La (panchina) Russa (corriere.it)

di Massimo Gramellini
IL CAFFÈ

Prendiamo naturalmente per buona la spiegazione di Ignazio La Russa.

La spennellata di tricolore sulla panchina rossa installata nei giardini del Senato non intende affatto suggerire che in Italia le donne vengono uccise quasi esclusivamente dai migranti clandestini (i famigerati Filippalì Turettah e Im-Paghna-Thiel-Loh). Il senso di quel bianco e verde aggiunti al rosso, cito il presidente del Senato, è che «la questione deve appartenere a tutta l’Italia».

Ma perché, fino a ieri la panchina simbolo mondiale dei femminicidi apparteneva solo a una parte d’Italia? E a quale, di grazia? Le donne, i comunisti, i daltonici?

Capisco che La Russa, appena vede qualcosa di rosso, parte alla carica come un toro. Ma nel caso specifico la panchina rossa non rimanda alla bandiera omonima, ma al sangue versato dalle vittime e indica il vuoto lasciato dalla donna uccisa nella comunità.

Non è una panchina di sinistra, non ci si siedono sopra gli iscritti del Pd, i partigiani dell’Anpi e i sindacalisti della Cgil. Ma soprattutto non è una panchina italiana. La si può trovare, altrettanto rossa, in Estremo Oriente come in America Latina. La politica, per una volta, non c’entra niente.

E invece è proprio il tricolore che ce la fa rientrare, perché pianta una bandierina su una campagna universale, trasformandola in una rivendicazione nazionale che a qualcuno, La Russa lo perdoni, sembrerà addirittura sovranista.

La consigliera Silvia Cestaro in Aula rivela gli abusi: «So cos’è la violenza, l’ho vissuta» (open.online)

di Felice Florio

La rivelazione personale della politica ha scosso 
l’assemblea di palazzo Ferro Fini, che ha approvato 
la nascita di una struttura presieduta da 
Gino Cecchettin

È passato un anno dalla morte di Giulia Cecchettin. L’11 novembre 2023, la studentessa padovana fu assassinata dall’ex fidanzato, Filippo Turetta. Dal giorno dell’omicidio, la famiglia di Giulia ha fatto in modo che il contrasto alla violenza di genere diventasse un tema centrale nell’agenda politico-culturale del Paese.

Sono nate diverse iniziative su impulso della famiglia Cecchettin e della sua storia. Ad esempio il Consiglio regionale del Veneto, il 19 novembre, ha attivato un Osservatorio sulla violenza contro le donne. A presiederlo ci sarà il padre di Giulia, Gino Cecchettin.

La proposta di legge è stata presentata dal Partito democratico, ma ha trovato il favore anche nei banchi della maggioranza di centrodestra. C’è stato un momento in cui l’Aula è rimasta sospesa in silenzio, attonita di fronte alla testimonianza della consigliera regionale Silvia Cestaro: «So cosa vuol dire la violenza. È difficile dirlo. Questa cosa l’ho vissuta di persona, quando ero ragazza».

«Ti arriva da chi non ti aspetti, da chi ti sta vicino. Ti arriva dalle persone che dovrebbero difenderti»

Una rivelazione profondamente intima che la sindaca di Selva di Cadore, eletta nella lista Zaia a palazzo Ferro Fini, ha deciso di condividere con i colleghi consiglieri: «Ho pensato molto prima di fare questo intervento, perché volevo riportare sul piano pratico la cosa. È difficile raccontarlo. L’ho vissuto di persona quando ero una ragazza, so cosa vuol dire la violenza. Lo so perché ti arriva inaspettata. Ti arriva da chi non ti aspetti, da chi ti sta vicino. Ti arriva dalle persone che dovrebbero difenderti: non in casa, ovviamente, fuori casa. L’ho vissuta, purtroppo, negli anni, con tante amiche e tante persone che hanno subito violenza».

Il suo discorso, arrivato dopo quattro ore di dibattito, è intervallato da diverse pause. Cestaro ha cercato di rappresentare, con la sua storia, le difficoltà che le donne possono incontrare prima di riuscire a reagire a una violenza.

«Può capitare a chiunque»

«Quello che posso dire personalmente è che non c’è una rete di protezione, perché chi ti sta vicino molto spesso non ti ascolta, oppure si tu che non vuoi parlare perché ti senti in colpa. Ti senti impura. Immagino che anche Giulia, quando ha parlato coi suoi, con suo padre, con la sua famiglia, coi suoi amici, abbia provato a chiedere aiuto. Ma molto spesso si banalizza. Quante volte ci si sente dire: “Sai, i ragazzi sono esagerati, sarà innamorato, per questo ti tiene stretta a sé”.

Non è così. La realtà è che queste persone sono di un egoismo estremo, ritengono che tu sia a loro disposizione, che tu possa essere un loro oggetto», ha concluso Cestaro. «Non dipende dalla famiglia. Vi posso assicurare che può capitare a chiunque. Molto spesso sono persone che hanno dei genitori meravigliosi, ai quali non hai neanche il coraggio di dire ciò che hanno fatto i figli, perché sai che rovinerai loro la vita». Mentre «può capitare che persone che vengono da famiglie terribili siano quelle che invece ti accolgono, ti ascoltano, ti danno supporto».