L’angolo fascista
Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
Tutte le condanne di Marco Travaglio
Maurizio Belpietro, La Verità e le condanne – Diario
Procedimenti giudiziari per Pietro Senaldi
Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
Tutte le condanne di Marco Travaglio
Maurizio Belpietro, La Verità e le condanne – Diario
Procedimenti giudiziari per Pietro Senaldi
Caro Mario,
parto dalle tue conclusioni, con le quali (ohibò!) concordo: due anni dopo siamo al punto di partenza.
Nel senso che nessun problema strutturale del paese è stato finora affrontato dal governo in carica con il passo necessario, che dovrebbe avere la potenza e la velocità di un razzo di Musk. Perché il nostro paese, tra quelli europei, ha il più basso tasso di crescita della produttività non da ieri, ma dal 2000 (0,4% contro l’1,5% medio del continente).
E la vecchia Europa (il cui PIL, da qui a 20 anni, scenderà dal 15% al 10/12% del PIL globale) è l’epicentro dell’Occidente aggredito, oltre che da chi ci fa direttamente la guerra, dal mondo BRIC che cresce alla velocità della luce.
I dati fuorvianti
In questo quadro, che vuoi che faccia il governo Meloni? Certo, neppure ci prova. Si balocca con dati fuorvianti, il principale dei quali – quasi l’unico – è che l’occupazione italiana cresce (vero), ma è mal pagata e sempre meno qualificata, con i giovani bravi che scappano via dal paese; altri dati incoraggianti non ne conosco.
Mentre il governo, nelle sue varie articolazioni, sa usare, con addestrata esperienza, i più classici argomenti securitari (immigrati alle porte, città insicure, cancerose nostalgie verso un passato idealizzato) per dirottare le paure generate dalle trasformazioni (digitalizzazione, tecnologie, IA… Insomma la modernità in marcia) verso obiettivi di comodo: l’”altro” da noi, il diverso pronto a scardinare la nostra civiltà, e la solita sinistra nemica della triade Dio-Patria-Famiglia, emissaria delle élites che non si rassegnano al governo degli underdogs (e poco male se, al di là della Meloni, parecchi di questi underdogs sono brocchi veri).
Solo governi Renzi e Draghi avviato cambiamenti strutturali
Bene, qui finisce la filippica, buona per riempire il vuoto delle chiacchiere tra conoscenti perbene. E poi? Poi, per onestà, dobbiamo anche dirci che nei 25 anni di non-crescita e progressiva depressione dell’Italia ci sono stati governi di centro-sinistra (o tecnici equiparabili) per una dozzina d’anni e di centro-destra per 10.
E, sempre per onestà, dobbiamo aggiungere che nessun governo ha messo in moto nessuno di quei cambiamenti strutturali indispensabili (da fondare sulla triade libertà-mercato-mondo, altro che quell’altra…). Salvo (giudizi miei) il governo Renzi, scalzato per la sua ingenua arroganza giacobina, e il breve regno del supertecnico Draghi, che personalmente ancora rimpiango.
Tu potresti controbattere che questo è il passato, e che – visti i risultati non brillanti della Meloni – sarebbe comunque il caso di puntare, magari a breve, a costruirle un’alternativa, iniziando a pressarla su quello che non fa, mettendo su una coalizione alternativa ragionevole, un programma credibile e bla bla bla… Ma mi parleresti di cose che palesemente non si stanno facendo, dalle parti di Elly e della sua squinternata band.
E comunque il punto, caro Mario, non è neppure questo: il fixing dei rapporti tra Schlein, Conte, Fratoianni, Renzi &C è l’ultimo dei problemi, a mio avviso. Il punto è che, dopo 25 anni di incalzante trasformazione del mondo e di parallelo declino dell’Italia, si può legittimamente arrivare alla conclusione (provvisoria come tutte le cose della vita, ma al momento piuttosto condivisa nel comune sentire) che non è dall’alternarsi di coalizioni e partiti che ci si può aspettare un cambio di rotta, un’inversione di tendenza del piccolo pezzo di pianeta che abitiamo.
Dopo 25 anni dare stabilità e credibilità a sistema Italia
L’unica remota possibilità di migliorare le cose, sul medio-lungo periodo, sarebbe dare al sistema-Italia un minimo di stabilità e credibilità in più, magari unendo le forze, non organizzando gli eserciti contrapposti: ma questo, più che una speranza, è un sogno.
Mentre la sfida più concreta, stimolante e appassionante – almeno secondo me – sta nel costruire, giorno dopo giorno, la cultura diffusa, cosmopolita e moderna delle casematte della società civile (niente egemonia, dio scampi…), che – sole – possono far sperare in una crescita del paese reale.
Di qui la conclusione. Che si dica che il governo Meloni è “così così”, è splendido o fa schifo, non cambia le cose, neppure di un ette.
Le sorti di Giorgia dipenderanno da come riuscirà a districarsi nel caos crescente di casa sua, e dalla quantità di elettori/tifosi che andranno alle urne e, quando sarà il momento, decideranno. Ma, anche a questo fine, che si alzi la voce e si sparga una parola di propaganda in più contro il suo governo, non significa conquistare consensi ma solo soffiare sui bollenti spiriti dei partigiani.
Che continueranno, contenti loro, ad andare in cerca di qualche rivincita e non della soluzione dei problemi. Ma quella è una partita che non può appassionare i riformisti.
Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
Tutte le condanne di Marco Travaglio
Maurizio Belpietro, La Verità e le condanne – Diario
Procedimenti giudiziari per Pietro Senaldi
di Guia Soncini
Ma pensa te
Cuoricini sui post pieni e urne vuote anche stavolta. Come sempre, da una parte gli autocertificati intelligenti, dall’altra i vincitori
Oddio, non mi starete mica dicendo che, ancora una volta, cuoricini sui post pieni e urne vuote, ancora una volta vale quel che scriveva otto anni fa Jon Ronson della Brexit, «mentre la sinistra li irrideva, loro vincevano», non mi starete dicendo che potrei non incomodarmi a scrivere un articolo nuovo e limitarmi a ricopiare la me che nel 2016 scriveva «da una parte tutti gli autocertificati intelligenti, dall’altra i risultati elettorali»? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che ancora una volta tocca dire che Aaron Sorkin ci aveva visto lunghissimo, e andare a recuperare su Sky quell’inizio di “Newsroom” che nel 2012 ci folgorò ma che poi abbiamo deciso fosse troppo trombone per dire che ci piaceva, e invece aveva ragione Will McAvoy: «Lo sai perché alla gente non piace la sinistra? Perché perde. Se sono così intelligenti, come cazzo è che perdono sempre?». Ma tu pensa.
Oddio, non mi starete mica dicendo che ha ragione Thomas Chatterton Williams quando scrive che il problema è il prezzo che elettori d’ogni genere ed etnia vogliono far pagare ai democratici non per le loro idee ma per quanto sono stati indulgenti nel 2020 con ogni genere d’invasato, da quelli di «Defund the police» in su e in giù? Ma tu pensa.
Oddio, non mi starete mica dicendo che il parrucchiere che mi ha asciugato i capelli martedì pomeriggio, un cinese che parla in dialetto veneto, uno che certo non è abbonato al New York Times e sospetto non legga mai neanche un giornale italiano, ma mi ha detto «credo che vinca Trump perché è più attento all’economia», non mi starete mica dicendo che il parrucchiere venticinquenne capisce il mondo più degli editorialisti? Ma tu pensa.
Oddio, non mi starete mica dicendo che, nella nazione che a quelli che erano schiavi fino a un attimo prima, gli uomini neri, ha dato il diritto di voto cinquant’anni prima di decidersi a darlo alle donne, non mi starete mica dicendo che in quella nazione lì piuttosto che votare una donna votano un anziano teppista miliardario? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che facevo bene a ridere in faccia a tutti quelli che per mesi mi hanno spiegato che Taylor Swift spostava voti, che in fantastiliardi s’erano iscritti a votare dopo il suo appello, che se la cantante preferita ti dice di votare così tu, diamine, la ascolti, non mi starete dicendo che l’idea dell’egemonia swiftiana sulle elezioni dimostrava scarsa contezza del reale? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che aveva ragione quel mio amico che, vista la conversazione tra Joe Rogan e Donald Trump, aveva commentato «ci mancava solo che si mettessero a giocare con le macchinine: le donne in quel loro mondo non esistono proprio», e che tuttavia il mondo maschile nel quale le donne sono fuori posto si estende ben oltre lo studio di Rogan, da “Tintoria” a “Propaganda”, e all’elettorato quel mondo delle stanze dei giochi separate non dispiace più di tanto, e le donne se ne catafottono se il conduttore non ha argomenti di conversazione con loro, le donne vogliono anche loro pagare meno tasse? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che, quando J.D. Vance dice «domani portiamo fuori l’immondizia, e il nome dell’immondizia è Kamala Harris», e la conduttrice di Msnbc sgrana gli occhioni e fa rimandare in onda tre volte il filmato, e poi dice che la corsa dei repubblicani finisce lì, perché noi donne siamo abituate alle vessazioni, ma non potete chiamarci spazzatura, non mi starete mica dicendo che a quel punto il pubblico pensa «ma è una risposta al “garbage” di Biden, cosa c’entra che la candidata è una donna», non mi starete mica dicendo che la corsa non finisce quando lo dice la tipa alla tele? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che mentivano, o che non avevano capito il mondo, tutte le intellettuali che da settimane ci spiegavano che stavolta non ce n’era per nessuno, stavolta anche l’Iowa da sempre repubblicano lo vincerà Harris, lo dice anche la più brava sondaggista in circolazione, ma è ovvio sia così, le donne sull’aborto si compattano, le mogli votano Harris di nascosto dai mariti, l’ha detto anche Julia Roberts, vuoi non credere alle analisi politiche delle attrici? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che l’elettorato bada più a quanto costi il latte che alle brutte cose che i maschi repubblicani dicono alle avversarie politiche, più all’inflazione che al non binarismo di genere, più all’economia che ai pronomi? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che il metodo che da sempre funziona per i mariti che menano le mogli, quello «torna da me, cara, questa volta sarà diverso», non ha funzionato quando la candidata del partito che non aveva finora fatto una legge sull’aborto ha spiegato a quella moglie perpetuamente menata che è l’elettorato che solo votando lei ci sarebbe infine stata una legge sull’aborto, non mi starete mica dicendo che «mi piaccion le fiabe, raccontane altre» non è una strategia politica vincente? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che l’America non è fatta a forma della Ethical Culture Fieldstone School, che per sessantacinquemilacinquecentoquaranta dollari l’anno dà i compiti a casa ai vostri puccettoni ogni giorno dell’anno scolastico tranne martedì, e li interroga ogni giorno tranne ieri, perché lo stress elettorale è troppo, e anzi se volete stare a casa un giorno siete giustificati, e comunque ci sarà lo psicologo tutta la settimana.
Jerry Seinfeld, due dei cui figli erano iscritti alla Fieldstone, gli ha cambiato scuola, dicendo al New York Times che per una retta dall’importo immorale insegnano ai loro studenti a essere tremebondi invece di affrontare la vita. Mi state dicendo che il trauma che le elezioni provocano a un liceale non è un’idea convincente per alcuni rispettabili genitori di sinistra? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che Donald in arancione, con la divisa dei netturbini addosso, che dice al pubblico del comizio che non se l’è tolta perché gli hanno detto che lo fa più magro, è più in sintonia con l’elettorato e le sue preoccupazioni estetiche di quanto lo sia la figliastra di Kamala Harris su Vogue? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che, quando Obama nei comizi a sostegno della Harris diceva che McCain sì che era un gran signore, McCain sì che era un politico serio, McCain sì che nel 2008 era stato un avversario valido, McCain sì che era come i repubblicani dovrebbero essere, non mi starete dicendo che ogni volta l’elettore medio, quello che sta a casa davanti alla tele e non al comizio di Obama a sventolare bandierine, l’elettore medio pensava esattamente la cosa che pensavo io, e quella cosa era «e infatti John McCain ha perso»? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che nel paese in cui le donne fino al 1974 non potevano aprirsi un conto corrente senza la firma del padre o del marito, fino al 1920 non avevano il diritto di voto, nel 2024 non hanno il congedo di maternità retribuito per legge ma solo per generosità di alcune aziende, ma in compenso il partito di sinistra si è molto speso perché chi vuol essere chiamata «signorina» lo sia anche se ha il cazzo, non mi starete dicendo che in quel paese lì è più probabile che nel 2028 il partito democratico chieda di candidarsi a Biden che a una donna, dopo che Trump le donne le ha battute in due diverse elezioni e pare chiaro che candidare una donna sia un bel gesto dal non bellissimo esito? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che la donna indiana che queste elezioni hanno portato a presenziare alla cerimonia d’insediamento del 20 gennaio è la moglie di J.D. Vance e non quella di Doug Emhoff? Ma pensa te.
Oddio, non mi starete mica dicendo che ha di nuovo ragione James Carville. James Carville, «il più sveglio figlio di puttana a essersi mai guadagnato da vivere in questo settore», James Carville che nel 1992 fece del governatore dell’Arkansas un presidente, James Carville che Bill Clinton lo fece vincere con lo slogan con cui si può spiegare ogni elezione, «It’s the economy, stupid», James Carville sul quale c’è un nuovo documentario, girato da quel gran genio di Matt Tyrnauer (il regista di “Valentino – The last emperor”).
Non mi starete mica dicendo, ma pensa te, che già solo dal titolo del documentario, senza neanche bisogno di vederlo, avremmo dovuto rimettere in ordine le priorità. “Winning is everything, stupid”.
Oddio, non mi starete mica dicendo ma noi siamo per il bel gioco, per il vincere pulito, per il vincere dicendo le cose giuste, per il bon ton, per le giuste cause anche quelle di cui all’elettorato frega niente nientissimo, non mi starete mica dicendo che ancora una volta pensavate che, in condizioni normali, vincessero i buoni, e non quello cui piace la fi’, la so’, la fre’ più delle opere di Brecht? Ma pensa te.
(Peter Herrmann)
Mistificazione generale
Dalla riforma fiscale al mercato del lavoro, Cgil e Uil giustificano la quarta mobilitazione generale in quattro anni contro il governo usando argomenti contraddittori e numeri falsi
Che lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil sia tutto politico – ora che siamo alla quarta mobilitazione in quattro anni, tre su tre con il governo Meloni – è chiaro. Ma Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri potevano comunque puntare su questioni reali nella loro battaglia contro Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti. Invece, hanno deciso di fare una guerra totale, a colpi di negazionismo e falsificazioni, in cui una vittima collaterale è la verità.
Di dati falsi e manipolazioni sono piene le audizioni di Cgil e Uil sulla legge di Bilancio. L’elenco, per questioni di spazio, non può essere esaustivo. Ci concentriamo, quindi, su fisco e lavoro. L’argomento principale di polemica è la riforma fiscale.
La Cgil sostiene questa singolare teoria: siccome nel 2024 si prevedono 17 miliardi in più di gettito Irpef, vuol dire che i lavoratori con il “drenaggio fiscale” hanno finanziato il taglio del cuneo fiscale di circa altrettanti 17 miliardi “in una sorta di ‘grande partita di giro’ a saldo zero”.
L’affermazione è in gran parte falsa, ma il ragionamento porta comunque a conseguenze singolari per la Cgil. In primo luogo, non è vero che tutto l’aumento del gettito Irpef sia dovuto al fiscal drag. Perché, oltre all’inflazione, c’è stato un notevole incremento degli occupati: più persone lavorano e, di conseguenza, pagano le imposte sul reddito.
Tra il 2022 e il 2024 gli occupati sono oltre un milione in più. Ma è anche singolare la teoria secondo cui il maggiore gettito Irpef debba servire a ridurre le aliquote dell’Irpef. Perché nel 2024 è aumentato notevolmente anche il gettito dell’Ires e delle imposte sui redditi da capitale a causa dell’aumento dei tassi di interesse: vuol dire, secondo la logica di Landini, che quelle entrate devono essere usate per abbassare le imposte sugli utili delle imprese e sulle rendite finanziarie?
È certamente vero che il fiscal drag ha colpito i redditi da lavoro. Ma, come mostrano le analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), questo è avvenuto soprattutto sui redditi medio-alti (oltre i 35 mila euro): al di sotto di questa soglia, l’effetto positivo della decontribuzione e del taglio dell’Irpef è stato superiore a quello negativo del drenaggio fiscale.
La logica conseguenza della posizione della Cgil è, quindi, che si dovrebbero tagliare le tasse al ceto medio-alto, finora tartassato dal governo Meloni. Insomma, si tratta di convergere sulla proposta di Forza Italia: alzare la soglia del terzo scaglione e tagliare la corrispondente aliquota, rendendo l’Ipref un po’ meno progressiva.
Ma su questo è di parere opposto la Uil , che sciopera insieme alla Cgil: “Ancora più preoccupante è il fatto che – scrive il sindacato guidato da Bombardieri – si parli di un possibile ampliamento del terzo scaglione Irpef a 60 mila euro, della riduzione dell’aliquota dal 35% al 33% senza intervenire sulla progressività”. Insomma, qualsiasi cosa decidano di fare, Meloni e Giorgetti sbagliano.
Sulla progressività, poi, si arriva alla negazione della realtà. La Cgil afferma che la riforma fiscale del governo, che rende strutturale il taglio dell’Irpef e gli effetti della decontribuzione, comporta una “riduzione della progressività”.
Un’affermazione palesemente falsa. Ieri, in audizione, l’Upb ha affermato di nuovo che “la riforma nel complesso ha determinato un significativo incremento della progressività”. Sempre ieri, in audizione, la Banca d’Italia ha ribadito che la riforma comporta “una riduzione della disuguaglianza” dei redditi: l’indice di Gini scende di 0,3 punti percentuali.
Sul lavoro, Cgil e Uil negano i dati dell’Istat. Sostengono che l’80% dei nuovi assunti sia con contratti a termine e che la riduzione dei dipendenti a termine sia legata all’aumento del lavoro autonomo, che è altrettanto precario. Sono due affermazioni contraddittorie tra loro ed entrambe false (una combo da record!), basta vedere i dati Istat e Inps: il lavoro a termine diminuisce in valore assoluto e il lavoro autonomo è in un declino storico (è sotto il livello pre-Covid), mentre ciò che è aumentato notevolmente è il lavoro a tempo indeterminato. Sul totale, è in calo l’incidenza sia degli autonomi sia dei dipendenti a termine.
La Cgil dice anche che l’aumento del tasso di occupazione è dovuto alla “drastica diminuzione della popolazione in età da lavoro”. Un’altra mistificazione: gli occupati sono aumentati in valore assoluto (circa +1 milione in due anni) e, come indica l’Istat, l’occupazione è aumentata per tutte le fasce d’età al netto della componente demografica. Dobbiamo fermarci per questioni di spazio.
Ma ciò che è chiaro è che lo sciopero di Landini e Bombardieri è formalmente contro il governo Meloni, ma sostanzialmente contro i dati di Istat, Inps, Upb e Banca d’Italia.
Fact-checking
Dal 22 ottobre 2022 a oggi abbiamo verificato 402 affermazioni della presidente del Consiglio: il 61 per cento è risultato “impreciso” o “poco o per nulla attendibile”, come durante il primo anno di governo
La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è al governo da due anni: in questo periodo, ossia dal 22 ottobre 2022 al 22 ottobre 2024, abbiamo verificato 402 sue dichiarazioni. A 28 di queste dichiarazioni abbiamo dedicato singoli articoli di fact-checking, mentre le altre 374 dichiarazioni sono state analizzate in articoli con più dichiarazioni verificate al loro interno, pronunciate per esempio in Parlamento o in conferenze stampa.
Come se l’è cavata Meloni alla prova del nostro fact-checking? Abbiamo diviso le 402 dichiarazioni verificate della presidente del Consiglio sulla base di tre giudizi: le dichiarazioni “attendibili”, quelle “imprecise” e quelle “poco o per nulla attendibili”.
Le dichiarazioni “attendibili” sono quelle corrette o con lievi omissioni; le dichiarazioni “imprecise” sono quelle in cui Meloni ha commesso alcuni errori o ha omesso alcuni dettagli importanti; le dichiarazioni “poco o per nulla attendibili” sono quelle quasi o del tutto scorrette.
Fact-checking alla mano, le dichiarazioni “attendibili” sono state 157 (il 39 per cento sul totale), le dichiarazioni “imprecise” 102 (il 25,4 per cento), le dichiarazioni “poco o per nulla attendibili” 143 (il 35,6 per cento). Insomma, oltre metà delle dichiarazioni di Meloni tra quelle che abbiamo verificato nei suoi primi due anni di governo è risultata imprecisa o poco o per nulla attendibile. Questo risultato è in linea con il bilancio che avevamo fatto a ottobre 2023, in occasione del primo anno di Meloni come presidente del Consiglio.
Come per gli altri politici, ricordiamo che per Meloni Pagella Politica non offre un indicatore statisticamente valido sulla sua credibilità: per ragioni di tempo e di risorse, negli ultimi due anni non abbiamo analizzato tutte le dichiarazioni verificabili pronunciate dalla presidente del Consiglio.
Fatta questa precisazione, le 402 dichiarazioni verificate permettono comunque di individuare alcune tendenze. Nei primi due anni di governo, il tema di cui Meloni ha parlato di più è l’“Economia”: questo tema riguarda infatti il 40 per cento di tutte le dichiarazioni della leader di Fratelli d’Italia che abbiamo verificato.
Altri temi di cui ha parlato spesso la presidente del Consiglio nei suoi discorsi sono il “Lavoro”, l’“Unione europea e il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)” e l’“Immigrazione”. Quest’ultimo è anche il tema su cui Meloni ha commesso più errori: il 58 per cento delle dichiarazioni verificate a tema “Immigrazione” è risultato poco o per nulla attendibile.
Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
Tutte le condanne di Marco Travaglio
Maurizio Belpietro, La Verità e le condanne – Diario
Procedimenti giudiziari per Pietro Senaldi