Ucraina, Usa, Taiwan. Quei contatti segreti tra Elon Musk e Putin (ildubbio.news)

di Alessandro Fioroni

Il Wall Street Journal rivela che il patron di 
SpaceX avrebbe oscurato il suo  Starlink 
sull’isola per favorire Xi Jinping

Che il super multi miliardario Elon Musk, proprietario di Tesla, SpaceX e X, sia un personaggio contraddittorio e dai tratti sulfurei non è un mistero.

La sua influenza ormai ha abbondantemente travalicato il mondo del business tecnologico e si estende anche su tutto lo scacchiere internazionale comprese le aree di crisi e i suoi risvolti geopolitici.

I suoi rapporti e il sostegno a Donald Trump sono acclarati e ora sono le rivelazioni del quotidiano statunitense Wall Street Journal a gettare una nuova luce, ancora più inquietante se possibile, sul tycoon sudafricano naturalizzato statunitense.

Secondo le fonti investigative del Journal, che cita diversi funzionari ed ex funzionari statunitensi, europei e russi, Musk sarebbe in contatto continuo da almeno due anni con Putin. I colloqui sarebbero continuati quest’anno, proprio quando Musk ha iniziato a intensificare le sue critiche al sostegno militare degli Stati Uniti all’Ucraina ed è stato attivamente coinvolto nella campagna elettorale del candidato repubblicano ed ex presidente che è sempre stato ondivago sull’appoggio a Kiev.

Nell’ottobre 2022, Musk ha anche iniziato a twittare una serie di punti di discussione del Cremlino sulla guerra, che ha presentato come un piano di pace, ma ha scatenato una forte opposizione da parte degli alti funzionari ucraini, nonché dello stesso presidente Volodymyr Zelenskyy. Le conversazioni tra l’imprenditore e il presidente russo dunque avrebbero riguardato non solo questioni personali e affari ma anche le tensioni geopolitiche.

Le fonti interpellate dal giornale finanziario statunitense hanno rivelato alcuni accadimenti come quello che avrebbe visto Putin chiedere a Musk di non attivare il suo servizio Internet satellitare Starlink su Taiwan come favore, per interposta persona al presidente cinese Xi Jinping.

Ma esiste una circostanza che mostrerebbe tutta la spregiudicatezza del proprietario di X, perché l’accesso al suo servizio di tecnologie satellitari è stato fornito gratuitamente all’Ucraina dopo che Putin ha lanciato la sua invasione su vasta scala nel febbraio 2022.

Poi deve essere mutato qualcosa negli intendimenti di Musk, Starlink infatti è stato salutato come uno strumento importante per la capacità dell’Ucraina di combattere contro le forze russe, ma le relazioni tra il magnate tecnologico e le autorità ucraine si sono raffreddate pian piano nel corso della guerra e Musk ha smesso di finanziare i terminali per l’Ucraina e ha persino limitato l’uso di Starlink da parte delle sue forze armate per controllare i droni.

Contemporaneamente sarebbero iniziati i colloqui con il capo del Cremlino. Fino ad arrivare all’inizio di quest’anno quando i rapporti dell’intelligence militare ucraina hanno affermato che il servizio satellitare di Musk veniva addirittura utilizzato dall’esercito russo per individuare le postazioni dei militari di Kiev.

Lo scoop del WSJ arriva in un momento critico della campagna elettorale degli Stati Uniti, con il potere dell’uomo d’affari che, attraverso la sua piattaforma di social network e le sue società tecnologiche come SpaceX, gode di contratti governativi e autorizzazioni di sicurezza di alto livello per le informazioni classificate della Casa Bianca.

Pochi giorni fa, nel corso di un evento elettorale a sostegno di Trump in Pennsylvania, Musk ha menzionato le sue credenziali per l’accesso a informazioni governative riservate: «Ho un’autorizzazione top secret, ma devo dire che come per la maggior parte delle cose di cui sono a conoscenza la ragione per cui le tengono segrete è che sono estremamente noiose». Ma è più che legittimo che i rapporti con Putin, se dimostrati, metterebbero in seria crisi la politica Usa e i suoi alleati.

Per il momento una reazione è arrivata direttamente da Mosca con il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, secondo il quale l’unica comunicazione del Cremlino con Musk è stata una telefonata in cui si e discusso di solo di spazio, così come di tecnologie attuali e future, il tutto in modo generico. Mosca dunque afferma che si tratta di informazioni assolutamente false, quelle pubblicate sul giornale americano. Musk invece non ha ancora reagito alle notizie e nemmeno alle richieste di commento da parte del Wall Street Journal.

Lo show tv di Kamala Harris: «Donald Trump si fa prendere in giro dai dittatori» (rollingstone.it)

di

Ospite del ‘Late Show’ di Stephen Colbert, la 
candidata democratica alla presidenza commenta 
le relazioni di The Donald con Putin e Kim Jong-un, 
sfata le bugie sul suo conto e si beve una birra

Lo show tv di Kamala Harris: «Donald Trump si fa prendere in giro dai dittatori» (Kamala Harris al ‘Late Show’ di Stephen Colbert Foto: Scott Kowalchyk/CBS)

La vicepresidente Kamala Harris è stata ospite ieri sera del Late Show per discutere della sua campagna presidenziale con Stephen Colbert davanti a una lattina di birra. La candidata democratica e il conduttore hanno aperto una Miller High Life mentre Harris rifletteva su Donald Trump e sulle recenti accuse di aver inviato test Covid al presidente russo Vladimir Putin.

La vicepresidente Kamala Harris è stata ospite ieri sera del Late Show per discutere della sua campagna presidenziale con Stephen Colbert davanti a una lattina di birra. La candidata democratica e il conduttore hanno aperto una Miller High Life mentre Harris rifletteva su Donald Trump e sulle recenti accuse di aver inviato test Covid al presidente russo Vladimir Putin.

Colbert ha chiesto a Kamala Harris un commento rispetto alle accuse, contenute nel libro di Bob Woodward di prossima pubblicazione, War. Nel libro, Woodward scrive che Trump ha inviato alla Russia i test Covid, molto necessari, all’inizio della pandemia.

“Ho sentito parlare del libro oggi”, ha detto Harris. “Non l’ho letto. Ma guardate – e l’ho detto anche al dibattito con lui – Donald Trump ammira apertamente i dittatori e i politici autoritari. Ha detto di voler diventare un dittatore fin dal primo giorno, se fosse eletto di nuovo presidente. Si fa prendere in giro da questi uomini. Ammira i cosiddetti uomini forti e si fa prendere in giro perché lo adulano o gli offrono favori. Il commander in chief degli Stati Uniti d’America deve essere forte e difendere i princìpi che ci sono cari”.

Ha poi continuato: “Se tutto ciò che ho sentito sul libro di Bob Woodward è vero, Donald Trump ha segretamente inviato kit di test Covid a Putin per uso personale. Chiedo a tutti i presenti e a tutti coloro che stanno guardando: vi ricordate com’erano quei giorni? Vi ricordate quante persone non avevano i test e cercavano di fare i salti mortali per ottenerli? Pensate a cosa significa questo, oltre all’invio di lettere d’amore a Kim Jong-un. Pensateci davvero. Lui pensa: “Be’, quello è un suo amico [di Putin]”. E il popolo americano? Dovrebbe essere il suo primo amico”.

Colbert ha chiesto a Harris se Trump si rifiuta di ammettere di aver perso le elezioni del 2020 a favore di Joe Biden. Lei ha fatto notare che c’è un motivo per cui il posto di vicepresidente era disponibile durante questa campagna elettorale. “Molte persone, quando si candidano per un lavoro, si chiedono: perché il posto è disponibile?”, ha detto. “Bisogna allora chiedersi: perché il posto di running mate di Donald Trump era libero? Perché il suo vicepresidente Mike Pence si è schierato per il Paese, al di sopra dei partiti”.

“Sapete, vi dirò cosa pensano alcune delle persone che partecipano ai miei comizi: tra l’altro non sono poche quelle che si presentano. Pensano che se avete perso milioni di posti di lavoro, se avete perso l’industria manifatturiera, se avete perso gli impianti automobilistici, allora avete perso le elezioni”, ha aggiunto. “E questo cosa vi rende? Un perdente. Questo è quello che ha detto qualcuno ai miei comizi. Ho pensato che fosse divertente”.

In un altro momento dell’intervista, Harris ha parlato delle idee sbagliate secondo cui il denaro della FEMA (l’ente federale per la gestione delle emergenze, letteralmente Federal Emergency Management Agency, ndt) non viene utilizzato per aiutare la ripresa dopo l’uragano Helene. “C’è molta disinformazione”, ha detto a Colbert. “C’è un sacco di gente che è lì per dare aiuto e assistenza”. Ha aggiunto che sono disponibili aiuti sia a breve che a lungo termine, e vorrebbe che i repubblicani non dicessero bugie per “un tornaconto politico”.

Harris e Colbert hanno anche discusso del conflitto tra Israele e Hamas, un punto critico per molti elettori durante questa campagna elettorale. Colbert ha detto che “abbiamo sentito parlare di essere vicini” a un accordo per il cessate il fuoco, ma ha chiesto “cosa significa vicini?”.

“Molti dettagli sono stati risolti, ma rimangono dei dettagli”, ha confermato Harris. “Ci sono stati dei progressi, ma non hanno alcun significato se non si raggiunge un accordo, quindi non voglio dirvi che dovreste applaudirci per esserci avvicinati a un accordo”.

Il portavoce della campagna di Trump, Steven Cheung, ha commentato l’apparizione della Harris al Late Show su X, scrivendo: “Kamala beve una birra per mostrare agli americani quanto si possano immedesimare in lei, ma finisce per sembrare una rappresentante delle élite che resta fuori dal mondo, anche se che cerca di gasare tutti facendogli credere di essere una di loro. Le persone normali non permettono ad assassini, stupratori e terroristi di attraversare il confine come ha fatto Kamala”.

Da Rolling Stone US

USA: scusi, dov’è la verità? (doppiozero.com)

di Daniela Gross

Speciale USA 2024: verso le elezioni

Questa storia non esiste. È una bufala, un falso, una bugia. Parla di alligatori liberati nel Rio Grande per dilaniare i clandestini al confine Sud, sostanze chimiche nell’acqua che trasformano i bambini in transgender, cani e gatti fatti arrosto, bagni di sangue. Mette in piazza le abitudini sessuali di JD Vance, il vero colore di Kamala e i finti attentati a Trump. Spiega che il governo controlla gli uragani, il wifi provoca il cancro e il vaccino anti-Covid è tutta una cospirazione.

In un mondo migliore, la vera notizia sarebbe che se ne parli. Le presidenziali hanno però la capacità di tirare fuori il peggio dall’America e da mesi la gara è a chi la spara più grossa. Vale dunque la pena tornarci sopra perché la somma dei falsi che da mesi animano la conversazione pubblica è la fotografia di uno stato d’animo – un distillato degli umori che ribollono nella pancia del paese.

È un gioco al ribasso dove nessuno è innocente, i fact-check lasciano il tempo che trovano e la deriva partigiana è garantita. E mentre i fatti sfumano in un’approssimazione, la verità finisce all’angolo e il terreno di scontro diventa sempre più scivoloso.

La traiettoria del falso è ormai rodata. Quella degli immigrati haitiani che nella cittadina di Springfield, Ohio si dice divorino cani e gatti è un caso da manuale. La bufala debutta sui social locali, il regno delle paranoie, e da lì prende il volo verso la scena nazionale. È la parabola perfetta delle paure che animano l’elettorato di destra. Intercetta in chiave di razzismo i due temi al centro di queste elezioni, economia e immigrazione.

Mescola orrore, disprezzo, violenza: è la voce del cittadino qualunque travolto dai demoni alla modernità in una delle infinite piccole città che punteggiano la flyover country. Rimbalza su X e da lì a un comizio di JD Vance. Trump, che della menzogna ha fatto il suo stile, la rilancia al dibattito presidenziale e a quel punto non c’è verso di tornare indietro.

Seguono smentite, inchieste, interviste, commenti – un cataclisma che chissà quanto sposta in chiave elettorale. I sostenitori si compattano, gli oppositori urlano allo scandalo e ognuno resta della propria opinione. Intanto a Springfield fioccano gli allarmi bomba, le scuole sono evacuate e gli immigrati haitiani si sentono a rischio. Poco dopo, un gruppo di estremisti di destra sbarca nella cittadina e pattuglia in armi le vie a difesa dei cittadini americani, s’immagina quelli bianchi.

È il genere di scenario diventato familiare negli anni della presidenza Trump – forse l’unica ad aprirsi con un falso clamoroso (il milione e mezzo di persone alla cerimonia di inaugurazione) e concludersi con un falso ben più terrificante (le elezioni rubate nel 2020). Allora come oggi, le parole sono pietre e i social hanno la capacità di trasformare ogni idiozia in un pericolo mortale. Per conferma, basta tornare al 6 gennaio e all’attacco al Campidoglio.

Per quanto ormai prevedibili, il caos e i fuochi d’artificio di Donald Trump restano abbaglianti. Il che non significa che i democratici siano candidi gigli del campo.

Pur senza scendere al suo livello, nota sul New York Times James Kirchik, ricercatore del Foundation for Individual Rights and Expression, nel dibattito presidenziale neanche Kamala Harris ha “aderito strettamente alla verità”. Come dire, tecnicamente non ha mentito ma sfumato, approssimato, aggiustato.

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Prendiamo la storia della marcia suprematista a Charlottesville, in Virginia, dove nell’estate 2017 centinaia di estremisti di destra sfilano contro la rimozione della statua del generale confederato Robert Lee, la violenza razziale esplode e la giovane Heather Heyer è uccisa.

Secondo Harris, scrive Kirchik, Trump “ha detto che c’erano ‘persone perbene’ tra i neonazisti e i suprematisti bianchi a Charlottesville sette anni fa, una distorsione ripetuta spesso di una dichiarazione fatta da Trump all’epoca che, tuttavia, rimane un articolo di fede tra i liberali americani”.

Harris, continua, “ha anche affermato in modo ingannevole che Trump ha detto che ci sarebbe un ‘bagno di sangue’ se non venisse eletto, quando il riferimento originale riguardava la perdita di posti di lavoro nell’industria automobilistica statunitense.”

Infine, conclude il commentatore conservatore, non è vero che come ha detto Harris “Non c’è un solo membro delle forze armate degli Stati Uniti in servizio attivo in una zona di combattimento in alcuna zona di guerra nel mondo — la prima volta in questo secolo.”

“Questa affermazione – continua Kirchik – ignora le migliaia di truppe americane schierate in Medio Oriente dal 7 ottobre, per non parlare dei militari uccisi in Giordania nell’attacco con droni di gennaio. Nonostante queste affermazioni siano false, tuttavia è stato solo Trump che i moderatori di ABC, David Muir e Linsey Davis, hanno cercato di correggere.”

Nel pieno di un dibattito presidenziale, con 67 milioni di spettatori collegati in diretta, sono decisioni che si prendono nel giro di secondi. A posteriori, la domanda diventa però inevitabile. È più importante demistificare in diretta la bufala sugli haitiani di Springfield o la storia del bagno di sangue annunciato da Trump in caso di sconfitta? Prima la clamorosa menzogna o la garbata mistificazione? Qual è più urgente, quale più allarmante? Sono interrogativi destinati a restare senza risposta perché non è un mistero che, fin dall’avvio della campagna elettorale, il circuito dell’informazione mainstream usi due pesi e due misure – uno standard per i democratici e uno per i repubblicani.

A meno di ricorrere a qualche strampalata teoria della cospirazione, non si spiega altrimenti come le condizioni di Biden siano rimaste così a lungo un mistero e come a giugno le rassicurazioni della portavoce della Casa Bianca Karin Jean-Pierre siano passate senza colpo ferire.

Il presidente, aveva garantito Jean-Pierre, era come sempre al lavoro e i video che lo mostravano traballante, smarrito e in difficoltà pura “disinformazione” – “falsi da due soldi”. Una settimana dopo, il disastroso dibattito con Trump illuminava la menzogna di una luce impietosa aprendo una crisi politica senza precedenti.

Nel vortice seguito alle dimissioni di Biden, i ranghi si sono stretti ulteriormente. Le domande scomode tacciono, i fact-check si applicano di preferenza all’opposizione e gli articoli adoranti rimpiazzano il ragionamento politico. “The only patriotic choice for President”, titolava di recente l’inserto di opinioni del New York Times sotto una gigantesca foto in bianco e nero di Kamala Harris e la ragione è tutta qui. In gioco c’è il ‘bene del Paese’.

Non è il momento di fare gli schizzinosi e dunque si sorvola sui limiti della candidatura, le inversioni di rotta (il fatto che i suoi valori non siano cambiati pare una spiegazione sufficiente), una piattaforma elettorale a lungo così vaga da far sembrare Trump uno statista e perfino sugli scivoloni di Tim Walz, che durante Tienanmen forse era a Hong Kong o forse chissà.

Sono mesi d’oro per quel giornalismo educativo che negli Stati Uniti aveva già dato pessima prova di sé nel 2016, quello che conduce il lettore/ascoltatore/spettatore alla giusta conclusione più che informare. Si può solo sperare che la Storia non si ripeta. In ogni caso, è uno spettacolo snervante e se sia davvero un bene per il tessuto della democrazia è tutto da dimostrare.

Mentre scrivo, mancano tre settimane all’Election Day e in molti stati già si vota. Per dirla con Obama, oggi il più influente sostenitore di Harris, elezioni come questa si vincono e perdono negli ultimi giorni. In questa volata, il circuito dell’informazione riveste un ruolo centrale. Milioni di americani, fra cui la sottoscritta, si avviano alle urne senza mai essere stati lambiti dal flusso vivo della politica.

La stampa locale sta esalando ovunque l’ultimo respiro mentre per ovvie ragioni i comizi, dibattiti e incontri si concentrano negli stati in bilico e nelle metropoli. Nel resto del paese non resta dunque che affidarsi ai giornali, alla tv, ai podcast e ai social, sempre più decisivi soprattutto per l’elettorato più giovane.

A queste condizioni, realtà e fiction, informazione e spettacolo si confondono senza tregua – il Rio Grande pullula di alligatori; Harris costruirà il muro al confine Sud; il governo ha abbandonato le vittime dell’alluvione; Trump non beve, non fuma, non usa droghe; gli immigrati divorano i pets; Robert F. Kennedy Jr. ha un verme nel cervello; Trump ci ha lasciato la peggiore disoccupazione dopo la grande depressione; Trump deporterà 13 milioni di immigrati illegali.

Cos’è vero, cos’è falso? E chi ha tempo e voglia di starci dietro? In questo fuoco incrociato di bugie e mezze verità, ognuno si aggrappa ai suoi giudizi e pregiudizi, la spaccatura fra democratici e repubblicani si approfondisce e il malessere cresce come i prezzi al supermercato.

Peccato, perché i sondaggi mostrano che la credibilità dei media resta molto più elevata delle diverse piattaforme social e secondo uno studio di Bookman e Kalla pubblicato dall’American Journal of Political Science, “i messaggi persuasivi cambiano sia le valutazioni dei candidati che le scelte di voto e inducono defezioni partitiche; e i messaggi con maggiore contenuto informativo sono più persuasivi”. In altre parole, la gente merita rispetto. E non è questo il sale della democrazia?

k

Dopo due anni il governo deve ancora attuare l’80 per cento del suo programma (pagellapolitica.it)

Promessometro
Abbiamo analizzato l’avanzamento di 100 promesse fatte agli elettori: 21 sono state mantenute, mentre l’attuazione delle restanti è in corso per la maggior parte, ferma oppure è stata già compromessa

«In questi due anni il nostro governo ha lavorato instancabilmente per attuare il programma con il quale ci eravamo presentati di fronte agli italiani e sul quale avevamo ottenuto la fiducia di molti di loro alle elezioni del 25 settembre 2022». Così, in un video pubblicato sulle sue pagine social, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha celebrato il secondo anniversario dell’insediamento del suo governo, avvenuto il 22 ottobre 2022.

Ventiquattro mesi dopo, a che punto è davvero l’attuazione del programma elettorale della coalizione di partiti che sostengono il governo Meloni? Abbiamo analizzato i 100 impegni principali presi con gli elettori da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati prima del voto del 25 settembre 2022: 21 promesse sono state portate a termine, mentre per 20 il governo ha fatto poco o nulla per mantenere fede alla parola data.

L’attuazione di 52 promesse è ancora in corso, mentre il governo ha già compromesso l’attuazione di sette impegni. Rispetto al primo anno di governo, c’è stato un avanzamento delle promesse rispettate, ma contemporaneamente c’è stato un aumento di quelle compromesse.

Il programma elettorale della coalizione di governo, pubblicatoad agosto 2022, è diviso in 15 capitoli, che vanno dalla politica estera ai giovani, passando per la sanità, il fisco e il lavoro. In ogni capitolo la coalizione ha elencato i traguardi da raggiungere una volta arrivata alla guida del Paese.

Abbiamo controllato, trascorsi esattamente due anni dall’insediamento, a che punto è l’attuazione del programma. Ricordiamo che una legislatura dura cinque anni e l’attuale scadrà a ottobre 2027: se non ci saranno crisi di governo e i partiti della maggioranza resteranno uniti, il governo Meloni avrà ancora tre anni a disposizione per rispettare gli impegni presi con gli elettori.

Abbiamo suddiviso le cento promesse principali del programma del governo Meloni in quattro categorie, a seconda del loro stato di avanzamento. Abbiamo considerato come “Mantenute” tutte le promesse per cui il governo ha preso provvedimenti concreti e definitivi per tenere fede alla parola data.

Tra le promesse “Non mantenute”, invece, rientrano gli impegni per la cui attuazione il governo o i partiti in Parlamento hanno fatto finora poco o nulla. Abbiamo poi considerato come “In corso” le promesse per cui il governo o i partiti che lo sostengono hanno ottenuto alcuni risultati, sebbene non definitivi per riuscire a rispettare del tutto la parola data agli elettori.

Infine, abbiamo isolato le promesse “Compromesse”, ossia quelle per cui il governo ha fatto l’opposto di quanto promesso o ha preso provvedimenti che ne rendono più difficile la realizzazione. Sottolineiamo che non tutte le 100 promesse contenute nel programma di governo sono confrontabili tra loro per importanza: detto altrimenti, non tutte le promesse hanno lo stesso peso politico o richiedono lo stesso sforzo per essere portate a termine.

Ma su questo fronte non abbiamo fatto valutazioni: preferiamo lasciarle alle nostre lettrici e ai nostri lettori, visto che richiedono un giudizio più soggettivo (a questo link e nella tabella sotto si possono consultare le nostre analisi, promessa per promessa).

Tra le 21 promesse “Mantenute” ci sono alcune delle misure di bandiera del programma del governo: l’eliminazione del reddito di cittadinanza, sostituito dall’assegno di inclusione e dal supporto per la formazione e il lavoro; il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori, che in base agli annunci del governo sarà reso strutturale dalla legge di Bilancio per il 2025; la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), confermata dalle autorità europee alla fine del 2023; l’approvazione della cosiddetta “pace fiscale” per agevolare i contribuenti non in regola con il fisco; l’aumento dell’assegno unico e universale, destinato alle famiglie con figli; l’introduzione di nuovi incentivi per le assunzioni dei lavoratori, tra cui donne e giovani; l’aumento dell’estrazione di gas naturale in Italia; l’innalzamento del limite all’uso del denaro contante, portato a 5 mila euro; la tutela del Made in Italy; e le norme più severe per chi commette atti contro il «decoro».

Anche tra le 52 promesse che sono “In corso” di attuazione ci sono alcuni dei provvedimenti principali promossi dal governo. Qui, per esempio, rientrano la riforma della giustizia, con le varie riforme del processo e del diritto penale, e del processo civile, per cui il governo e il Parlamento hanno già fatto passi in avanti; la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, per cui è stato riavviato l’iter di costruzione; il sostegno all’Ucraina, a cui il governo ha inviato quattro pacchetti di armi, impedendone però l’uso per colpire obiettivi in territorio russo, a differenza di quanto fatto da altri Paesi della Nato e da quanto richiesto dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky; la tutela degli interessi dell’Italia nella discussione sui dossier legislativi europei, con riferimento particolare a quelli legati alla transizione ecologica; e la gestione dell’immigrazione, con la creazione di hotspot in territori extraeuropei.

A ottobre sono stati aperti i due centri per migranti costruiti dall’Italia in Albania, ma il Tribunale di Roma ha subito deciso di non convalidare il trattenimento dei primi migranti salvati dalle autorità italiane e portati nei centri, perché ha considerato il trattenimento contrario alle norme europee. Il governo italiano ha annunciato ricorso e il 21 ottobre ha presentato un nuovo decreto-legge per permettere ai centri in Albania di rimanere operativi.

Tra le 20 promesse che il governo non è ancora riuscito a mantenere, perché ha fatto finora poco o nulla, spiccano: il «pieno utilizzo delle risorse del Pnrr», dato che la spesa del piano continua a essere in ritardo; l’estensione del regime forfettario al 15 per cento (impropriamente chiamato flat tax) per le partite IVA con un fatturato fino a 100 mila euro; la ridefinizione del sistema degli ammortizzatori sociali; la «salvaguardia della biodiversità, anche attraverso l’istituzione di nuove riserve naturali»; l’«allineamento ai parametri europei degli investimenti nella ricerca».

Infine, come detto, in due anni il governo ha compromesso l’attuazione di sette promesse fatte agli elettori. Per esempio, nel suo programma elettorale i partiti che sostengono il governo Meloni si erano impegnati per introdurre in Costituzione l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Alla fine il governo ha presentato in Parlamento la riforma del “premierato”, ora all’esame della Camera, che propone invece l’elezione diretta del presidente del Consiglio.

Il governo aveva promesso di ridurre l’IVA sui prodotti per la prima infanzia: questo impegno è stato inizialmente rispettato con la legge di Bilancio per il 2023, ma successivamente il governo ha fatto marcia indietro dicendo che il taglio non aveva generato per le famiglie i risparmi sperati.

Un’altra promessa compromessa è quella per il «rimboschimento e piantumazione di alberi sull’intero territorio nazionale»: con la revisione del Pnrr, approvata alla fine del 2023, il governo ha ridimensionato infatti l’obiettivo di piantare 6,6 milioni di nuovi alberi entro il 2024. Compromessi sono finora altri due impegni: «favorire il rientro degli italiani altamente specializzati attualmente all’estero» e la «tutela della nautica e delle imprese balneari». Nel primo caso il governo ha rivisto le agevolazioni fiscali per il cosiddetto “rientro dei cervelli”, ossia i lavoratori laureati, i docenti e i ricercatori italiani residenti all’estero, rendendole meno favorevoli rispetto al passato.

Nel secondo caso, con il decreto “Infrazioni” ora all’esame del Parlamento, ha disposto che le concessioni balneari siano prorogate fino al 2027, per poi essere messe a gara. Questo decreto, le cui misure dovranno passare il vaglio dell’Ue, ha scontentato le associazioni di categoria degli imprenditori balneari.

Come mostra il grafico, i capitoli “Politica estera”, “Giovani e sport”, “Ambiente” e “Scuola, università e ricerca” sono quelli in cui il governo ha ancora molto da fare per rispettare gli impegni elencati nel suo programma. I capitoli “Energia” e “Lavoro ed economia” sono invece tra quelli su cui, in due anni, il governo si è speso di più per mantenere la parola data agli elettori.