibaldi col Re: obbedisco, e basta. Perché era quello il posto migliore dove ricostruire la destra o comunque il più onorevole dove cercare la bella morte».

Eh sì, qualche volta gli scappa la mano. Come quella volta ad Aosta, a un incontro di FdI, quando spiegò che è necessaria una riforma del Consiglio superiore della magistratura che «preveda di spezzare le reni al correntismo cancerogeno che lede anche l’onorabilità della magistratura».

Poi, come in ogni biografia che si rispetti, anche un po’ di aneddotica, dove cronaca, storia e leggenda si confondono. Giovane universitario a Torino si finge comunista e si imbuca in un raduno di sinistra, e lì cerca di sostituire i cartelloni di Mao con altri fatti da lui con la foto di Gabriele d’Annunzio, resistendo eroicamente al tentativo di linciaggio. E a Viterbo, nel 2004, al congresso di Azione Giovani. Amante della velocità, sia in auto che in moto, nel segno del Futurismo, si era fracassato una gamba.

Pure in sedia a rotelle cercò di lanciarsi contro Giovanni Donzelli, tra le risate, per risolvere con i fatti una disputa sull’Islam. Sfida anche con Roberto Fico, allora presidente della Camera. Fratelli d’Italia aveva srotolato in Aula una lunga bandiera italiana e Fico aveva chiesto ai commessi di rimuoverla. Delmastro se ne impossessò, dribblò i commessi e si barricò in una stanza gridando: «Fico! Non avrai mai il mio tricolore!».

Insomma, un combattente, di quelli che magari averceli, in squadra. Non fosse per la sfiga. E il 2024 è pure bisestile.